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Educare attraverso i luoghi: Bologna e la strage del due agosto 1980

Educare attraverso i luoghi: Bologna e la strage del due agosto 1980

Bologna, stazione Centrale, 2 agosto 1980. Le macerie dell’ala Ovest del fabbricato viaggiatori della stazione, dopo essere stata squarciata dall’attentato dinamitardo a sfondo terroristico che, alle ore 10:25, provocò 85 morti e 200 feriti: si trattò del più grave atto terroristico avvenuto in Italia nel secondo dopoguerra, uno degli ultimi nell’ambito della cosiddetta strategia della tensione.
Crediti: Foto di AP Photo – Bologna, 2 agosto 1980, su ilpost.it, 2 agosto 2012., Pubblico dominio, Collegamento

Abstract

L’autrice descrive il progetto “Educare attraverso i luoghi: Bologna e la strage del due agosto 1980” e come attraverso esso sia possibile affrontare diversi nodi didattici ed educativi, dalla didattica del testimone (inclusa la loro progressiva scomparsa) all’insegnamento degli anni Settanta, dall’educazione all’aperto all’educazione civica, passando per la didattica dei luoghi e la Public History.

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The author describes the project “Educating through Places: Bologna and the Massacre of August 2, 1980” and how through it various didactic and educational nodes can be addressed, from witness didactics (including their gradual disappearance) to the teaching of the 1970s, from outdoor education to civic education, via place education and Public History.

L’Associazione fra i famigliari delle vittime della strage alla stazione di Bologna nasce nel 1981 per «ottenere […] la giustizia dovuta»[1] e negli anni successivi si impegna per mantenere viva la memoria e l’attenzione sulla strage, cercando di coniugare alla ricerca della verità giudiziaria, storia, memoria e didattica.

I componenti dell’Associazione, consapevoli di avere un ruolo di testimonianza e consci di non poter sostituire figure come quelle di storici, docenti, esperti di didattica, proprio a questi si sono rivolti per pensare a un progetto da proporre alle scuole di ogni ordine e grado e hanno chiesto, al contempo, all’Assemblea legislativa della Regione Emilia-Romagna di inserire questi progetti in un protocollo d’intesa così che possano essere offerti gratuitamente alle classi emiliano romagnole.

Educare attraverso i luoghi

Il primo progetto elaborato e proposto per l’anno scolastico 2011/2012 è stato il laboratorio didattico “Percorsi di costruzione della memoria pubblica. La strage del 2 agosto 1980: una ferita nella città”. Nell’anno successivo si è deciso, dopo un lavoro di coprogettazione con l’Assemblea e alla luce delle riflessioni metodologiche sulla didattica del Novecento e di altre effettuate con gli insegnanti, di ripensare il progetto, fissando diversi obiettivi: stimolare un uso critico del territorio; fornire strumenti per decodificare l’uso politico di storia, memoria e oblio; scoprire il carattere vitale del passato attraverso il dialogo con le fonti tenendo al centro le riflessione sulla relazione fra storia e memoria e sul rapporto presente/passato/futuro; rafforzare la consapevolezza dell’essere soggetti sociali attivi in grado di accogliere le diversità in un saper fare collettivo.[2]

Da queste riflessioni è nato il percorso didattico “Educare attraverso i luoghi: Bologna e la strage del due agosto 1980”. In questo progetto docenti e discenti sono invitati a uscire dallo spazio classe per lavorare a Bologna in diversi luoghi: il primo, il più denso di significati, è evidentemente la stazione dove il 2 agosto 1980 avvenne la strage che causò 85 morti e oltre 216 feriti. La stazione è a un tempo un luogo-evento, ovvero dove è accaduto il massacro, un luogo-rappresentazione e, per certi aspetti, un memoriale. Certamente è un luogo di memoria.

La prima attività che viene fatta con gli studenti delle scuole (di ogni ordine e grado) è proprio quella di soffermarsi sull’analisi di un luogo solitamente vissuto distrattamente, invitandoli a vedere la stratificazione della memoria presente nell’ala ovest dell’edificio: il muro con un colore diverso da quelli circostanti, lo squarcio, il segno del fornello della bomba, l’orologio fermo alle 10,25, l’intitolazione della sala al primo presidente dell’associazione “due agosto”, e altri ancora. Questo per sollecitare la capacità di analizzare e interpretare le informazioni fornite dall’ambiente circostante e per avvicinare via via gli studenti ai fatti che si vogliono esaminare. Essi vengono così introdotti alle diverse modalità possibili di rendere “visibile” la memoria e stimolati, al contempo, a una partecipazione attiva al processo di costruzione della conoscenza.

