Educazione civica, storia e debate: alcune considerazioni
Il Presidente Gerald Ford e Jimmy Carter si incontrano al Walnut Street Theater di Philadelphia per discutere di politica interna durante il primo dei tre dibattiti Ford-Carter.
Foto di David Hume Kennerly – Gerald R. Ford Presidential Library – (Archived link), Public Domain, Link
Abstract
La diffusione nelle scuole della metodologia del debate richiede una riflessione sulla sua efficacia didattica, sia come strumento per approfondire temi legati all’attualità e alla storia, sia per il suo valore intrinseco, in quanto capace di attivare una vasta gamma di competenze cognitive e sociali.
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The dissemination of the debate methodology in schools calls for reflection on its didactic effectiveness, both as a tool for delving into current affairs and history, and for its intrinsic value as capable of activating a wide range of cognitive and social skills.
Questo articolo è stato sottoposto a revisione in doppio cieco (double blind peer review)
Premessa
Nell’ultimo decennio un numero crescente di scuole italiane ha iniziato ad adottare la metodologia del debate[1]. In attesa di un primo bilancio complessivo di questa pratica, che richiederà la raccolta di dati non solo sulle adesioni, ma anche sui risultati, può essere utile qualche prima considerazione, a maggior ragione su “Novecento.org”, che già da qualche anno dà spazio al debate sul piano sia della riflessione, sia della proposta di argomenti.[2]
Di che cosa stiamo parlando
Il debate è una forma di dibattito competitivo con finalità didattiche basato su regole che prescrivono in modo analitico tempi, organizzazione e criteri di valutazione.
In questa definizione vi sono in realtà elementi problematici, in particolare le espressioni “competitivo” e “finalità didattiche”. Talvolta, infatti, viene fatta una distinzione tra debate competitivi e debate didattici;[3] inoltre l’esperienza degli Stati Uniti, che costituisce uno dei punti di riferimento principali dei promotori del debate in Europa e in Italia, ci parla di una pratica molto diffusa nelle scuole e nelle università, anche come disciplina a sé, e caratterizzata da una impostazione fortemente competitiva, al punto da farne passare talvolta in secondo piano gli aspetti educativi.[4]
Torneremo più avanti su questo tema. Per il momento ci limitiamo a due altre considerazioni introduttive. La prima è che il debate è un esempio, anche se certamente il più noto e diffuso, della “didattica controversiale”, cioè dell’insieme dei metodi centrati sull’attivazione nella scuola di dibattiti, confronti e dialoghi regolati.[5] È importante sottolinearlo, per evitare di considerare il debate l’unica soluzione possibile quando si vogliono proporre a scuola attività di tipo dialogico.
La seconda è che esistono molti modelli di debate, che si differenziano tra di loro anche in modo significativo. Per esempio, nel modello adottato dalla rete Exponi,[6] ogni squadra è composta da sei studenti, di cui tre intervengono direttamente nel corso del dibattito e altri tre svolgono il ruolo di “uditori critici”, cioè seguono i vari interventi prendendo appunti e forniscono suggerimenti strategici ai relatori nei vari momenti di time-out previsti. Invece nel modello della rete WeDebate,[7] i membri della squadra sono solo i tre relatori e non sono previsti time-out; in compenso è possibile porre domande nel corso di una relazione.[8]
Fatta questa premessa, veniamo alla domanda a cui cercheremo di rispondere nel presente contributo: qual è il valore aggiunto specifico del debate in ambito didattico? In altri termini, dando per scontato che ogni debate permetta di approfondire specifici argomenti, cercheremo di verificare se esistano conoscenze, abilità e atteggiamenti promossi da questa metodologia in quanto tale, cioè al di là dei temi trattati. La tesi sostenuta in questo articolo è che il debate possieda un proprio valore didattico specifico, che coinvolge quattro competenze:[9]
- la capacità di ricercare l’informazione
- la capacità argomentativa
- le capacità retorico-comunicative
- le life skills e le competenze di cittadinanza
La ricerca dell’informazione
Nella realtà anglosassone la ricerca dell’informazione è una delle competenze più importanti e valorizzate nelle gare di debate. Anche nelle esperienze italiane più legate a questi modelli il peso attribuito alla fase di ricerca documentale è notevole,[10] mentre negli approcci più vocati al lavoro in classe spesso si lascia all’insegnante l’onere della ricerca documentale.[11]
È evidente che il debate è solo una delle tante metodologie didattiche che possono migliorare le capacità di ricerca degli studenti. Tuttavia, ha il vantaggio di far svolgere questa attività come un problem solving: ricercare informazioni e fonti per sostenere una tesi in un dibattito pubblico ha una forte valenza motivante ed euristica.
