Fare storia attraverso le date del calendario civile
Partire dalle date scandite dal calendario civile della Repubblica italiana per costruire dei percorsi che ricostruiscono gli eventi fondamentali del Novecento, attraverso alcune “storie” del nostro recente passato, mettendo in evidenza i conflitti, le speranze, le lotte e le conquiste che hanno accompagnato la difficile costruzione di un senso comune di appartenenza italiana ed europea.
Pensare al “calendario civile” oggi significa partire dalle riflessioni e dalle esperienze maturate da più di un decennio all’interno della rete degli Istituti associati all’Insmli, approfondite a partire dal 2008, anno di introduzione nelle scuole italiane dell’insegnamento di “Cittadinanza e Costituzione”, con lo scopo di sviluppare nei giovani “le competenze civiche e sociali” (il volume curato da A. Delmonaco, Fare storia. Crescere cittadini. Cittadinanza, Costituzione, insegnamento della Storia: percorsi e prospettive, Zona, Arezzo, 2010, offre un’ampia panoramica del lavoro degli istituti in questa direzione).
Costruire un percorso di storia contemporanea attraverso le vicende legate ai “giorni della memoria” e alle feste del calendario civile rende in primo luogo necessario che i docenti si interroghino su quali apprendimenti si intendono mettere in atto nella relazione didattico-formativa e in quali cornici storiche inserire la narrazione. “Senza un solido ancoraggio al passato – come afferma De Luna – diventa molto difficile costruire un senso di condivisione, di cittadinanza e di appartenenza” (G. De Luna, La Repubblica del dolore. Le memorie di un’Italia divisa, Feltrinelli, Milano,2011, p.13). Tuttavia la conoscenza storica è oggi condizione necessaria, ma non sufficiente: appare indispensabile, in un momento di indebolimento dei riferimenti comuni, individuare cornici transtoriche, in grado di partire dai contesti per creare occasioni di riflessione sui valori fondamentali dell’agire umano, identificabili attraverso una serie di parole chiave: differenze, diritti, responsabilità, identità, appartenenza, partecipazione.
Siamo in presenza di una proliferazione di “giorni della memoria”, alcuni dei quali, come il 27 gennaio e il 12 febbraio, hanno ormai assunto caratteri di massa, coinvolgendo scuole, Comuni, associazioni, istituzioni (per una panoramica e un bilancio vedi A. Braga, A. Fontanesi, Conoscenza storica e calendario civile. Usi e abusi della memoria, in A. Delmonaco, Fare storia, crescere cittadini, cit., pp.129-148). A livello italiano ed europeo negli ultimi anni è parso predominare un tipo di memoria dominato dal “paradigma vittimario”, come lo definisce De Luna. Ciò ha prodotto una privatizzazione del dolore, una carica rivendicativa, una inesausta richiesta di risarcimento e riparazione e infine “la competizione fra le varie vittime, quasi che ognuna di loro, per poter vedere riconosciuto il proprio dolore, debba sopravanzare quello delle altre” (G. De Luna, La Repubblica…, cit., p.16). Alla luce di queste considerazioni ci sembra importante non circoscrivere l’attività didattica legata ai “giorni della memoria” alle ferite, ai lutti, alle tragedie. Ciò permette di affrontare lo studio del Novecento non solo come il secolo dei totalitarismi, delle guerre, dei genocidi, ma anche come uno dei momenti propositivi di costruzione di appartenenze collettive e di affermazione di diritti.
Vorremo qui di seguito enucleare tre punti problematici, fra i tanti che ci hanno guidato nella strutturazione dei percorsi volti ad approfondire le rilevanze storiche del calendario civile, frutto della nostra esperienza nelle scuole come docenti comandate presso l’Irsifar e presentati nel libro Il calendario civile. Percorsi di educazione alla cittadinanza, Milano, La Nuova Italia-RCS scuola, Milano, 2012. Questo lavoro presenta inoltre un’ espansione digitale: una serie di lezioni multimediali sull’educazione alla cittadinanza a partire dalle date del libro, erogata tramite iProf, un’applicazione fornita su DvD-rom.
1. La responsabilità individuale e la costruzione della capacità di giudizio (27 gennaio: Giorno della memoria-10 febbraio: Giorno del ricordo)
Nel presentare agli studenti le giornate “istituzionali” della memoria (27 gennaio e 10 febbraio), proprio al fine di evitare i pericoli ricordati in precedenza, abbiamo cercato di dare rilievo a contesti che mettano in evidenza la necessità dell’assunzione della responsabilità individuale e dell’esercizio del pensiero critico, soprattutto in contesti di negazione dei diritti e di violenza organizzata.
Il percorso legato al Giorno della memoria può essere l’occasione per riattraversare le vicende della Shoah non solo attraverso lo sguardo e il ricordo delle vittime, ma anche attraverso il ruolo degli altri protagonisti: carnefici, complici, spettatori, secondo la definizione di Raoul Hilberg. Come esempio può valere ciò che accade nei territori sovietici dopo il giugno 194, dove le uccisioni di centinaia di migliaia di ebrei (più della metà delle vittime totali della Shoah) avvengono in modo massiccio, rapido e sistematico e sono rese possibili grazie anche al concorso degli abitanti locali che collaborano con l’occupante. Anche la nostra storia nazionale ci fornisce spunti in questo senso. Dopo l’8 settembre 1943, la “caccia agli ebrei” nell’Italia occupata procede con celerità grazie alla collaborazione fra nazisti e fascisti di Salò. I cinque anni di legislazione razziale, infatti, hanno espulso gli ebrei dal corpo della nazione e hanno permesso informazioni dettagliate su ogni singolo nucleo familiare. L’impegno disinteressato di tanti individui – molti dei quali oggi riconosciuti come “Giusti” dallo Stato di Israele – si contrappone a coloro che contribuirono alla tragica sorte degli ebrei con gli arresti, le delazioni o semplicemente l’indifferenza.
