Dalla parte della didattica attiva. Uno sguardo dentro al volume “Insegnare storia”
Abstract
Riflessione sul volume Insegnare storia. Il laboratorio storico e altre pratiche attive, uscito nel 2018 a cura di Francesco Monducci (Torino: Utet, pp. 328, € 25.00). Si tratta della terza edizione del libro, resa necessaria dal rapido evolversi delle prospettive e delle possibilità concrete di didattica attiva, compenetrate con l’ormai consolidato laboratorio di storia.
Francesco Monducci (acd) 2018, Insegnare storia. Il laboratorio storico e altre pratiche attive, Torino: Utet, pp. 328, € 25.00, Terza edizione
Dalla parte della didattica attiva
A dodici anni dalla prima e sei dalla seconda, nel 2018 è stata pubblicata la terza edizione di Insegnare storia curata da Francesco Monducci, che già aveva collaborato alla precedente con Paolo Bernardi. La novità del lavoro è annunciata dal sottotitolo, “Il laboratorio storico e altre pratiche attive” al posto di “Guida alla didattica del laboratorio storico”. L’architettura dell’opera propone una parte teorica, in continuità con le precedenti pubblicazioni, e due parti ampiamente rinnovate dedicate l’una agli strumenti e l’altra ai metodi e alle applicazioni. Il testo, come afferma il curatore nella nota introduttiva,
«entra senza ritrosie nella questione del come – e dunque inevitabilmente del cosa – insegnare e partecipa attivamente al dibattito in corso, stando dalla parte di chi esprime la necessità di una didattica attiva che guardi ai contenuti come oggetti da maneggiare».
La parte teorica
Introduzione all’insegnamento della storia e funzione del laboratorio
Fra i contributi della parte teorica troviamo il saggio di Scipione Guarracino su “Le questioni dell’insegnare storia”, che affronta temi generali (perché e come insegnare storia, le finalità politiche ed etiche, le regole del mestiere di storico, i manuali messi in discussione, la storia che vale la pena di insegnare), e quello di Aurora Delmonaco focalizzato sul “laboratorio di storia”. Le ragioni della scelta di questa pratica rimandano a istanze didattiche, pedagogiche e storiografiche di indubbia efficacia; tuttavia oggi la sua fortuna – o la sua disgrazia – dipende dall’essere posto o meno in stretta connessione con la nozione di competenza e, più nello specifico, con le competenze-chiave per la cittadinanza.
Rientra in questa sezione teorica, benché collocato all’inizio della parte dedicata a metodi e applicazioni, il saggio “La mente laboratoriale” di Ivo Mattozzi. L’autore distingue la didattica genericamente operativa, vale a dire la “suggestione del laboratorio”, dall’adozione di un progetto consapevole di didattica laboratoriale; infatti questa strategia operativa, oltre a rinnovare la formazione storica degli studenti e degli insegnanti, consente di attualizzare il principio della trasmissività del sapere, nella convinzione che si possa giungere al pensiero astratto e alla sua formalizzazione anche attraverso la pratica e il saper fare.
La didattica per competenze
Un’importante novità della parte teorica è il saggio di Mario Pinotti su “La didattica per competenze nell’insegnamento della storia”, che ricostruisce in forma essenziale la plurima stratificazione semantica del concetto di “competenze”. Pinotti propone un percorso storico che va dall’attivismo pedagogico delle origini all’influenza esercitata sulla scuola novecentesca, fino all’esame delle potenzialità che i principi educativi derivati da questa tradizione mantengono nella didattica del nuovo millennio. Secondo Pinotti, la didattica delle competenze può diventare una prassi condivisa nella scuola italiana a condizione che dimostri di garantire l’apprendimento dei saperi meglio della didattica tradizionale, non essendo sufficienti alla sua affermazione le ragioni della psicologia e della pedagogia, né i riconoscimenti istituzionali o le condizioni normative. Inoltre l’autore, riferendosi alle competenze metodologiche delle Indicazioni nazionali del 2010, presenta un’articolata scheda di valutazione delle competenze di storia, adattabile ai vari livelli di istruzione. Infine analizza le parti relative alle competenze chiave di cittadinanza, accolte nelle Indicazioni nazionali del 2012, che hanno un più stretto contatto con il sapere storiografico. Il saggio è apprezzabile anche perché fornisce, con stile e linguaggio improntati alla massima comunicatività, un quadro sintetico ma completo dei percorsi legislativi fino alla Legge 107 del 2015 e un valido contributo orientativo per la progettazione didattica.