Vite e biografie

Nella progettazione del percorso è stato ritenuto fondamentale che gli studenti arrivassero a conoscere le biografie delle 85 persone uccise per identificarle una ad una, togliendole dall’indistinto della strage: si tratta di un tassello per noi irrinunciabile per giungere alla comprensione dell’evento. La presenza in sala d’aspetto della lapide recante i loro nomi permette di guidare gli studenti a scoprire i primi dati biografici delle vittime: l’età, la provenienza geografica, ecc..Queste prime osservazioni stimolano domande sulla vita dei deceduti e sugli ultimi momenti prima dello scoppio della bomba.

Le memorie “di pietra”

Il secondo passaggio prevede l’ascolto di una testimonianza, preceduta da una contestualizzazione storica, presso la sede dell’Associazione a palazzo d’Accursio, in Piazza Maggiore a Bologna.

Prima di entrare nella sala messa a disposizione per l’incontro, ci si sofferma in Piazza del Nettuno, un luogo dove la città si racconta e dove si scoprono tracce legate alla storia contemporanea. Inserita in questo contesto memoriale, assieme a molte altre lapidi legate alla storia delle guerre mondiali e del fascismo, troviamo anche una stele di vetro su cui sono indicati i nomi delle vittime delle tre stragi “bolognesi” degli anni Settanta e Ottanta: l’Italicus, la strage alla stazione, il rapido 90.4[3] Una sosta con gli studenti in questo luogo permette di continuare l’analisi critica del territorio e delle modalità con cui, nel tempo, è stata conservata e resa visibile la memoria.

Le memorie “vive”

Dopo aver visto sui luoghi i segni sia di ciò che è avvenuto sia della memoria che si è stratificata, proporre agli studenti una testimonianza significa continuare a lavorare con e su fonti che possano rendere chiaro come la storia non sia materia astratta e inerte che si occupa di un passato concluso e lontano e stimolare gli studenti a sentirsi soggetti attivi in una costruzione partecipata di un sapere significativo.

L’incontro con un testimone, come è noto, deve essere inserito in una cornice di senso, ovvero gli studenti devono essere portati a comprendere che quella persona è una fonte importante di conoscenza sia della sua esperienza personale che delle vicende legate al passato. L’incontro deve sempre essere accompagnato dall’insegnante e dallo/a storico/a che possono contestualizzare la testimonianza e guidare gli studenti ad analizzare in modo corretto le informazioni che ricevono. Altrettanto acclarato è che non si devono mai sovrapporre le diverse figure, così come deve essere evidente che memoria e storia non sono sinonimi: concetti ben chiari a docenti, storici, formatori, ma non così affermati nel senso comune.

Storia e memoria

Apriamo qui una parentesi doverosa: nel 2007 una legge ha istituito il Giorno della Memoria “dedicato alle vittime del terrorismo interno e internazionale, e delle stragi di tale matrice” richiedendo l’organizzazione, senza oneri per lo Stato, di «momenti comuni di ricordo dei fatti e di riflessione, anche nelle scuole di ogni ordine e grado» ponendo, nuovamente, l’accento sulla memoria e mettendo in ombra la storia, tema che si è posto, e si ripropone, rispetto a tutte le leggi memoriali che sono state via via varate negli ultimi anni. Mettere l’accento sulle vittime non deve far scivolare nella superficiale visione della “vittima da compatire”, non deve mettere in ombra contesto e attori sociali coinvolti. Il lavoro scientifico didattico sulle testimonianze, sulle biografie, sul luogo di memoria, la presenza di una forte cornice storica ci protegge da questo pericolo, così come ci tiene lontano dalla banalizzazione e dalla retorica, pericoli sempre in agguato rispetto a questi temi che allontanano gli studenti dal voler approfondire, comprendere, contestualizzare.