Questo è molto importante soprattutto se consideriamo la posta in gioco: lo sviluppo negli studenti della capacità di orientarsi in modo critico e consapevole all’interno del mare magnum di informazioni disponibili su Internet, sapendo distinguere le fonti attendibili da quelle dubbie e soprattutto dalla massa delle fake news circolanti.
Si tratta di una competenza prevista dalle linee guida di Educazione civica e, in particolare, costituisce il cuore del terzo asse (“Cittadinanza digitale”).[12] In ogni caso, al di là degli obblighi formali, il problema dello sviluppo di capacità di ricerca autonoma e consapevole dell’informazione è una delle sfide fondamentali della scuola del XXI secolo in una società democratica.
Affidare agli studenti la ricerca delle fonti nella preparazione del debate non costituisce affatto una rinuncia a guidarli nella maturazione di questa competenza, al contrario è un’occasione da non perdere. Una ricerca svolta in autonomia, che verrà validata o falsificata in un confronto tra pari, ha effetti formativi notevoli. Inoltre, può costituire per i docenti della classe il contesto adeguato a introdurre gli studenti all’uso consapevole della rete. Attività certamente più facile a dirsi che a farsi, anche perché dovrebbe comportare il coinvolgimento di tutti i docenti del consiglio di classe. Non bisogna dimenticare infatti il paradosso del buon ricercatore: per saper riconoscere le fonti attendibili di un certo argomento bisogna almeno in parte conoscere già l’argomento stesso. Sul piano didattico ciò implica che ogni docente fornisca agli studenti un quadro di riferimento per le proprie discipline, con un catalogo di massima delle fonti più autorevoli e indicazioni su come evitare quelle poco o per nulla attendibili.[13] Il debate può incoraggiare sia questo tipo di attività disciplinare, sia una progettazione non legata alle singole discipline, che fornisca agli studenti indicazioni su come effettuare ricerche mirate e su come riconoscere i siti meno attendibili.[14] Il che, nelle situazioni più virtuose, potrebbe mettere capo a un vero e proprio sotto curricolo di Educazione civica centrato sull’approfondimento – ancora una volta teorico e pratico – dei meccanismi di Internet e dei social media.
Imparare ad argomentare
Il più rilevante e specifico contributo didattico dell’attività di debate è lo sviluppo delle capacità argomentative. Di fatto, nelle scuole dove prevale la didattica tradizionale di tipo frontale, l’unico ambito in cui lo studente può metterle alla prova è lo scritto di italiano, che però ha carattere monologico e quindi non abitua ad analizzare e a valutare le argomentazioni altrui. In realtà vi è un contesto in cui gli studenti delle scuole secondarie di secondo grado devono argomentare pubblicamente: gli organi collegiali. Tuttavia, salvo nei casi di scuole che promuovono una formazione specifica in questo ambito, purtroppo gli studenti in genere finiscono per riproporre nei loro dibattiti gli stessi difetti a cui ci hanno abituati i salotti televisivi o i dibattiti politici: la netta prevalenza della retorica, l’indisponibilità all’ascolto e il ricorso ad affermazioni che fanno strame della coerenza logica e della correttezza argomentativa.
