Iceberg Italia ’70. Un progetto didattico sul passato recente
Auditorium-Parco della Musica di Renzo Piano (Roma), corridoio centrale con riprodotto in alto le parole di Imagine di John Lennon del 1971
Foto dell’autrice
Abstract
Il 21 gennaio 2020 ha preso avvio il progetto dal titolo Iceberg Italia ‘70 che coinvolge alcuni studenti e studentesse dell’ultimo anno dell’I.I.S. “Luigi Einaudi” di Roma e che permette loro di interrogarsi sul concetto stesso di “contemporaneità”: per studiare la storia attraverso fonti documentarie edite e inedite e portare alla luce un tessuto storico-culturale complesso, aggregato di problemi e questioni che riguardano campi del sapere diversi. La stagione tragica di eventi legati a terrorismo, stragi e attentati, viene letta da un punto di vista più ampio, entro un decennio nel quale si sono generati importanti serbatoi innovativi e creativi nei diversi campi d’espressione culturale (cinema, arte, musica e letteratura) con evidenti ricadute sulla società italiana.
Premessa: punto di partenza
Se si entra in una qualunque classe italiana e si chiede chi erano le Brigate Rosse o cosa accadde a Piazza Fontana, pochissimi ragazzi sanno accennare una risposta (nonostante commemorazioni, libri e lavori di docufilm prodotti sul finire del 2019). Se si chiede a uno qualunque degli studenti di quelle classi quali film, canzoni, libri appartengono agli anni Settanta si rimane sbalorditi per i pochi o nulli risultati nel database della loro mente. Se poi si sollecita una ricerca rapida attraverso i motori di ricerca a loro disposizione ci si accorge di come sappiano recuperare velocemente tasselli di un mosaico che rimane, tuttavia, irrisolto: puzzle confuso nelle loro mani incerte. Riemergono d’improvviso alcuni accenni a nomi, titoli forse distrattamente recepiti in altre lezioni, a casa o altrove: i nomi di Pasolini, Calvino, Volonté, Guccini, De André, il personaggio di Fantozzi risuonano come noti, sentiti casualmente o condivisi con alcuni amici, ma rimangono impigliati in una dimensione che li mette tutti sullo stesso piano, alla rinfusa.
Ma chi sono stati e cosa hanno rappresentato? A cosa si fa riferimento citandoli? A quali opere? A quale panorama? Qual è il contesto in cui questi nomi hanno operato o si sono inseriti?
Nessuna risposta. Gli anni Settanta restano un rebus, un decennio non chiaro, mai affrontato e studiato sui banchi di scuola.
Una proposta di approccio
La storia può riempire questo silenzio quando si fa indagine, ricerca, scoperta di una complessità che si comincia a scandagliare per entrarvi in contatto. Si tratta di una storia in qualche modo distante da quella del Novecento delle due guerre mondiali o dei totalitarismi e che richiede una metodologia che non parta dal manuale o dalla lezione frontale, ma che introduca e spieghi, sia in grado di stimolare ricerche, approfondimenti e indagini, sappia suscitare interrogativi. L’approccio risulta, così, capovolto: si vuole partire da ciò che si sa – anche se poco e scucito da un contesto – o per lo meno da immediate curiosità che si accendono, per poi formulare gli interrogativi in grado di condurre verso piste di ricerca stimolanti e personali che permettano di ricongiungere i diversi ‘pezzi’ del discorso e ricomporre il quadro. Il senso del laboratorio e della ricerca si fa strada.
Per arrivare a questo risultato si può avviare una ricerca per immagini del tempo che restituisca, ad esempio, i volti del passato: manifestazioni, donne in minigonna, concerti e raduni politici, foto di giornale dedicati a attentati, proclami, volantini, giovani scapigliati al microfono di una radio in ambienti fumosi, cinema pieni, locandine di spettacoli, copertine di libri, volti coperti da passamontagna, bandiere della pace, auto desuete. Immagini di un’età variegata, complicata, simile, per certi versi, a esperienze che ragazzi e ragazze di oggi vivono, anche se immediatamente avvertita da loro come altra, dalla patina vetusta, anche se non troppo, anche se a colori[1].
Una possibile modalità di avvicinamento è quella di lavorare proprio sulle distanze. I giovani possono interrogare il passato partendo da ciò che li circonda, dall’ascolto di testimonianze dirette con cui è semplice entrare in contatto. Possono ascoltare ricordi e impressioni dei loro familiari fino a quando la curiosità si fa strada: attenzione e partecipazione si attivano. Si traccia un collegamento tra eventi cronologicamente distanti e fatti culturali avvertiti come ‘vicini’, si stabiliscono affinità pur nella diversità tra tempo passato e presente.