Educare all’ascolto

In questa cornice, l’educazione all’ascolto del testimone[4] è comunque un passaggio fondamentale su diversi livelli: percepire le parole e i silenzi degli altri, dare rilievo al racconto autobiografico, alle storie, significa anche educare all’ascolto di sé, favorire il riconoscimento della propria storia. I racconti di memoria sono, inoltre, momento di incontro, o scontro, fra le generazioni e permettono una didattica inclusiva. Come era preventivabile, l’incontro con il testimone, nel nostro caso un sopravvissuto alla strage o un famigliare di una persona uccisa o un soccorritore, suscita una forte emozione e sviluppa una reazione empatica, come si può riscontrare nei numerosi scritti ed elaborati multimediali realizzati dagli studenti in seguito a questo percorso (ora conservati nel portale Mappe di memoria).[5]

“Cara Marina, sono Teresa, una ragazza che fino a poco tempo fa, precisamente prima di incontrarti, vedeva l’attentato di Bologna come un fenomeno distante. Come un fenomeno di cui, sì, conoscevo la storia, ma che non avevo appieno realizzato. Tu sei riuscita a farmi immaginare ciò che è realmente successo. O meglio…non credo di sapere cosa tu abbia potuto provare, ma sono sicura di aver compreso che ciò che è avvenuto non è descrivibile a parole. Ecco! Questo si! Quelle due ore passate ad ascoltare il racconto di una vita, che da un giorno all’altro è cambiata radicalmente, mi ha profondamente toccato. Mi hanno fatto ragionare su quanto sia difficile trovare aspetti positivi della propria vita anche quando sembra che in essa vada tutto male… E la cosa che mi ha stupito è che tu sia riuscita a fare questa cosa. Che tu alla domanda:” Nonostante tutto pensi che la vita sia una cosa bella?” abbia risposto subito sì. Senza pensarci. Voglio ringraziarti tantissimo per l’impegno che hai messo nel raccontarci la tua storia. Voglio anche dirti che ti stimo molto e che sei davvero riuscita a trasmettermi molte emozioni! Grazie mille di nuovo”.[6]

La “fatica da compassione”

In questi dieci anni, in particolar modo dopo la pandemia, abbiamo potuto però osservare come anche l’incontro con il testimone, che resta comunque uno dei momenti fondamentali e significativi del progetto, possa portare con sé problemi di non poco conto, come la mancanza di attenzione da parte di alcuni studenti, in particolare delle scuole secondarie di primo grado, quasi nell’incapacità di percepire a pieno la portata della testimonianza, o, al contrario, quasi a voler rifuggire dal dolore che, inevitabilmente, quelle memorie portano con loro. Come se fossero colpiti da una “fatica da compassione”[7] anche a causa del nostro presente dove dolore, vittime, situazioni drammatiche quasi mai hanno una corretta esposizione mediatica. Casi ancora relativamente isolati nel contesto dei numeri rilevanti di studenti che ogni anno fanno questo percorso, ma che devono farci riflettere sull’uso della testimonianza nel contesto didattico. Tema rilevante che si coniuga con la questione, da anni al centro della riflessione metodologica, della impossibilità ad avere nel giro di pochi anni persone che possano, de visu, portare il loro racconto rispetto alla storia del ‘900.

La reazione empatica che comunque l’incontro suscita, così come il racconto delle vite delle vittime, diventa importante in una società in cui sempre più di frequente si nota la tendenza a «prendere le distanze da tutto ciò che inquieta la coscienza rifugiandosi nell’indifferenza».[8] Questo atteggiamento, secondo Pulcini, porta anche alla:

disaffezione dalla sfera pubblica creata dalla perdita del legame emotivo con l’altro ma appunto una sorta di diserzione dalla sfera sociale e pubblica fondata, all’origine, sulla perdita del legame emotivo con l’altro. Il narcisismo patologico e la crisi del legame sociale che ne deriva sono dunque da ricondurre a un’assenza di emotività, a una perdita di páthos e di tensione relazionale.[9]

La perdita di empatia, di comprensione e del legame emotivo, porta quindi anche alla disaffezione verso l’agire collettivo, una situazione sempre più lamentata e denunciata.

