Geostoria della mondializzazione
Il profondo rinnovamento culturale in un mondo globalizzato
Seminario CVM, Senigallia, Venerdi 5 settembre 2014
Abstract
Ogni anno, al principio di settembre, un paio di centinaia di docenti e di operatori culturali delle Ong si riuniscono per studiare un tema : come trasformare le discipline di studio nel nuovo millennio ? Il punto fermo, dal quale questa riflessione, giunta ormai all’ottavo anno, è partita è questo: la sostanza di questo cambiamento non è legata né al mutamento dell’utenza, e in particolare alla presenza in classe dei bambini stranieri, né all’impetuoso avvento del digitale. E’ il nuovo mondo che ci impone un ripensamento di quegli strumenti di comprensione, che abbiamo lentamente prodotto nel corso dei secoli. In conseguenza, occorre rinnovare i curricola di studio. Christian Grataloup mostra, in questo scritto, che riproduce la lezione inaugurale dell’edizione di quest’anno, la direzione verso la quale si dovrebbero riformulare due discipline fondamentali nella formazione del cittadino – Storia e Geografia. Fa vedere chiaramente come la “Geostoria” sia frutto, da una parte, del rinnovamento degli studi, e, dall’altra, della nascita del Mondo (scritto con la maiuscola), un pianeta i cui abitanti cominciano a vivere in stretta interazione.
Indice
L’idea principale di questa relazione è di collegare la mondializzazione, osservata nella sua lunga durata storica con gli strumenti intellettuali per pensare il Mondo e la sua storia. « Mondo »: lo scrivo qui con la maiuscola, perché questa parola è utilizzata come un toponimo, il nome proprio di un’entità geografica, e perciò sociale, che non è sempre esistita: l’umanità in interrelazione.
Il piano della relazione è semplice. Comincia con la
Poi, in un secondo tempo, dal momento che sono un geografo, insisterò sulla
Infine, in una terza parte, ci interesseremo ai
3. problemi simmetrici sul pensiero del tempo delle società,
che ci condurranno a parlare di quella storia che viene denominata « globale », e dunque al bisogno della geostoria.
Prima parte
La mondializzazione delle scienze sociali dopo i « Trenta Gloriosi »
I « Trenta gloriosi » sono un’espressione francese che designa il periodo di forte crescita in Europa – dal 1945 al primo choc petrolifero – epoca egualmente detta del « Miracolo italiano ». La prima parte è una messa in relazione di due processi, databili entrambi intorno al 1980, ma che sono trattati spesso separatamente : la mondializzazione e ciò che si chiama solitamente « la postmodernità ». Il primo è trattato spesso dalla storia economica ; il secondo in quella del pensiero. E’ verso il 1980, che nella gran parte delle lingue, le parole « mondializzazione » o « globalizzazione » fanno il loro ingresso nei dizionari del linguaggio parlato. Io sostengo l’idea che questi due processi siano una cosa sola, e che la modernità non sia in realtà che la presa di coscienza del Mondo, in particolare da parte degli Occidentali, e quindi della mondializzazione. Ciò modifica la messa in prospettiva del passato, introducendo una dimensione geografica forte, quella che lo storico Fernand Braudel aveva chiamato, nel 1949, la « geostoria ».
Per chi ama gli aneddoti, il termine « postmodernità » è nato nella riflessione sull’architettura. E’ Charles Jenks che inventa la formula, al principio degli anni ’70, come reazione all’architettura che si definiva « moderna », quella della Carta di Atene, il cui protagonista principale fu Le Corbusier. L’architettura, dopo la fine degli anni ’70, moltiplica le citazioni, le variazioni locali. Tutto il contrario della costruzione « moderna » che si voleva universale, d’ogni tempo, e, soprattutto, di ogni luogo : costruzioni senza storia e senza geografia, in qualche modo.
Le realizzazioni architettoniche moderne più diffuse, quelle che conosciamo in Italia come in Francia, sono i grandi complessi residenziali, destinati ad alloggiare i nuovi cittadini e a rispondere alla crisi delle abitazioni del dopoguerra. Dopo gli anni ’70, queste realizzazioni suscitano molte critiche, e sono sempre più frequentemente smantellate.
E’ per questo, con una precisione divertente, che Jenks data l’inizio della postmodernità al 15 luglio del 1972, alle ore 15 e 32 (non si è solitamente così precisi nella storia delle idee!). Fu allora, che uno dei complessi più importanti del Mondo, Pruitt-Igoe (a Saint-Louis, negli Stati Uniti), costruito dallo stesso architetto delle Twin Towers, distrutte l’ 11 settembre 2001, venne abbattuto.