Gli anni Settanta sono così (s)oggetto d’indagine che immediatamente agli occhi di ragazzi e ragazze si trasforma in possibilità concreta di avvicinarsi alla storia per conoscerla dal di dentro; di interrogare un passato cui restituire attualità, di pensare a un rapporto intergenerazionale interessante e proficuo. Se ci si pensa è uno strano cortocircuito: furono proprio i giovani degli anni Settanta a esigere “contemporaneità”, a mettere in crisi il sapere storico tradizionale fin lì praticato, favorendo un cambio di passo nelle indagini che dovevano spiegare e collegarsi con il presente, offrire categorie e metodologie nuove per una riflessione sull’oggi di allora che si arricchiva di uno sguardo politico e storiografico innovativo, capace di attivare un dibattito culturale e una ‘crisi’ del sapere costituito[2], a cui non è difficile richiamarsi all’inizio del secondo decennio del Duemila.
Il progetto e le sue fasi
Da questi presupposti prende avvio il progetto Iceberg Italia ‘70[3]: ideato con l’intento di aprire una finestra sul mondo contemporaneo, partendo da un decennio chiave che non sempre trova spazio e respiro sui banchi di scuola. La possibilità di avviare tale sperimentazione è fornita da un Bando del Comune di Roma (“La Riconciliazione del riepilogo degli anni Settanta”) che ha inteso promuovere tre progetti sul territorio «finalizzati alla conoscenza e all’approfondimento del periodo in esame […] che ha inciso profondamente sulla storia e il volto del Paese».
Il titolo Iceberg Italia ’70 si ispira a un’osservazione mutuata dalla letteratura: Hemingway raccontava che le storie sono come gli iceberg: si vede quello che spunta sopra l’acqua, ma la gran parte della massa – precisamente i sette ottavi – naviga sotto la superficie. Così gli anni Settanta vengono spesso identificati con “anni di piombo”: una etichetta incancellabile e motivata, anche se controversa, perché riporta a una realtà storica di violenza e terrore che ha segnato tutta quella successiva, a cui però va affiancata un’altra storia, che merita di essere riportata in superficie. Un’operazione utile a «dar conto della complessità di una fase storica […] l’insieme di vicende che hanno contraddistinto una stagione per certi versi fondamentale» che contribuiscono a porre il decennio in «un posto centrale», in chiave anche di rinnovamento[4].
Il progetto si articola in un ciclo di sette incontri che approfondiscono diversi aspetti di quel decennio, con particolare riguardo alla realtà storico-culturale italiana, senza tralasciare gli influssi provenienti da America, Inghilterra, Europa intera e mondo extraeuropeo in termini di ‘nuova cultura’.
Un primo incontro funge da cornice e introduzione: l’intervento di Walter Veltroni permette agli studenti di accedere al racconto in prima persona di un giovane allora impegnato politicamente e attivo nella società del suo tempo. Lo sguardo di Veltroni si ritiene possa offrire un’immagine del tempo in grado di porsi contemporaneamente all’interno – come testimone – e all’esterno – come intellettuale – in grado di rileggere il decennio alla luce di quanto è seguito, trasformando profondamente la società italiana in termini di conquiste di diritti, di emancipazione femminile, di cultura popolare, di costumi e consumi, di costruzione d’identità e alterità.
Seguono cinque lezioni/incontri attraverso i quali si entra nel quadro storico, nella produzione cinematografica, musicale, artistica e letteraria del tempo, dietro la guida e le parole di alcuni esperti per ogni settore specifico: la storia, il cinema, la musica, l’arte e la letteratura.[5]
A ogni gruppo classe viene, poi, affidato lo studio/la scoperta di una canzone, un film e un libro significativi di o su quegli anni[6], così da permettere un lavoro di scavo personale e circoscritto di approfondimento delle opere, ma anche l’elaborazione di una restituzione originale di quanto ‘scoperto’ dentro il contesto del decennio e che via via risulta sempre più visibile e ricomposto, attraverso anche una modalità di scambio e confronto tra pari.
Tutti gli studenti, poi, sono chiamati a interrogarsi sulla specificità dell’esperienza del terrorismo, così da tenere uniti i fili di una stessa storia complicata che, però, rende possibile accedere a mondi sconosciuti ed esperienze mediatiche interessanti, utili a comprendere le influenze sul tempo presente seguendo una periodizzazione che parte dal Sessantotto e termina nei primi anni Ottanta.
La restituzione e il viaggio nella memoria
Fase conclusiva del progetto è un laboratorio creativo che porta ogni gruppo classe – in base al percorso scelto – all’elaborazione/(ri)composizione finale che si concretizza in un progetto visivo e/o testuale da consegnare/affidare alle Istituzioni dei familiari delle vittime delle stragi nel corso del viaggio finale previsto nel mese di maggio (a Bologna, Milano e Brescia).
La due giorni del viaggio è il momento culminante dal punto di vista storico-culturale ed emotivo e prevede l’incontro di alcuni testimoni e il coinvolgimento delle associazioni che da anni tutelano la memoria delle vittime. Si tratta di un inedito e inusuale ‘viaggio nella memoria’ capace di avvicinare la nuova generazione ad un contatto con la storia del Paese, di uno dei momenti più critici e controversi per molti aspetti.