Nello specifico del progetto, l’ascolto “del testimone mette inoltre in campo atteggiamenti quali la capacità di indignarsi nei confronti dell’uso della violenza, conduce alla riflessione sulla necessità di chiarezza rispetto agli eventi traumatici, sul ruolo dei cittadini nei confronti della rivendicazione del diritto alla verità, induce a riflettere sulla legalità e sulla giustizia e a interrogarsi su come si possa reagire, ieri e oggi, al terrorismo in una dimensione personale e, soprattutto, collettiva alla luce della necessità di salvaguardare i valori democratici.

Educare alla cittadinanza

Competenze e capacità, queste ultime, che rientrano nell’ambito dell’educazione alla cittadinanza attiva e democratica, uno dei principali obiettivi della Strategia europea per la gioventù (2010-2018). Il Consiglio d’Europa definisce, infatti, educazione alla cittadinanza democratica

la formazione e l’accrescimento di consapevolezza, l’informazione, le pratiche e le attività che mirano a dotare i discenti di conoscenze, abilità e competenze sviluppandone le attitudini e i  comportamenti che li possano rendere capaci (to empower them) di esercitare e difendere i loro diritti e le loro responsabilità democratiche nella società, di apprezzare la diversità e di giocare un ruolo attivo nella vita democratica, in vista della promozione e della protezione della democrazia e dello Stato di diritto.[10]

Non è certamente questo il luogo per affrontare il complesso, lungo, tortuoso percorso che concetti e materie di insegnamento quali educazione civica ed educazione alla cittadinanza hanno avuto nelle indicazioni ministeriali e nel dibattito pubblico ed epistemologico, ma forse vale la pena sottolineare che sovente gli insegnanti vedono nella storia del Novecento, e in particolar modo in quella degli anni Settanta, il periodo più adatto per approfondire temi di “cittadinanza” così come lamentano una scarsa conoscenza di quella storia.

Lavorare sui luoghi e con il testimone significa incontrare quindi diverse fonti di memoria che possono coinvolgere ed emozionare e che devono stimolare domande da rivolgere alla storia per non restare fini a se stesse. Per questo motivo diviene molto importante l’intervento organico dello storico, e del docente, in grado di mostrare l’importanza dell’uso critico delle fonti e del confronto dei documenti, di sottolineare la differenza fra memoria e storia, fra fonte e ricostruzione storiografica.

Un format, più usi

La struttura del progetto “Educare attraverso i luoghi” fa sì che possa essere applicata a differenti luoghi di memoria legati agli anni Settanta, alle stragi e al terrorismo italiano. L’approccio proposto agli studenti può essere un “antidoto” alla disaffezione alla storia visto che permette un apprendimento attivo e non passivo, un fare e un saper fare che stimola l’interesse, permette l’apertura della scuola a soggetti esterni e fa sì che la scuola esca sul territorio impegnandosi in veri e propri momenti di Public History.

La sfida che si vuole accettare con questo progetto è anche la prospettiva di lavorare su un periodo della storia del Novecento spesso non insegnato a scuola, affrontando temi sensibili, complessi, sovente sottoposti ad un uso strumentale, temi non “come gli altri”.

Un periodo storico strumentalizzato

Affrontare questi temi diventa sempre più importante per diversi motivi, innanzitutto per la diffusa scarsa -conoscenza sulla storia degli anni Settanta e per il disorientamento che si rileva da interviste, questionari, domande rivolte ai ragazzi: è come se il rumore informativo e le strumentalizzazioni narrative che nel corso degli anni hanno accompagnato questi episodi abbiano contribuito a creare oblio o “false notizie”. Ciò vale ancor di più rispetto alla strage del 2 agosto 1980 che sta vivendo, in questi ultimi anni, un aprirsi di nuovi processi che la riportano alla ribalta mediatica e che hanno messo in campo nuovi meccanismi di negazione o riduzione delle risultanze processuali e delle analisi storiografiche con la creazione e divulgazione di false notizie, di piste “alternative” e false; meccanismi che hanno accompagnato il racconto pubblico della strage fin dal 1980, gli usi, o per meglio dire, gli abusi di storia e memoria, che portano alla creazione di una fake history, artatamente creata per confondere, allontanare, spingere all’indifferenza e all’oblio, per negare, in poche parole, il riconoscimento del diritto alla verità mentre in democrazia è fondamentale il diritto di vivere in una cultura (e una società) in cui è riconosciuta l’importanza della verità dove la conoscenza delle «cose come stanno realmente» – costituisce un bene essenziale.[11]