Tutto ciò sarebbe rimasto nella sola storia dell’architettura, e non ve ne starei parlando, se il termine « postmodernità » non fosse stato ripreso dai filosofi, e in particolare da Jean-François Lyotard, ne La condizione postmoderna del 1979, nel momento stesso in cui, nel vocabolario giornalistico si diffondeva il termine « mondializzazione ». La postmodernità, epistemologicamente, è la constatazione che la modernità, così come l’Europa l’aveva inventata nel XVIII secolo con la filosofia illuminista, la fede nell’idea di Progresso in particolare, si era esaurita. Effettivamente, in un tempo brevissimo, nel corso degli anni ’80, si assiste alla « fine delle Grandi Narrazioni », ossia dei grandi schemi di lettura evoluzionista della storia, in primo luogo del marxismo. E’ egualmente la fine delle grandi ambizioni di classificazione sistematica, e fra tutte, dello strutturalismo.
Nei campus delle università degli Stati Uniti, la postmodernità si diffonde molto rapidamente, spesso sotto forma di collage di testi di Michel Foucault, Jacques Derrida, ecc. Gli intellettuali francesi ne ottengono grande gloria, perché questa rottura fu chiamata la French Theory, per quanto si trattasse di un movimento di pensiero statunitense. La sua caratteristica principale fu il dubbio sistematico sulle categorie che fino ad allora avevano strutturato le scienze sociali. E’ una “sovversione” (o trouble, in inglese o in francese) come si apprende dal celebre libro di Judith Butler, Questione di genere. Il femminismo e la sovversione dell’Identità (Laterza 2013: tit. originale: Gender trouble), libro fondatore dei genders studies, un aspetto essenziale dei lavori postmoderni.
Ma occorre ricordare egualmente gli studi postcoloniali, dei quali (per quanto l’autore non sia affatto d’accordo) l’opera fondatrice è Orientalismo di Edward Saïd, pubblicato nel 1978 (scaricabile qui: http://blog.libero.it/pamelasummere/12752390.html). I Subaltern Studies si integrano evidentemente in questo movimento postmoderno, che è al tempo stesso una messa in discussione della preminenza del pensiero occidentale, e, per gli Occidentali, una messa in discussione della preminenza dei loro quadri di pensiero. Lo rende bene il titolo del libro di Dipesh Chakrabarty, Provincializzare l’Europa (Meltemi, Roma 2004).
Fra questi rivolgimenti, almeno a livello di vocabolario, si possono segnalare per tutti quelli che insegnano storia o geografia, la lenta cancellazione delle espressioni « sottosviluppo » (ossia : « i paesi meno avanzati »), « in via di sviluppo », ecc. Queste formule sono esplicitamente evoluzioniste. Funzionano con l’idea che tutte le società seguono lo stesso percorso – “lo sviluppo” – con un vocabolario chiaramente storico, temporale. E’ nel 1980 che appare, con il rapporto Brandt, l’espressione « Nord/Sud », un’espressione spaziale e non temporale, non evoluzionista ma geografica.
Nel campo storiografico, la formula dei « régimes d’historicité » rappresenta la stessa rottura. In Francia, sono i “regimi di storicità” di François Hartog (scaricabile qui: http://www.unigre.it/archivioimg/Immagini_blog/Regimi_storicita.pdf ), con il passaggio dal “futurismo” al “presentismo”, per concettualizzare il cambiamento, nella stessa linea di pensiero di Reinhart Kosellek (scaricabile qui: http://blog.libero.it/wilhelmdimitrid/12785775.html ).
Fig. 2 Biblioteca essenziale per conoscere la “postmodernità”.
Seconda parte
Un ritratto del mondo diventato liquido
Quando si dice « Il Mondo », si vede subito un planisfero classico, cioè « orientato » verso Nord e centrato sull’Europa. Lo di vede in un qualsiasi planisfero « politico », perché uno dei retaggi principali della mondializzazione europea (sulla quale non ho il tempo di soffermarmi) è l’organizzazione delle società sotto forma di Stati-nazione.