Invece il debate può offrire agli studenti la possibilità di esercitarsi nell’argomentazione pubblica in modo riflessivo. La principale sfida della didattica controversiale è infatti formare persone non solo capaci di dibattere efficacemente, ma anche di farlo consapevolmente e correttamente. Stranamente le guide e i manuali dedicati al debate dedicano poco spazio a questo aspetto così importante. Nella cassetta degli attrezzi del debate non dovrebbero invece mancare le categorie di validità e di correttezza: chi partecipa a questa attività dovrebbe imparare a valutare se una argomentazione è logicamente coerente (validità) e fornisce un contributo effettivo al conseguimento della verità (correttezza); il che significa che dovrebbe essere in grado di riconoscere e decostruire le fallacie più diffuse.[15]
La fase di preparazione al debate, almeno nelle scuole secondarie di secondo grado, dovrebbe quindi prevedere alcune nozioni di logica e di teoria dell’argomentazione, in un’ottica non di approfondimento disciplinare, che peraltro nel caso degli indirizzi di studio che prevedono l’insegnamento di filosofia potrebbe anche essere realizzato, ma di acquisizione di strumenti che permettano di diventare cittadini in grado di partecipare in modo critico al dibattito pubblico.
Retorica
Un passaggio che non dovrebbe mai mancare nella preparazione degli studenti al debate è l’analisi di qualche pubblicità: per esempio, comprendere i motivi del successo dello spot del Nescafé con George Clooney, nonostante si tratti di un perfetto esempio di fallacia ad verecundiam,[16] può aiutare a capire il peso della dimensione persuasiva nella comunicazione pubblica. Il debate può essere l’occasione per far comprendere, in modo teorico e pratico, che argomentazioni scorrette sotto il profilo logico-argomentativo, se ben confezionate dal punto di vista comunicativo, possono persuadere molto di più di argomentazioni solide, ma poco seduttive. Per abituare gli studenti a tenere distinte la dimensione retorico-persuasiva da quella logico-argomentativa, bisogna approfondire i meccanismi della comunicazione e far comprendere l’importanza che questa gioca nelle relazioni umane, anche al di là degli intenti manipolatori. Un particolare peso va dato alla riflessione sulla comunicazione non verbale, in genere negletta nel mondo della scuola, dove pure ha un’importanza enorme.[17] Il che, stante anche la presenza del pubblico, avvicina il debate al teatro, che ha una lunga tradizione nella scuola, anche se non adeguatamente valorizzata.[18]
Life skills e competenze di cittadinanza
La metodologia del debate coinvolge anche le life skills e le competenze di cittadinanza.[19] Il carattere regolato del debate, insieme al fatto che l’attribuzione a una squadra del compito di sostenere la tesi pro o quella contro avviene in genere per sorteggio, con la conseguenza di potersi trovare a difendere una tesi che non si condivide, producono effetti rilevanti dal punto di vista educativo. Il rispetto delle regole, soprattutto in un ambito in cui il mondo adulto lo fa poco e male, la disponibilità all’ascolto, il guardare la realtà da un altro punto di vista costituiscono competenze fondamentali in una società democratica.
Per non parlare delle competenze di cittadinanza previste dall’attuale normativa sull’obbligo scolastico, quasi tutte attivate dal debate.[20] Nella fase preparatoria di un dibattito gli studenti sono chiamati a progettare il proprio lavoro di studio e di approfondimento, definendo consapevolmente le proprie strategie e pianificandole analiticamente. Inoltre, con questa metodologia lo studio non è fine a sé stesso ma viene inserito in un contesto, quello della discussione competitiva, in cui è funzionale alla soluzione di problemi specifici. Del miglioramento delle capacità comunicative e della ricerca dell’informazione abbiamo già detto, ma bisogna anche aggiungere la capacità di cooperazione: l’elaborazione delle strategie e la risoluzione dei problemi vengono realizzate dal gruppo, che deve anche essere capace di darsi un’organizzazione interna efficace e finalizzata alla valorizzazione delle peculiarità dei suoi membri. Il carattere regolato del debate può rafforzare anche il senso di responsabilità degli studenti e la loro capacità di inserirsi in un contesto sociale in modo «attivo e consapevole» e di «far valere al suo interno i propri diritti e bisogni riconoscendo al contempo quelli altrui, le opportunità comuni, i limiti, le regole, le responsabilità».[21]
Educazione civica e debate
Come dovrebbe a questo punto apparire chiaro, il debate costituisce di per sé, cioè al di là degli argomenti trattati, un’attività rientrante a pieno titolo nell’Educazione civica. Ciò a maggior ragione se consideriamo i temi trattati, che vengono in genere classificati in tre tipologie: fatti, valori, policy. La prima simula i dibattiti scientifici; la seconda quelli filosofici; la terza l’attività dei governi e dei parlamenti.[22] La distinzione è corretta, ma anche astratta: come sostiene Franca D’Agostini, «La pretesa di verità è un dato essenziale della presentazione di una tesi».[23] Inoltre, è difficile sostenere una policy senza far riferimento ai fatti e ai valori. Sul piano pratico, poi, organizzare debate esclusivamente su fatti o esclusivamente su temi valoriali è difficile, a meno di collocarli all’interno della programmazione di una materia scientifica o di filosofia. Ciò spiega la prevalenza dei temi d’attualità nelle competizioni di debate e il conseguente ulteriore legame con l’Educazione civica, che, come è definita dalla normativa, ha carattere interdisciplinare e si focalizza soprattutto sui problemi del presente.