Vi è quindi più che mai la necessità di riportare la discussione in un ambito di conoscenza nel quale si sia in grado di cogliere le strumentalizzazioni, proponendo un’analisi più approfondita di alcuni eventi della recente storia italiana, troppo spesso sottaciuti o affrontati in modo parziale o commemorativo, e che invece sono importanti anche per la comprensione del presente. Diventa indispensabile fornire ai giovani solide basi sulle quali poggiare la capacità di comprendere ed analizzare i numerosi e, a volte, contraddittori messaggi di cui sono ascoltatori, affinché siano cittadini consapevoli, attenti conoscitori di quelle che sono le radici del loro presente ed acquisiscano consapevolezza, conoscenza, strumenti di analisi e di giudizio.[12]

L’adesione al progetto è cresciuta di anno in anno, grazie agli insegnanti e ad alcuni istituti storici della Resistenza che hanno collaborato all’informazione e alla formazione tanto che se nell’anno scolastico 2011-2012 erano stati coinvolti circa 2.000 studenti e studentesse nell’anno scolastico 2022/2023 sono stati realizzati 180 incontri per un totale di oltre 7.500 studenti/esse accompagnati dai/dalle loro insegnanti. Molte scuole hanno questo progetto nella loro offerta formativa e lo ripresentano di anno in anno.

Prospettive e arricchimenti

La proposta didattica può essere ampliata con un incontro in classe, un momento formativo e informativo in cui si approfondisce il contesto storico degli anni ’70, della strategia della tensione e dei terrorismi e che precede l’incontro a Bologna dove, comunque, resta presente la parte storica che si concentra in modo più specifico sulla strage del due agosto essendo già stato affrontato il contesto in classe. Si tratta di una lezione dialogata in cui si presentano anche fonti quali articoli di giornale, lettere e telegrammi con messaggi di solidarietà fatti pervenire al Comune di Bologna, riprese video, brani di telegiornale.

L’incontro non è previsto nel protocollo firmato fra Assemblea regionale e Associazione due agosto, quindi non è offerto a titolo gratuito, e forse anche per questo non molte scuole lo richiedono. In questo caso la realtà modenese fa eccezione perché, grazie all’Istituto storico, molti incontri vengono effettuati sia per le scuole superiori di secondo grado sia per quelli di primo grado dove, a volte, sostituisce l’incontro a Bologna.

L’intento è di rendere questi momenti sempre più laboratoriali, ben consci delle difficoltà di tenere assieme le informazioni storiche e il lavoro sulle fonti in un tempo forzatamente ridotto.

Un progetto che meriterebbe forse un respiro più ampio rispetto a quello che si riesce a dare durante l’anno scolastico: se il percorso dura una mattinata, ha comunque bisogno di essere ripreso e consolidato in classe, cosa che a volte, a causa del poco tempo dedicabile alla storia materia, non può essere fatto con tutto l’agio necessario.

Conclusioni

Evidentemente, progetti su questi temi sono “esportabili” in ogni regione, non solo perché la strage di Bologna ha coinvolto l’Italia intera e non solo, ma perché la “geografia degli anni Settanta” è, come è ben noto, nazionale.

Il progetto viene sovente inserito negli spazi dedicati all’educazione alla cittadinanza (civica) o nella programmazione di storia dell’ultimo anno delle scuole secondarie di primo e secondo grado, anche se a volte corre il rischio di restare come “sospeso”, vista la difficoltà di affrontare in modo organico il periodo degli anni ’70. Per quanto riguarda le scuole primarie il progetto viene collocato anche negli spazi dedicati alla storia locale.

Molto spesso gli stessi insegnanti non si sono mai trovati, nel loro percorso di formazione, ad affrontare i temi della storia degli anni ’Settanta e quindi risulta estremamente necessario, e non più rimandabile, creare occasioni di formazione, e di auto formazione, con al centro questo periodo storico poco, e a volte mal affrontato; così come non si può più rimandare l’inserimento nella programmazione scolastica di questi temi a sfondare quella barriera del dopoguerra che pare essere ancora così solida a causa dei diversi e noti problemi dell’insegnamento della storia a scuola.