Il ritratto classico del Mondo utilizza la proiezione di Mercatore, che data dalla seconda metà del XVI secolo, centrata orizzontalmente sull’equatore e verticalmente sul meridiano di Greenwich. La scelta del meridiano 0 data nel momento dell’apogeo della mondializzazione europea (Conferenza del Meridiano di Washington del 1884, svoltasi significativamente pochi mesi prima della Conferenza di Berlino, nella quale gli Stati europei si spartirono il mondo). Per quanto possiamo variare considerevolmente i modi di rappresentare in piano la superficie della Terra (più di 800 famiglie di proiezioni), è questo tipo di planisfero che, dopo il XVI secolo, è diventato ovunque la norma.
Ma quello che non è altro che un modo di vedere, è diventato anche una maniera di pensare. Ecco un esempio (preso da un manuale francese del secolo scorso) della convinzione che l’Europa era veramente al centro non solamente della rete mondiale, che essa aveva creato dopo il XV secolo, ma della Terra e delle terre emerse. Questa centralità rendeva, così si pensava, naturale la preminenza europea. La geografia scolastica ha spesso la funzione di “naturalizzare” delle realtà che sono invece sociali.
« La Francia è situata nell’emisfero boreale, il più popolato e il più civilizzato. E’ compresa fra 42° et 50° di latitudine, cioé al centro della zona temperata, la più favorevole allo sviluppo della civiltà. Infine essa è quasi al centro delle terre emerse: vi è quasi la stessa distanza tra la Francia e l’Asia nord orientale e l’America nord occidentale, tra la Francia e la Nuova Zelanda e l’America del Sud ».
Per l’appunto, ma questo non deve più sorprenderci, è negli anni ’70 che i planisferi diversi lasciano il mondo degli specialisti per diffondersi presso il grande pubblico, in risposta alle nuove attese. Un esempio semplice è la carta di Stuart McArthur, che data al 1979. Non vi sorprenderà il fatto che si tratta di un planisfero australiano (qui su una cartolina postale). Tecnicamente è esattamente quello che abbiamo visto sopra, ma è orientato a Sud e centrato sul meridiano 180°.
Si diffonde nello stesso periodo la moda della proiezione detta « di Peters » (in realtà di Gall). Peters era un militante terzomondista, che ha promosso questa proiezione (una Carta Mercatore con un coefficiente che « scarta » i paralleli alle basse latitudini, e li avvicina a quelli delle altre latitudini, in modo di renderli conformi alle superfici delle terre emerse). La carta di Peters evita di sottostimare l’importanza delle regioni intertropicali, e dunque dei paesi poveri.
La mondializzazione economica pone, d’altra parte, un problema di rappresentazione. Questo consiste soprattutto in una “chiusura” del Mondo, in una circolazione di uomini e di merci. Questa nuova configurazione fu tradotta nel 1985 con il termine « Triade ». Ho rifiutato la carta della figura 16 in un Atlas des mondialisations, per un articolo sul commercio mondiale. Ho invece pubblicato la carta centrata sul polo Nord. Le proiezioni polari sono diventate correnti. Una immagine pionieristica è stata la bandiera dell’ONU, adottata nel 1947.
L’invenzione dei continenti
Mi soffermo ora un po’ sulla critica « postmoderna » alla divisione più banale che esiste, quella delle parti del mondo : i continenti. Occorre subito ricordare che non si tratta di una partizione naturale, ma di una creazione storica europea, e questo merita un breve discorso.
Tutto nasce dal mappamondo medievale, la rappresentazione detta « T dentro O », che divide il mondo abitato in tre parti, circondate da un oceano, conformemente ai testi dei Padri della Chiesa, e in particolare di Isidoro di Siviglia. E’ a questa disposizione che si deve il termine « orientamento » (Il Paradiso terrestre si trovava là dove sorge il sole, nella parte superiore del mappamondo).
Tutti noi sappiamo che l’Europa deve il suo nome ad un personaggio della mitologia greca, una delle numerose donne conquistate da Zeus, ciò che ricorda senza alcun dubbio il debito greco nei confronti dei Fenici. In effetti, tutto ha origine nello spazio-matrice del mondo greco, il mare Egeo, la cui riva ovest è chiamata Europé e quella orientale Asié, due termini costruiti probabilmente sulle radici semitiche che designano il Tramonto e il Levante. Così Europa = Ovest = Tramonto = Occidente ; e Asia = Est = Levante = Oriente. Al principio, dunque, si tratta un orientamento, di direzioni e non di territori.
I Padri della Chiesa riprendono questi termini, per rappresentare la diffusione dell’ecumene secondo la Genesi, cioè a partire dai tre figli di Noè, partiti ciascuno secondo una direzione diversa.
