Giusto è il segno. Note a margine sulla storia nella prima prova dell’Esame di Stato 2015
il tenue bagliore strofinato laggiù
non era quello di un fiammifero.
(E. Montale)
In una recente, bellissima intervista, Adriano Prosperi descrive quello dello storico nella nostra epoca come «un mestiere inutile che rivela tuttavia una residua possibilità». Se, come Sisifo, lo storico sa che il suo lavoro è inutile, il suo continuare ad esercitarlo di quale possibilità è testimonianza?
È una domanda che chi si occupa di storia e di didattica potrebbe porsi anche analizzando i dati delle scelte dei maturandi nella prima prova dell’Esame di Stato 2015: a fronte di una attenzione non scontata degli estensori delle tracce alla storia, a fronte di scelte tematiche e di metodo di reale interesse e novità, solo il 2,5 % degli studenti ha scelto la “tipologia C”, ovvero il tema di argomento storico sulla Resistenza, e pochi di più (fra il 4 e il 9%) le altre proposte più o meno direttamente legate alla storia: il notevole saggio breve storico-politico sul Mediterraneo, il tema dedicato a Malala e l’analisi di un brano del Sentiero dei nidi di ragno. Eloquenti i titoli dei giornali il giorno dopo, più o meno tutti di questo tenore: “Smartphone batte Calvino 5 a 1. Ultima la Resistenza”.
Eppure le tracce erano davvero interessanti, sia per gli argomenti, sia per l’approccio. Non solo l’analisi del testo offriva l’occasione (come era già successo due anni fa con la scelta suggestiva, e troppo frettolosamente liquidata, di un testo di Claudio Magris su frontiere e confini) per collegare precisi fatti storici, in questo caso la Resistenza, con quella universalità di esperienze e sentimenti che solo la letteratura può offrire; non solo, poi, la traccia ispirata alla vicenda di Malala Yousafzai lasciava spazio per promettenti affondi sia nel senso del rapporto istruzione-pace, sia in quello della specificità femminile del problema del diritto all’istruzione; ma era proprio quando la storia entrava in campo da protagonista che si potevano registrare le novità più significative.
Il saggio breve dedicato a “Il Mediterraneo: atlante geopolitico d’Europa e specchio di civiltà”, nonostante un titolo non troppo perspicuo, offriva un argomento di discussione attuale, importante, decisivo. Peccato per la selezione non felice dei documenti (un brano di Matvejević reso troppo lapidario da un’estrapolazione maldestra, e uno di Frascani un po’ vago in qualche passaggio e funestato da un errore che ha dell’incredibile), ma assolutamente azzeccata è la scelta di declinare un tema classico della storiografia e della geopolitica (il ruolo del Mediterraneo) in una chiave attualizzante, che spinge lo studente a ripensare tutto un corso di storia alla luce dell’oggi (e viceversa): merita una sottolineatura il fatto che sia il tema, sia la prospettiva suggerita ricalcano l’impostazione dall’ultima summer school (Venezia, agosto 2014) dell’INSMLI, intitolata significativamente Mediterraneo contemporaneo.
Un riconoscimento ancora più esplicito al lavoro dell’INSMLI è riscontrabile anche nella traccia della tipologia C, il tema di storia, che richiedeva una esposizione dei fatti della Resistenza e una riflessione sul suo significato morale e politico a partire da un documento tratto proprio da ultimelettere.it. Lontano per impostazione dalle tracce di questo tipo degli ultimi anni, spesso troppo specialistiche o troppo generaliste, come quella dello scorso anno, praticamente impossibili per lo studente medio, il tema di quest’anno era proposto in maniera decisamente più interessante attraverso un documento: il testamento spirituale di Dardano Fenulli, partigiano monarchico, ex soldato della Prima Guerra Mondiale ed ex ufficiale dell’esercito italiano nei Balcani, morto alle Fosse Ardeatine. Una storia complessa, che poteva offrire l’occasione per mettere in evidenza i drammi personali, la difficoltà delle scelte etiche ed esistenziali di chi si è trovato a vivere quei frangenti storici, ma anche scenari di guerra assi diversi nello spazio e nel tempo: grande storia e piccole storie che si incontrano, secondo l’approccio forse più proficuo dinanzi a delle donne e degli uomini in formazione. E soprattutto, sottolineo ancora, l’importanza in sé della presenza di un documento, quasi a ribadire che nessun discorso storiografico si può fare senza partire dal dato documentale.