La scuola e i luoghi di formazione devono sempre più essere coinvolti nella costruzione di un percorso di lavoro strutturato, coeso nel tempo scolastico e attivo, che aderisca alla prospettiva della storia-problema, ossia alla consapevolezza del prevalere della ricerca rispetto al “fatto-monumento”, e quindi alla costruzione di ipotesi, modelli, verifiche degli stessi, per approntare progetti legati alla didattica della memoria, sull’educazione alla memoria e della memoria,[13] riflessioni che interessano l’agire quotidiano in classe, nelle aule universitarie e nei rapporti di cittadinanza.

Questo non è che uno dei tanti percorsi che istituti storici, associazioni, insegnanti propongono e realizzano e grazie allo stimolo di questi si dovrebbe, a nostro avviso, aprire un’ampia riflessione attraverso la quale pensare, ancora una volta, alla didattica della storia del Novecento.


Note:

[1] Dal sito dell’associazione: http://www.stragi.it/associazione

[2] C. Venturoli, Educare attraverso i luoghi: un percorso di educazione alla cittadinanza partendo dalla strage alla stazione di Bologna in C. Panciroli (a cura di), Educare nella città: percorsi didattici interdisciplinari nei contesti socio culturali, Franco Angeli, Milano 2018,

[3] Le stragi dell’Italicus e del Rapido 904 avvennero a San Benedetto Val di Sambro, in provincia di Bologna, rispettivamente nel 1974 e 1984. I funerali avvennero in entrambi i casi in piazza Maggiore a Bologna, fu il Comune del capoluogo a farsi carico di tenere le fila dei soccorsi e delle necessità dei feriti ricoverati, per la maggior parte, nei nosocomi bolognesi e delle famiglie delle vittime.

[4] Carla Marcellini, Testimoni a scuola. Una riflessione sull’uso delle fonti orali per la didattica della storia, in “Novecento.org”, n. 3, 2014. DOI: 10.12977/nov42

[5] https://mappedimemoria.it/a-scuola/le-buone-pratiche/

[6] Scritto che Teresa, una ragazza che frequentava la terza classe di una scuola secondaria di primo grado, ha fatto pervenire a Marina, una ferita della strage del due agosto. Lo scritto è stato scelto in quanto rappresentativo dei numerosissimi pensieri inviati dagli studenti delle scuole. http://mappedimemoria.it/a-scuola/le-buone-pratiche/ sito consultato il 19 ottobre 2017.

[7] La “Compassion Fatigue” è una condizione ben specifica studiata rispetto al personale sanitario ed ha, evidentemente, caratteristiche ben definite. Qui la si evoca per indicare, mutatis mutandis, una situazione che ci pare si debba considerare.

[8] I. Mortari , Educare alla cittadinanza partecipata, Bruno Mondadori, Milano, 2000, p. 42.

[9] E. Pulcini, L’individuo senza passioni.  Individualismo moderno e perdita del legame sociale, Bollati  Boringhieri, Torino, 2015.

[10] Traduzione dell’Università di Padova, https://unipd-centrodirittiumani.it/it/pubblicazioni/Il-Consiglio-dEuropa-definisce-e-aggiorna-contenuti-e-metodi-delleducazione-civica-sussidio-utile-per-il-consolidamento-di-Cittadinanza-e-Costituzione/946

[11] C. Venturoli, La strage alla stazione di Bologna: dall’evento traumatico all’esperienza didattica, in Didattica Della Storia – Journal of Research and Didactics of History2(1S), 2020, pp. 475–486,

[12] C. Venturoli, Esperienze nelle scuole, in G. Battelli e A.M. Vinci (a cura di), Parole e violenza politica. Gli anni Settanta nel Novecento italiano, Carocci, Roma 2013, pp. 201-214.

[13]A. Teofilo, Educazione “della” memoria contro educazione “alla” memoria, in “Historia Ludens”, 21 gennaio 2022. https://www.historialudens.it/didattica-della-storia/447-educazione-della-memoria-contro-educazione-alla-memoria.html.