Storia e debate
Dar vita a dibattiti su specifici eventi del passato potrebbe apparire poco sensato: i fatti storici studiati a scuola sono evidenze acquisite; anche qualora si simulasse il lavoro di ricerca di uno storico o di un archeologo, il risultato sarebbe ben poco motivante, visto che le conclusioni sono già note.
Se però si prendono in esame le interpretazioni storiografiche il discorso cambia. In questo caso il debate può funzionare, perché si tratta di temi aperti di cui si può dibattere e sui quali si possono fare ricerche di approfondimento. Ad una condizione: non trasmettere agli studenti l’idea che i fatti siano indiscutibili e che invece le interpretazioni siano tutte discutibili e tutte sullo stesso piano. Come osserva Paolo Ceccoli, con riferimento alla riflessione di Euroclio, quando si adotta una didattica controversiale è fondamentale «non concedere nulla in termini scientifici (la teoria evolutiva per quanto ne sappiamo è vera e il Fascismo è stato un regime totalitario con tratti criminali quanto qualunque altro), ma permettere agli studenti di condividere apertamente i loro pensieri sfidandoli a proporre prove ed evidenze per sostenerli davanti a tutti; nel caso delle questioni scientifiche (ma secondo noi anche per quelle storiche) ricondurre lo studente alle questioni epistemologiche di base: com’è possibile dire che una teoria scientifica è vera? Come possiamo fare affermazioni veritiere e corroborate in storia?»[24]. Organizzare un debate mettendo a confronto posizioni storiografiche contrapposte è dunque possibile e raccomandabile, purché si tratti di interpretazioni ancora effettivamente oggetto di dibattito da parte degli storici.[25]
Un interessante esempio di questo tipo di debate è proposto da Luigi Garelli e Elena Mastretta, che in un loro intervento su Novecento.org,[26] mettono a confronto le interpretazioni delle leggi antisemite fasciste del 1938 proposte da Renzo De Felice e da Michele Sarfatti. A rendere particolarmente interessante questa proposta è anche il fatto che si tratta di un dibattito di carattere non solo accademico: la questione del carattere autonomo o eteronomo della politica razzista del fascismo ha grande rilevanza anche rispetto all’elaborazione della memoria pubblica italiana.[27]
In alternativa, si possono proporre dibattiti su temi esplicitamente d’attualità fornendo agli studenti l’indicazione di cercare gli argomenti necessari anche nel passato. È per esempio l’approccio adottato da Giosiana Carrara e Agnese Portincasa nel debate Stati interessanti, proposto nel 2019 su Novecento.org.[28] Le due autrici ipotizzano un debate su un tema a dir poco delicato, come l’aborto, integrando i contributi più recenti con una ricostruzione della storia legale, sociale e politica che precedette l’introduzione della legge 194/1978 sull’interruzione volontaria della gravidanza.