Gli strumenti
Il manuale
La sezione si apre con il saggio di Francesco Monducci intitolato “Il manuale, per una didattica attiva”, in cui si esamina l’evoluzione ipertestuale e la compatibilità del manuale di storia con le esigenze di un insegnamento innovativo e partecipato e si forniscono indicazioni generali sui criteri della scelta. Un altro paragrafo è dedicato al lavoro con il libro di testo e quello conclusivo approfondisce il tema delle estensioni digitali dei manuali e della loro effettiva utilità didattica.
Insegnare e apprendere con il web
Segue un saggio scritto a quattro mani da Chiara Massari e Igor Pizzirusso, “Insegnare storia con il web”, che si rivela particolarmente utile per la proposta di un quadro di sintesi dei più recenti sviluppi tecnologici e per un’analisi delle modalità attraverso cui il web può diventare strumento ed ambiente di apprendimento. Corroborato da una seria analisi in chiave pedagogica e didattica e da importanti indicazioni per la ricerca, la selezione critica delle informazioni e l’uso delle fonti disponibili in rete, il contributo offre inoltre al lettore un repertorio aggiornato di metodologie e strumenti disponibili per la didattica laboratoriale. Tra questi, particolare attenzione è rivolta ai webware, accessibili per realizzare linee del tempo, carte tematiche o grafici, video, giochi, mappe e presentazioni.
Le fonti, dalla storiografia alla didattica
Chiude la sezione il saggio di Ermanno Rosso, prematuramente scomparso, su “Le fonti, dalla storiografia al laboratorio di didattica”. Il contributo è riproposto integralmente dalla prima edizione, fatti salvi gli aggiornamenti bibliografici e sitografici. Al centro c’è l’idea di un insegnamento della storia che sappia tenere unite e coerenti l’informazione storica, la conoscenza e il rispetto per l’epistemologia disciplinare, senza mai prescindere dall’utilizzo delle fonti che trovano la massima valorizzazione nella pratica laboratoriale. Particolare attenzione è dedicata alla fonte storica, esaminata dal punto di vista della sua origine, del concetto e della polivalenza che la caratterizza. L’autore si concentrata sul delicato passaggio dalla storiografia alla didattica, segnalando però l’opportunità – nelle sue pratiche – di guardarsi da eccessi e ritrosie. Si sofferma quindi sulle motivazioni, la tempistica e le modalità di utilizzo delle fonti: procede illustrando modelli di uso e di analisi e proponendo schemi di classificazione, sequenze analitiche e operazioni inerenti alla ricostruzione documentata del passato. Rosso sostiene che a scuola è possibile fare anche ricerche originali e indica negli archivi scolastici una risorsa importante che può essere utile allo scopo.
I metodi e le applicazioni
La terza e ultima parte, preceduta dal saggio di Mattozzi di cui si è già parlato, si articola in otto contributi, nell’ordine: Tre modi di fare storia nella scuola primaria (Gianluca Gabrielli); Geostoria. Studiare lo spazio e il tempo (Emanuela Garimberti); Le fonti letterarie (Eugenia Corbino); Luoghi della memoria (Maria Laura Marescalchi); Fare storia con il CLIL (Paolo Ceccoli); Fare storia con l’EsaBac e Lo studio di caso con documenti di varia tipologia (Francesco Monducci); L’Alternanza scuola-lavoro e il laboratorio storico: temi problemi, proposte (Agnese Portincasa e Filippo M. Ferrara). Nelle precedenti edizioni questa sezione era organizzata secondo criteri molto più didascalici, nel senso che venivano proposte le varie modalità laboratoriali distinte per tipologia di fonti: materiali documentari, iconografici, letterari, cinematografici, testimonianze orali e luoghi della memoria, web e nuove tecnologie, giochi didattici, ecc. L’attuale impostazione, come spiega Monducci nella nota introduttiva, è stata pensata
«per dare ragione delle nuove opportunità offerte da settori in continua evoluzione […], per fare spazio ad attività riguardanti ambiti precedentemente non coperti […], per conferire agli esempi proposti un taglio più immediatamente spendibile nella pratica scolastica quotidiana».
Diamo sinteticamente conto dei contributi di questa sezione, prendendoci la licenza di non seguire precisamente l’ordine di pubblicazione.
Fare storia nella scuola primaria
Il saggio di Gianluca Gabrielli è l’unico appositamente dedicato alle modalità di didattica della storia nella scuola elementare. L’autore propone di mettere in atto tre distinte pratiche: l’uso delle fonti per trarne indicazioni sul passato; la conoscenza storica di una tra le prime e più importanti civiltà umane (l’antico Egitto), con attenzione alle connessioni sociali dell’epoca e i loro mutamenti nel tempo; infine, un percorso di conoscenza contestualizzata storicamente su una ricorrenza del calendario civile.