Fra i numerosi avatar di queste tre parti del Mondo, si possono citare i Re Magi, secondo una tradizione recente nel mondo latino (al più tardi del XIV secolo), perché questa non esiste nel vangelo di Matteo, (il solo a parlare dei Magi). Facendo del terzo re, il più giovane (essi rappresentano anche le tre età della vita) un africano, questi è divenuto nero nell’iconografia occidentale. I Magi diventano così dei continenti (il più vecchio è l’Asia e il cadetto l’Europa).
La svolta fondamentale avviene nel 1507, quando, a seguito della lettura di Mundus novus di Amerigo Vespucci, il cartografo Waldseemüller chiamò la quarta parte del mondo « America ». Ciò stabilisce due cose : una laicizzazione della divisione del mondo (ci si dimentica della Genesi) e un’affermazione dei termini « Europa » e « Europeo ». Quello è proprio il momento in cui gli Europei cominciano a chiamarsi così, e non più « la Cristianità » (latina).
Fino al XVIII secolo, la questione dei confini di questa partizione non è importante. Ma con il pieno sviluppo del pensiero classificatorio della scienza europea, diventa necessario attribuire ciascun luogo (comprese le isole) a una parte del Mondo. E’ in questo momento che si effettua la scelta degli Urali, come linea di separazione fra l’Asia e l’Europa. E’ l’Encyclopédie, a causa dei legami fra Diderot e l’imperatrice Caterina di Russia, che è responsabile di questa scelta.
Non resisto al desiderio di mostrarvi una graziosa illustrazione del sentimento di sufficienza francese. L’affresco La France colonisatrice et les cinq continents è, ancor oggi, visibile a Parigi, al museo della Porte Dorée (ex-museo delle colonie). La Francia (la vergine vestita di rosso) bene al centro, guida l’Europa civilizzatrice, e con una mano regge la colomba della pace. Ai quattro angoli le altre quattro parti del Mondo …
Ora, questa divisione culturale è anche, soprattutto oggi, una questione intellettuale e politica. Pensiamo all’integrazione europea, nel momento in cui ogni « paese europeo » avanza la sua candidatura. Ma che cos’è un « paese europeo » ? Inoltre, in senso più ampio, questa divisione è alla base di tutte le statistiche mondiali. In special modo, dal momento che la visione evolutiva è messa piuttosto male, le classificazioni su base continentale hanno spesso preso il posto delle tipologie che ordinano le società dai primitivi ai civilizzati.
L’Africa e l’Asia, in particolare, non sono state che delle « non-Europe », delle regioni che esistono a partire dal momento in cui l’Europa pensa di non essere più se stessa, andando verso Est (e qui nasce l’Asia) o andando verso Sud (l’Africa). Ora questa divisione di origine europea, questa visione eurocentrata, ha anche assunto una funzione di identità territoriale, nel periodo che va dall’affermazione della dottrina Monroe fino alla nascita dell’Unione Africana. Possiamo chiamare queste identità delle regioni del Mondo dei “continentalismi”.
L’affermazione dell’appartenenza all’Europa, come nel caso della Georgia (che usò il ritrovamento dell’ “uomo di Dmanisi”, un ominide di 2 milioni di anni fa, come “prova” del fatto che era la culla dell’Europa) è una questione che ci è molto familiare. E’ molto chiara per le isole: perché Malta o Cipro non hanno posto alcun problema, quando sono entrate in Europa ?
L’Unione africana, in un testo solenne del 2004, ha chiesto la decolonizzazione dei nomi delle terre africane, e ne ha prodotto la lista. Con un solo testo ha cancellato un uso politico della tettonica a placche. Ma lo ha fatto in un modo abbastanza imperialista, dal momento che ha annesso all’Africa delle isole ambigue (Madera, le Azzorre). Effettivamente, se è vero che l’Africa è un’invenzione europea, questa denominazione geografica ha acquistato un segno fortemente identitario oggi, specialmente a Sud del Sahara (noto che insegno anche a Dakar).
L’uso della parola « Asia » e, più ancora, dell’aggettivo « asiatico » si sposta sempre di più, annettendo l’Australia-Nuova Zelanda, ma abbandonando il Vicino Oriente (il Golfo) e “l’Asia centrale”. Lo si vede, ad esempio, nella « crisi asiatica » del 1997. La pubblicità della Singapour Airlines ne dà una rappresentazione simpatica, dal momento che la Città-Stato è al « centro naturale (sic) dell’Asia » e gli aeroporti serviti con regolarità (le foglie del loto) includono Sydney, Brisbane, Christchurch, etc., ma non vanno al di là di Karachi.