Sono anche possibili debate che si collochino a metà strada tra queste due tipologie, cioè riguardino temi d’attualità approfonditi sul piano storico e collegati anche a dibattiti storiografici. Per esempio un debate dedicato all’attualissima domanda “È giusto che lo stato finanzi le scuole private?” potrebbe costituire un’utile occasione per svolgere in classe un doppio lavoro: studiare le discussioni dedicate alla scuola nell’Assemblea Costituente; affrontare il dibattito giuridico-storiografico dedicato all’interpretazione del terzo comma dell’articolo 33 della Costituzione: «Enti e privati hanno il diritto di istituire scuole ed istituti di educazione, senza oneri per lo Stato.»[29]
Una terza possibilità di applicazione del debate a temi storici è la riproduzione di dibattiti effettivamente avvenuti nel passato. Si pensi, per esempio, ai dibattiti di Valladolid del 1550 tra Bartolomé de Las Casas e Juan Ginés Sepúlveda sulla natura dei nativi americani e la legittimità della loro riduzione in schiavitù;[30] oppure ai confronti teologici del periodo della Riforma, come quello tra Erasmo e Lutero sul libero arbitrio.[31] Debate di questo genere, però, devono assumere un carattere ludico, cioè trasformarsi in qualcosa di molto vicino al gioco didattico. La lontananza temporale, culturale e talvolta valoriale – si pensi alle posizioni assunte da Sepúlveda! – è tale da richiedere ai partecipanti la “sospensione dell’incredulità” tipica della rappresentazione teatrale e dei giochi. Insomma, si tratta di debate in cui bisogna non sostenere una tesi, ma interpretare qualcuno che sosteneva una tesi.[32]
Problemi aperti
Il che ci porta al primo dei problemi della pratica del debate: la scelta degli argomenti. Tenendo conto che si tratta di una simulazione, si può dibattere di tutto? Poiché stiamo parlando di dibattiti in un contesto scolastico, la risposta non può che essere negativa. Come si è detto in precedenza, l’attività di debate non deve legittimare tra gli studenti una sorta di relativismo gnoseologico, per cui tutte le opinioni sono sullo stesso piano. Ciò va esteso anche all’ambito etico-politico: non si possono fare debate su tesi insostenibili dal punto di vista scientifico ed etico. Quindi nessun debate sul razzismo o sulla legittimità della schiavitù, a meno di trasformarli in rappresentazioni ludico-teatrali, cioè in qualcos’altro. Il che non toglie che l’insegnante faccia bene a scegliere la via del dialogo quando rileva tra i propri studenti posizioni etico-politiche inaccettabile o plateali falsità storiche o scientifiche; ma farne l’oggetto di un debate vorrebbe dire legittimarle. Un debate funziona se entrambi le tesi in gioco sono ragionevoli e plausibili. Tra l’altro, anche facendo scelte oculate, possono emergere “obiezioni di coscienza” da parte degli studenti. In questo caso è consigliabile cambiare argomento, per non vanificare l’effetto motivante del debate.
Un altro problema è legato agli eccessi di competitività, a cui accennavamo all’inizio. È importante sottolineare che una certa dose di competizione è ineliminabile dal debate. Non dimentichiamo che abbiamo importato questa pratica dal mondo anglosassone, che però a sua volta l’ha ereditata dal mondo classico e medievale: l’Atene del V-IV secolo a.C. dei “discorsi doppi” e della dialettica dei sofisti, di Socrate, di Platone e di Aristotele; le università medievali, nelle quali le disputationes costituivano una pratica didattica fondamentale. Ebbene, in tutti questi casi l’elemento conflittuale era sempre presente. Per evitare, però, che la dimensione competitiva diventi il fine e non un mezzo è necessario fare del debate una pratica didattica da usare innanzi tutto in classe, anche con soluzioni organizzative mirate: proporla in orario curriculare a tutti, e non solo in orario pomeridiano a pochi interessati; adottare modelli che prevedano squadre numerose e, in caso di tornei di istituto, stabilire l’obbligo della turnazione tra gli studenti della classe.