Fare storia con il CLIL[1]
Nel suo articolo, dopo una disamina degli aspetti normativi, Paolo Ceccoli illustra le caratteristiche della metodologia CLIL, che prevede l’insegnamento di una materia non linguistica in lingua straniera e promuove la convergenza didattica delle due discipline, senza prevalenza dell’una sull’altra. Successivamente, dopo avere affermato che una didattica della storia CLIL non può che avere un’impostazione laboratoriale molto vicina alla didattica degli EAS, propone alcune riflessioni indispensabili per la progettazione di un modulo specifico, ossia: la scelta dei materiali, lo sviluppo di una lezione, la misurazione e la valutazione. Infine, offre due esempi dettagliati di programmazione: l’uso di fonti letterarie inglesi per lo studio della prima guerra mondiale e i processi di decolonizzazione.
Fare storia nei programmi EsaBac[2]
Il contributo di Francesco Monducci ha per oggetto il percorso triennale EsaBac che dal suo avvio, nel 2009, ad oggi ha evidenziato una crescita costante di adesioni e consensi. Tra le sue caratteristiche didattiche si distinguono il costante lavoro con le fonti, modulato dai programmi francesi, e la naturale predisposizione all’interdisciplinarità. A titolo esemplificativo, l’autore propone un dossier documentario di approfondimento dedicato al tema della religiosità e delle credenze popolari fra XI e XIV secolo, che prevede un lavoro molto simile alle attività didattiche connesse con gli studi di caso.
Lo studio di caso
In un altro articolo, lo stesso Monducci, riprendendo la codificazione proposta da Antonio Brusa, si sofferma sullo studio di caso, strumento didattico sperimentato in varie edizioni della Summer School organizzata dall’Istituto nazionale “Ferruccio Parri” e ampiamente diffuso grazie alla rivista novecento.org e al lavoro dei responsabili della didattica della rete nazionale degli istituti. Monducci propone un esempio di lavoro pensato per una classe terza di scuola secondaria di primo grado e incentrato sul tema dell’alimentazione in Italia durante la seconda guerra mondiale. L’esemplificazione didattica è arricchita dall’assegnazione agli studenti di un compito di realtà attraverso la metodologia del webquest. Una volta terminata l’attività dello studio di caso, agli studenti si dà la consegna di sviluppare una ricerca autonoma e di realizzare un prodotto, ad esempio una presentazione in power point, da illustrare in una determinata occasione. Riprendendo la formalizzazione di Dodge e March (Università di San Diego, California, 1995), l’autore esamina le varie fasi dell’attività: la motivazione, la descrizione del risultato atteso, le indicazioni di lavoro, le risorse da utilizzare, la valutazione e il bilancio conclusivo dell’esperienza.
La geostoria
Il più ponderoso capitolo della terza parte è scritto da Emanuela Garimberti ed è dedicato alla geostoria, termine che, prima della declinazione didattica, fu proprio di una nobile tradizione storiografica che ebbe inizio con gli studi di Fernand Braudel. Purtroppo, nella scuola italiana, la geostoria continua ad essere percepita come la mera conseguenza della contrazione delle ore dedicate alla storia e alla geografia. Anche per questo motivo non pare aver prodotto grandi risultati sul piano della complementarietà tra le due discipline e dell’unitarietà dell’insegnamento. Eppure, come afferma l’autrice,
«un percorso di geostoria ben costruito può riuscire a tenere insieme la contemporaneità dell’approccio geografico e la diacronia di quello storico [restituendo] la percezione dell’alterità del passato, così spesso perduta nell’appiattimento sul presente contemporaneo o, viceversa, proiettata all’indietro in un passato a-storico».
L’ambiziosa proposta didattica che correda il saggio è dedicata alla storia sociale del paesaggio storico e consiste in una serie di attività laboratoriali sui paesaggi rurali tra tarda Antichità e pieno Medioevo.
Le fonti letterarie
Eugenia Corbino pubblica un saggio dedicato all’utilizzo della narrativa come fonte storica. L’autrice ravvisa in essa “uno strumento per avvicinare gli studenti alla storia in quanto conoscenza razionale del passato, indagata secondo metodi e tecniche storiografiche”, ma a condizione di tenere separati eventi ed elementi passionali della narrazione. Gli aspetti relativi alla progettualità illustrati nel saggio sono desunti dall’offerta didattica dell’Istituto storico di Firenze e attengono a percorsi realizzati da Paolo Mencarelli e dalla stessa Corbino. Essi hanno per oggetto l’analisi del rapporto tra la Resistenza e una narrativa che scaturisce da ricostruzioni di autori che non ne sono stati protagonisti o testimoni e che, a loro volta, hanno dovuto misurarsi con la ricerca e l’interpretazione dei documenti. Tali percorsi prevedono anche un laboratorio di scrittura collettiva che parte proprio dalla lettura delle fonti.