Terza parte
Effetti di ritorno sulla storia « globale »
Il nostro cambiamento di sguardo sul Mondo e le rappresentazioni che ne forniamo, corrispondono a un cambiamento di prospettiva storica. Il planisfero che pone « NOI », l’Europa al centro, e gli « ALTRI » intorno, corrisponde a una visione dello spazio organizzato dal tempo. Il testo dell’autore di una Guida del Viaggiatore, un rappresentante della seconda generazione degli enciclopedisti, Jean-Marie Degérando, rappresenta chiaramente questa visione :
« Il viaggiatore filosofo che naviga verso le estremità della terra attraversa in effetti il
succedersi delle età.Viaggia dentro il passato. Ogni passo che fa, è un secolo che valica »
Considérations sur les diverses méthodes à suivre dans l’observation des peuples sauvages (1800), in
J. Copans et J. Jamin, Aux origines de l’anthropologie française, Le Sycomore, 1978)
Gli antropologi del XIXe secolo distinguevano il periodo selvaggio, quello barbaro e quello civile (Lewis Morgan). E questa divisione corrisponde al pensiero economico liberale (Rostow), come a quello marxista (la successione dei modi di produzione: schiavistico, servile, industriale), salvo per il fatto che il « modo di produzione asiatico » introduceva una forma di diversità geografica. E, ancora più attuale, un ottimo esempio è quello della rappresentazione geografica della transizione demografica, nel quale le varie fasi demografiche si succedono, fino ad arrivare alla terza fase, quella europea.
Fra le applicazioni della classificazione delle società, quella museografica è particolarmente caricaturale. Ecco l’esempio dei musei parigini. L’evoluzione è rappresentata dalla successione del Louvre (Antico), del museo Orsay (Ottocento) e del Centre Pompidou (Novecento).
A differenza di questi, il museo del quai Branly (dall’architettura tipicamente postmoderna) si chiama ufficialmente « Museo delle civilizzazioni delle Americhe, dell’Africa, d’Asia e di Oceania » (cercate pure il continente dimenticato) in rottura esplicita con l’antico Musée de l’Homme, che era stato progettato come una galleria evolutiva (si trova a Chaillot, e la sua architettura è tipicamente moderna).
Per quanto riguarda la storia, Fernand Braudel rese popolare una carta raffigurante i popoli del mondo alla vigilia delle Grandi Scoperte. La legenda di questa carta è tipicamente evolutiva, con una visione tradizionale (e falsa) che piazza gli allevatori fra le culture paleolitiche e neolitiche. Il risultato corrisponde perfettamente al testo di Degérando : i civilizzati sono al centro (come l’Europa che è al centro geometrico dell’immagine) e i cacciatori-raccoglitori in periferia.
Questa rappresentazione del mondo, insieme con quella del suo passato, non è più sostenibile in un Mondo mondializzato. Un esempio permette di apprezzarne le conseguenze storiografiche : è sufficiente prendere in considerazione la nozione di « Antichità », per vedere che la sua universalità non funziona più. Se prendiamo un planisfero che rappresenta l’ecumene di quasi 2000 anni fa, si può dire che esso è interamente « nell’Antichità » ? E se questa antichità non è universale, dov’è ? Questa nozione non ha senso che nel bacino mediterraneo, e dentro limiti cronologici precisi. Di fatto, l’Antichità è anche una regione, una partizione geografica, oltre che storica. In una parola: Geostorica.
Il vecchio storico Henri Pirenne aveva sollevato proprio questo problema, e non solo quello di un semplice spostamento della data della fine dell’Antichità. Egli collegava la nascita dell’Europa al Nord del Mediterraneo con la divisione del Mediterraneo in due mondi (anche tre con Bisanzio). La divisione era dunque sia temporale, sia spaziale. La stessa questione fu sollevata da Marc Bloch, a proposito della nozione di « società feudale » al di fuori d’Europa. Si trattava già una questione di storia globale. Come si vede, questa riformulazione della storia passa per una riflessione geografica sul passato delle società. E’ questa la condizione per evitare di pensare il Mondo ritagliato in entità eterne e essenzializzate, di « civilizzazione », delle quali Huntington ci ha dato una visione di scontro. Ricomporre geograficamente il passato è diventato una necessità civica mondiale.