Un ultimo problema che non può essere eluso è quello della valutazione, in duplice senso: la valutazione delle singole gare di debate e quella degli studenti che praticano questa attività. Ogni modello di debate propone una propria scheda di valutazione; però, al di là delle differenze, tutte coinvolgono sostanzialmente le stesse competenze, che poi sono tre delle quattro che abbiamo esaminato in questo articolo: la ricerca dell’informazione, la logica argomentativa e la retorica. Il punto è quale peso viene attribuito a queste tre dimensioni, in particolare a quella retorica: se uno degli obiettivi del debate è favorire tra gli studenti un approccio alla discussione pubblica che dia più peso ai contenuti e al rigore argomentativo che alla retorica, è necessario adottare criteri che siano coerenti con questo obiettivo. Purtroppo, esaminando le schede di valutazione più diffuse, emerge proprio uno squilibrio a favore della dimensione retorica,[33] il che suggerisce l’opportunità, per chi non è interessato a partecipare a contest nazionali, di elaborare proprie tabelle valutative meglio ponderate.
Per quanto riguarda invece la valutazione degli studenti, il primo punto da sottolineare è che non può in nessun modo coincidere con la valutazione delle gare, né può adottarne gli stessi indicatori, a meno di non voler subordinare la dimensione didattica a quella competitiva. Ciò che va considerato, più che la performance competitiva, è l’insieme dei comportamenti prima e durante l’attività e i risultati educativi conseguiti. Come appare evidente, si tratta di valutazioni plurifattoriali che mal si prestano a una traduzione in un singolo numero, ma semmai incoraggiano l’integrazione delle osservazioni dei docenti con l’autovalutazione degli studenti. Il tutto con l’accortezza di non dimenticare che uno di vantaggi di un debate ben gestito è la sua capacità di accrescere l’interesse e la motivazione allo studio degli studenti: per questo motivo bisogna evitare di rovinare momenti di passione scolastica così rari e preziosi per l’ossessione del voto finale.
Bibliografia
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- I. Pizzirusso – G. Uberti, Giocare la storia in città: storytelling, gamification e urban games storici in “Officina della storia”, 24 Aprile 2020 in https://www.officinadellastoria.eu/it/2020/04/24/giocare-la-storia-in-citta-storytelling-gamification-e-urban-games-storici (consultato il 24/5/2023).
- T. Todorov, La conquista dell’America. Il problema dell’«altro», Einaudi, Torino 1992.
- P. Watzlavick et alii, Pragmatica della comunicazione umana, Astrolabio, Roma 1971.
Note:
[1] WeDebate, la principale rete di scuole italiane che praticano l’attività di debate e che ha il sostegno del Ministero dell’Istruzione, dalla fondazione del 2012 ad oggi (maggio 2023), è passata da 6 a 270 istituti scolastici aderenti (https://www.debateitalia.it/pagine/wedebate). Ancora più significativo è il dato fornito dal Movimento Avanguardie Educative: l’idea di debate, promossa nel 2015 e adottata da una ventina di scuola agli esordi, vede oggi 654 aderenti; inoltre, tra le idee promosse da Movimento Avanguardie Educative nell’ultimo decennio, il debate, dopo la flipped classroom, è quella che ha conosciuto dal 2015 la maggior crescita di adesioni. Cfr. https://innovazione.indire.it/avanguardieeducative/le-idee .
[2] Cfr. https://www.novecento.org/tag/didattica-controversiale. Va ricordato che la Summer School della Rete Parri del 2018 venne dedicata proprio al debate.
[3] Per esempio, troviamo questa distinzione nelle relazioni di alcune scuole capofila delle Avanguardie Educative: Avanguardie educative, Linee guida per l’implementazione dell’idea “Debate (Argomentare e dibattere), versione 2.0 [2019], pp. 17-24 ( https://pheegaro.indire.it/uploads/attachments/3146.pdf).
[4] Cfr. M. De Conti, J. Zompetti, L’etica del Debate, Pearson, Milano-Torino 2019.
[5] Cfr. Euroclio, Learning to Disagree, 2021, https://www.euroclio.eu/wp-content/uploads/2021/06/Learning-to-Disagree_Manuale-per-linsegnante_Versione-Web_Updated.pdf.