I luoghi della memoria
Maria Laura Marescalchi, già autrice nelle due precedenti edizioni di un saggio sui luoghi della memoria e i testimoni scritto con Marzia Gigli, ritorna a riflettere con taglio innovativo su questo tema. Il saggio, sul piano del metodo, ribadisce la funzione essenziale della mediazione dell’insegnante che, sola, è in grado di evitare la sovrapposizione tra il piano storico e quello della memoria. Sul piano didattico la proposta – pensata per la scuola superiore ma, secondo l’autrice, adattabile anche alla scuola primaria – verte sulla progettazione di una visita a un luogo della memoria. Viene quindi esemplificata una visita guidata a Monte Sole, supportata dall’esplicitazione dei prerequisiti, delle finalità, degli obiettivi e delle competenze di carattere generale connessi con il noto e prolungato eccidio avvenuto tra il 29 settembre e il 5 ottobre 1944.
L’Alternanza scuola-lavoro e il laboratorio storico
L’ultimo saggio della terza parte, scritto da Agnese Portincasa e Filippo M. Ferrara, riguarda l’Alternanza scuola-lavoro. Il tema è controverso. Sin dalla sua introduzione ha generato difformi valutazioni sulla sua opportunità formativa, originate in buona parte dalla tradizionale difficoltà di comunicazione fra scuola e mondo del lavoro. Aldilà delle questioni divisive di fondo, gli autori si pongono la domanda se e in che modo il modello del laboratorio storico risponda efficacemente alle esigenze dell’Alternanza scuola-lavoro. Quindi, a partire da esperienze realizzate presso l’Istituto per la storia e le Memorie del Novecento Parri E-R di Bologna, propongono un dettagliato piano di lavoro, che può essere assunto come traccia applicabile anche a progetti provenienti da altri contesti ed arricchito da una pregevole scheda individuale di valutazione delle competenze.
Conclusioni e valutazioni
Siamo di fronte a un prodotto molto interessante per l’equilibrata balance fra aspetti teorici, adeguatamente aggiornati, ed esemplificazioni utili e, in buona parte, riproducibili in ambiente didattico a diversi livelli di istruzione. Certo, un bilancio complessivo delle indicazioni operative contenute nel manuale con particolare riguardo ai potenziali destinatari e fruitori non può ignorare il ruolo preponderante assunto in fase esemplificativa dall’istruzione superiore. Del resto, è proprio a questo livello che la pratica laboratoriale incontra le principali resistenze. Tuttavia, lo sforzo di tenere insieme i vari livelli di istruzione è davvero apprezzabile. Inoltre, i docenti della scuola primaria e secondaria inferiore vi potranno trovare elementi utili e spendibili in svariati contesti didattici. Ma, sempre sul piano della formazione, potranno trovare altrettanti elementi significativi anche tutti coloro che sono motivati all’insegnamento della storia e desiderano affrontarla con consapevolezza, convinti che, in una moderna azione didattica, i metodi e le pratiche non possano prescindere dalle finalità. Tra i vari pregi del manuale occorre infine ricordare anche le generose bibliografie e sitografie che corredano ciascun saggio.
Insomma, si tratta di un libro che stimola riflessioni e interrogazioni sul senso dell’azione didattica e sulla coerenza tra il mestiere di insegnante di storia e le sue finalità formative implicite ed esplicite; nel contempo invita a sperimentare, o quantomeno a misurarsi con gli esempi e le proposte presentate. Il volume dunque se – per un verso – costituisce un punto di partenza per successive ricerche, nello stesso tempo, offre un repertorio completo, sia teorico sia sperimentale, per chi vuole dedicarsi alle pratiche didattiche attive.
Note:
[1] L’acronimo CLIL, introdotto da D. March e A. Maljers nel 1994, sta per Content and Language Integrated Learning (apprendimento integrato di contenuti disciplinari in lingua straniera veicolare) ed è stato introdotto nell’ordinamento scolastico italiano dalla Legge di Riforma della Scuola Secondaria di secondo grado avviata nel 2010.
[2] EsaBac è il duplice diploma di istruzione secondaria superiore istituito il 24 febbraio 2009 grazie all’Accordo tra il Miur e il Ministero francese per l’istruzione. L’accordo prevede che l’Italia e la Francia nei loro sistemi scolastici promuovano un percorso bilingue triennale, attivo nel secondo ciclo di istruzione. Tale percorso permette di conseguire contemporaneamente il diploma di Esame di Stato italiano e il Baccalauréat francese.