A tal proposito, va notato che la centralità di uno o più documenti riguarda quest’anno tutte le tracce proposte: elemento che di fatto accorcia le distanze fra le varie e in verità un po’ astratte “tipologie testuali” (analisi del testo, saggio breve, tema…), tutte ora in qualche modo riconducibili alla richiesta di una scrittura argomentata e ragionata a partire da un testo dato, e accompagnata da richieste non troppo specialistiche e nozionistiche. È questa una tendenza che va salutata con soddisfazione, perché non è difficile scorgervi dietro la volontà di mettere al centro le competenze interpretative dello studente, la sua capacità di far dialogare la sua esperienza di vita (il suo stare nel mondo) con gli stimoli culturali proposti. Il tutto, sia detto qui per inciso, in linea con le tendenze più recenti della didattica dell’italiano, che mettono al centro l’ermeneutica, e le competenze interpretative dello studente, nonché una reale e vitale sinergia fra le discipline umanistiche (si veda, per una prima informazione in proposito, il sito del progetto CompIta, Competenze per l’Italiano).
A fronte di questi segnali confortanti, e si spera non estemporanei (ceppo nel focolare, non bagliore di fiammifero, per restare a Montale), resta il dato: pochissimi studenti hanno scelto queste belle tracce di storia. Le spiegazioni di questo fatto vanno ricercate, molto probabilmente, fuori dalle tracce stesse, in alcune abitudini didattiche ancora difficili da superare. Ne cito alcune: la difficoltà persistente (e aggravata dai tagli orari della riforma Gelmini in alcuni indirizzi di studi) a lasciare nei piani di lavoro uno spazio adeguato al Novecento; l’assenza, ingiustificata, della scrittura “lunga” nella prassi didattica degli insegnanti di storia e filosofia (la controprova sta nel fatto che la percentuale più bassa di scelta del tema di storia si registra proprio nei licei, ovvero dove ci si potrebbe aspettare una preparazione mediamente maggiore, ma anche dove la cattedra di italiano è distinta da quella di storia!); non da ultimo, le infelici proposte storiche nelle passate maturità, che spesso portano studenti e professori a scartare a priori il tema di storia dal novero delle possibilità.
Certo, chi ha avuto modo di portare nelle scuole progetti specifici di didattica della storia del Novecento, e magari di parlare coi ragazzi di partigiani e Resistenza, può raccontare episodi di studenti che hanno sviluppato in maniera brillante gli spunti offerti dal passo di Dardano Fenulli; oppure, chi ha avuto modo di restituire in classe o in qualche seminario di formazione per docenti quanto appreso e sperimentato nell’ambito di Mediterraneo contemporaneo, avrà certamente creato le condizioni perché alcuni studenti svolgessero al meglio la traccia su questo argomento. Ma per ora di episodi si tratta: frutti di buone pratiche che meriterebbero una diffusione più capillare. Però la strada è quella giusta, e le scelte delle tracce di quest’anno appaiono come un riconoscimento di un lavoro spesso poco appariscente ma necessario e di qualità. Se ne può trarre, forse, la conclusione che la fatica quotidiana del trasmettere consapevolezza e conoscenza storica è più importante di qualsiasi sensazione di inutilità si possa, a volte, provare. E che bisogna sempre, con Camus, immaginare Sisifo felice.
Nella foto: Immagine originale