[6] www.weworld.it/partecipa/exponi-le-tue-idee.
[7] www.debateitalia.it/pagine/wedebate.
[8] Un quadro parziale dei principali format di debate si trova in www.raffaelloformazione.it/wp-content/uploads/2022/03/Format-e-conduzione-dibattito.pdf.
[9] Per una trattazione più dettagliata delle competenze che possono essere attivate o rafforzate dal debate si vedano: Avanguardie Educative, Linee guida per l’implementazione dell’idea “Debate, cit., pp. 6-17; M. De Conti, M. Giangrande, Debate. Pratica, teoria, pedagogia, Pearson, Milano-Torino 2017, pp. 8-14.
[10] De Conti, Giangrande, 2017, pp. 63-88.
[11] Cfr. https://www.novecento.org/tag/didattica-controversiale/.
[12] Cfr. https://www.istruzione.it/educazione_civica/.
[13] Un esempio interessante di guida alla ricerca storica sul web è costituito dall’opuscolo “Questo chi lo dice? E perché?” curato dal collettivo di storici Nicoletta Bourbaki. La guida, che si rivolge specificatamente agli studenti delle superiori e propone esercitazioni specifiche, ha il merito di affrontare anche il tema dell’utilizzabilità di Wikipedia, con particolare riguardo alle voci storiche di Wikipedia.it. Nicoletta Bourbaki, Questo chi lo dice? E perché? marzo 2018, https://www.wumingfoundation.com/NB_Questo_chi_lo_dice_032018.pdf.
[14] Segnaliamo, tra i molti strumenti prodotti negli ultimi anni su questo tema, uno facilmente utilizzabile in ambito scolastico: il CRAAP test. CRAAP è l’acronimo di cinque indicatori: Currency, Relevance, Authority, Accuracy, Purpose, ciascuno dei quali è articolato in una serie di domande che possono aiutare a valutare il grado di attendibilità di un sito. Il test è stato elaborato da una docente della California State University (https://library.csuchico.edu/sites/default/files/craap-test.pdf) e ne esistono anche versioni in italiano (per esempio: https://it.pearson.com/content/dam/region-core/italy/pearson-italy/pdf/storia/ITALY-DOCENTI-STORIALIVE-2020-Educazione-Civica-Cittadinanza-digitale-CRAAP-TEST.pdf).
[15] Cfr. F. D’Agostini, Verità avvelenata. Buoni e cattivi argomenti nel dibattito pubblico, Bollati Boringhieri, Torino 2010. Si tratta di un’ottima sintesi dei contributi che la teoria dell’argomentazione può dare all’analisi critica del dibattito pubblico, con particolare riguardo al tema delle fallacie, che vengono approfondite nei loro molteplici aspetti. L’autrice, docente di filosofia all’Università degli Studi di Milano e al Politecnico di Torino, affronta anche gli aspetti retorici ed epistemologici dei dibattiti pubblici, il che fa del suo libro uno strumento utilissimo per i docenti che vogliano proporre il debate nelle proprie classi.
[16] Si ha una fallacia ad verecundiam quando si portano come argomento le affermazioni favorevoli alla propria tesi di una persona famosa, ma non esperta delle questioni di cui si sta discutendo. Cfr. Franca D’Agostini, 2010, pp. 114-116.
[17] Spesso gli insegnanti dimenticano che la comunicazione in classe è fatta non solo di contenuti, ma anche, se non soprattutto, di forma: ciò che passa agli studenti è fortemente condizionato da come si parla e da come ci si relaziona con loro, e in tutto questo la gestione da parte del docente della propria corporeità ha un ruolo tutt’altro che irrilevante. In proposito rimangono fondamentali le riflessioni di Paul Watzlavick: Paul Watzlavick et alii, Pragmatica della comunicazione umana, Astrolabio, Roma 1971.
[18] Sul nesso tra educazione e teatro, nel duplice senso dell’uso del teatro in ambito educativo e dell’educazione come teatro, si veda R. Mantegazza, L’educattore, edizioni la meridiana, Molfetta 2006.