Per ciò che riguarda il Giorno del ricordo, l’area giuliano-dalmata offre uno degli esempi più efficaci di un territorio in cui si sono concentrati alcuni temi che ancora caratterizzano il nostro presente: costruzione del nemico, scontro tra differenze, emarginazione, uso politico della violenza. Queste “lunghe durate” dell’agire umano che hanno generato gli orrori del Novecento, stravolto la coesione sociale e segnato tragicamente destini individuali e collettivi, sono in larga misura gli esiti del venir meno della capacità di giudizio e dell’assunzione di responsabilità individuale.
2. La progettualità collettiva per l’affermazione dei diritti (8 marzo: Giornata internazionale della donna- 1° maggio: Giornata internazionale del lavoro)
Due date – l’8 marzo e il 1° maggio –evidenziano più di altre il ruolo che nel corso del Novecento hanno avuto i movimenti collettivi per favorire e riconoscere cambiamenti di costumi e di mentalità e per promuovere le necessarie innovazioni legislative per la conquista della piena cittadinanza delle donne, da un lato, e dei lavoratori dall’altro.
La data dell’8 marzo non è considerata festa nazionale e non rappresenta più da tempo in momento di incontro e di visibilità collettiva per le donne. Eppure dare rilievo alla storia delle donne – che si incontra sui manuali scolastici solo in forma episodica – ha un valore formativo ed educativo che trascende la disciplina. Niente come la storia delle donne mette in campo la ricerca di un nuovo rapporto tra diritti individuali e diritti collettivi, nonchè la creazione di un inedito universalismo sostanziato dalla contemporanea rivendicazione di differenza e uguaglianza. Nonostante ostacoli e contraddizioni, oggi i diritti delle donne sono considerati a pieno titolo diritti umani e uno dei rilevatori più significativi per valutare il progresso sociale.
Non è dato sapere quanti dei giovani oggi abbiano coscienza del significato della Festa internazionale del 1° maggio. Certamente molti di loro hanno consapevolezza delle difficoltà che incontreranno al loro ingresso nel mondo del lavoro. Nell’orizzonte di vita dei “nuovi lavoratori” si sono da tempo imposti precarietà, incertezza, assenza di diritti. Avere coscienza di ciò che sta alle spalle di questa giornata di festa può contribuire ad avviare un confronto tra il presente dei nostri giovani e un passato carico di progettualità e di consapevolezza.
3. Riscrivere i “patti di cittadinanza” (25 aprile: Festa della Liberazione- 9 maggio: Festa dell’Europa- 2 giugno: Festa della Repubblica)
La conoscenza delle vicende storiche deve rappresentare uno strumento per la lettura del presente e la costruzione del futuro e soprattutto per la riscrittura di “nuovi” patti di cittadinanza nazionali ed europei “Nuovi” perché si pongono di fronte alla sfida di inglobare gli stranieri che si stabiliscono in Europa e perché le istituzioni devono sentirsi chiamate a rifondare una cittadinanza plurima, nazionale ed europea.
La Festa della Liberazione è stata a lungo utilizzata come strumento di mobilitazione politica, oppure svilita dalla retorica celebrativa. Oggi il 25 aprile, proprio a partire dalla scuola, può diventare una vera “festa della nazione”. Fra le tante strade che si possono seguire, appare decisivo inserire pienamente la Resistenza italiana nel contesto della Resistenza europea. Ciò significa comprendere su quali basi ideali, politiche e sociali si è avviata la ricostruzione dell’Europa dopo il disastroso conflitto mondiale e accrescere la consapevolezza di essere parte, come cittadino italiano ed europeo, di una storia comune e quindi di un comune avvenire.
Anche la Festa della Repubblica va inserita nel più ampio contesto del pensiero politico democratico e del costituzionalismo europeo. Seguire la genesi e le premesse della Costituzione repubblicana vuole dire rendere i giovani consapevoli del fatto che i diritti di cittadinanza non sono un “dono di natura”, ma una conquista, gradualmente e faticosamente ottenuta nel mondo occidentale. Oggi, nella nostra società, il problema del riconoscimento dei diritti, e quindi delle inclusioni e delle esclusioni, è di estrema attualità, data anche la presenza nella scuola di tanti studenti di origine straniera, si spera in un futuro non remoto cittadini italiani. Nello stesso tempo l’affermazione dei diritti individuali deve accompagnarsi nelle giovani generazioni all’esperienza del “sentirsi parte” di una collettività verso la quale sviluppare impegno e responsabilità.
La ricorrenza della Festa dell’Europa favorisce, infine, la riflessione su un nodo di centrale importanza: costruire una cittadinanza-appartenenza europea partendo dalla molteplicità invece che dall’unità e mantenere nel tempo il policentrismo culturale che ha caratterizzato la storia del continente. Come riattraversare con i giovani un lungo cammino che delinea una storia in cui a conquiste di alto valore etico sono seguiti momenti di barbarie? Che cosa compone questo patrimonio comune? Concetti quali giustizia, tolleranza, laicismo si sono affermati sul lungo periodo per stratificazioni successive e hanno dato corpo a una delle caratteristiche più importanti del pensiero europeo: la continua messa in discussione di sé, il pensiero critico sulle acquisizioni e le conquiste. Solo se l’Europa saprà mantenere questa caratteristica – comunicandola alle giovani generazioni – potrà allargare al suo interno gli spazi di democrazia e realizzare patti di cittadinanza pienamente rispondenti alle necessità del presente.