[19] Per le life skills cfr. https://www.lifeskills.it/le-10-lifeskills.
[20] Ricordiamo che le competenze di cittadinanza previste dall’obbligo scolastico sono: imparare ad imparare; progettare; comunicare; collaborare e partecipare; agire in modo autonomo e responsabile; risolvere problemi; individuare collegamenti e relazioni; acquisire ed interpretare l’informazione (cfr. https://www.indire.it/lucabas/lkmw_file/obbligo_istruzione/Obbligo_ist_DEF.pdf, p. 25).
[21] Sempre in https://www.indire.it/lucabas/lkmw_file/obbligo_istruzione/Obbligo_ist_DEF.pdf, p. 25.
[22] De Conti, Giangrande, 2017, pp. 37-43.
[23] D’Agostini, 2010, p. 26.
[24] P. Ceccoli, Questioni controverse da discutere in classe. Tecniche didattiche nell’insegnamento della storia e dell’educazione civica, in ”Novecento.org”, 15/9/2021, https://www.novecento.org/pensare-la-didattica/questioni-controverse-da-discutere-in-classe-tecniche-didattiche-nellinsegnamento-della-storia-e-delleducazione-civica-7178.
[25] Buona parte dei debate pubblicati su Novecento.org (https://www.novecento.org/tag/didattica-controversiale) adotta questo approccio, proponendo per ogni tema un confronto tra tesi storiografiche contrapposte.
[26] L. Garelli, E. Mastretta, Di pura legge italiana? La vera origine del RDL n. 1728 Provvedimenti per la difesa della razza italiana, in ”Novecento.org”, 9/1/2019, https://www.novecento.org/didattica-in-classe/di-pura-legge-italiana-la-vera-origine-del-rdl-n-1728-provvedimenti-per-la-difesa-della-razza-italiana-3506/ .
[27] Sostenere che queste leggi non vennero introdotte per obbedire alle richieste di Hitler, ma furono il frutto di scelte politiche autonome di Mussolini e del suo regime, rende poco praticabili politiche memoriali di tipo autoassolutorio. In proposito cfr. F. Focardi, Nel cantiere della memoria, Viella, Roma 2020, pp. 153-191.
[28] G. Carrara, A. Portincasa “Stati interessanti”. Aborto e intolleranza di genere. Il caso in Italia, in ”Novecento.org”, 26/2/2019, https://www.novecento.org/didattica-in-classe/stati-interessanti-aborto-e-intolleranza-di-genere-il-caso-in-italia-3541/
[29] Sui dibattiti sulla scuola nell’Assemblea Costituente cfr. Luigi Ambrosoli, La scuola alla Costituente, Paideia, Brescia 1987, e, specificatamente sul problema del finanziamento delle scuole non statali, Fabrizio Calzaretti, Senza oneri per lo Stato: la posizione dei Costituenti sulle sovvenzioni alle scuole non statali (2009), https://www.forumcostituzionale.it/wordpress/images/stories/pdf/documenti_forum/paper/0123_calzaretti.pdf.
[30] T. Todorov, La conquista dell’America. Il problema dell’«altro», Einaudi, Torino 1992, pp. 177-203.
[31] R. H. Bainton, La Riforma protestante, Einaudi, Torino 1984, pp. 64-79.
[32] Sul gioco come strumento didattico per lo studio della storia si vedano: A. Brusa, Giochi per imparare la storia, Carocci, Roma 2022; I. Pizzirusso, G. Uberti, Giocare la storia in città: storytelling, gamification e urban games storici in “Officina della storia”, 24 Aprile 2020 (https://www.officinadellastoria.eu/it/2020/04/24/giocare-la-storia-in-citta-storytelling-gamification-e-urban-games-storici); www.historialudens.it.
[33] Nelle gare della rete WeDebate la dimensione persuasiva pesa per il 40% della valutazione (De Conti-Giangrande, Debate, cit., pp. 138-147), mentre in quelli della rete Exponi per il 50% (https://ejbn4fjvt9h.exactdn.com/uploads/2022/10/EXPONI_Regolamento-scuole-secondarie_22-23.pdf)