Grazie al coinvolgimento di molteplici figure, anche esterne al mondo della scuola, il progetto invita i giovani a una lettura critica degli accadimenti, a una scoperta espressiva plurale e complessa, a interrogarsi sulle radici di eventi storici fondamentali della storia d’Italia. L’incontro con persone di altre età e altre esperienze (in alcuni casi artistiche, in altri casi esperienze di vita, dolorosissime e di lutto) intende favorire, oltre al confronto intergenerazionale, una riflessione sui costi e sui sacrifici che si sono resi necessari per dare valore alla democrazia e per promuovere una cultura della legalità. Lo studio della storia in questo senso diventa inevitabilmente veicolo e strumento di approccio critico non superficiale.
Condurre studenti e studentesse sui luoghi della storia rappresenta un’occasione formidabile per valorizzare e ‘umanizzare’ una disciplina che talvolta i giovani vedono come polverosa, distante e fissata in un “per sempre”. Fare storia può significare, invece, partecipazione, scoperta e curiosità se realizzata attraverso l’ausilio di documenti che richiedono, per essere interpretati, un interesse vivace e attivo, in grado di restituire un panorama di conoscenze di indubbio valore, oltre che capaci di rafforzare competenze trasversali necessarie alla formazione del futuro cittadino.[7]
Alcune riflessioni conclusive
Non è facile trattare un decennio particolarmente carico di significati contraddittori, che porta con sè interrogativi ancora non del tutto chiariti e che, seppur così importante per la nostra stessa storia, sollecita atteggiamenti diversi: dal distacco al rifiuto, dalla rimozione al sogno. Il dibattito è ancora oggi vivace e le diverse voci di allora non sono per nulla concordi.
La stagione del Sessantotto con la sua esplosione di una ‘controcultura’ vede l’affacciarsi sulla storia di giovani consapevoli del proprio ruolo, dei propri bisogni più profondi. Giovani certi che qualcosa andava cambiato radicalmente e che in quel cambiamento occorreva essere, determinandone colori, immagini, suoni. Ma questo fermento confluisce e si allarga su una stagione successiva del tutto diversa, che porta violenza e terrore, individualismo (in alcuni casi) e aggregazione (in altri). Il sovvertimento delle regole costituite si salda a uno scontro senza sconti e senza appelli.
In questo progetto la storia del Paese viene attraversata a partire da angolazioni differenti per arrivare a comprendere che l’immagine di quel decennio resta composita, intrecciata e complessa, e che è assai difficile separare ‘bene’ e ‘male’, ‘terrorismo’ e ‘pacifismo’. La scuola oggi ha l’urgenza di non trascurare un passato recente così importante, che in qualche modo richiede anche la messa a punto di una metodologia ‘nuova’, un diverso approccio storiografico e un’interdisciplinarietà proficua di scambi, arricchente di punti di vista critici diversi. Il patrimonio storico-culturale di allora, dunque, va fatto conoscere, cercando di evitare facili semplificazioni o di riferirsi solo ad alcuni episodi.[8]
Alle giovani generazioni va data la possibilità di entrare a contatto con la complessità della conoscenza; gli si devono offrire strumenti di indagine interdisciplinari capaci di aprire uno sguardo profondo su questioni cruciali. La storia va avvicinata, intendendola come qualcosa di non risolto in un ‘per sempre’ e definitivamente: va pensata come qualcosa da offrire a studenti e studentesse che devono in qualche modo saperla interpretare, entrarci dentro, capire che ne sono parte.
Note:
[1] S’intende qui sottolineare la modernità immediatamente avvertita di immagini fotografiche a colori del tempo: la storia studiata sul manuale restituisce al contrario per lo più periodi di bianco e nero, circoscritti e avvertiti come lontani anche per questo. La stessa moda delle sciarpe lunghe e colorate, dei pantaloni a zampa di elefante o delle minigonne suggerisce qualcosa di conosciuto e affine, anche per il ritorno attuale di alcuni modelli mutuati proprio da quel passato.
[2] A tal proposito cfr. Fiamma Lussana, Politica e cultura negli anni Settanta: l’Istituto Gramsci, la Fondazione Basso, l’Istituto Sturzo, in “Studi storici”, a. 42, n. 4, 2001, pp. 885-928.
[3] Il titolo si deve a una felice intuizione di Vins Gallico (scrittore, animatore culturale ed editoriale, intellettuale) che coinvolto inizialmente nella riflessione progettuale ha suggerito l’immagine dell’iceberg, mutuandola da Hemingway.
[4] Cfr. Umberto Gentiloni Silveri, Storia dell’Italia contemporanea 1943-2019, Bologna, Il Mulino, 2019, p. 126.
[5] Il percorso storico sarà affidato a Umberto Gentiloni, Professore ordinario di Storia contemporanea presso l’Università “La Sapienza” e autore del recente volume Storia dell’Italia contemporanea 1943-2019 (op. cit.), che dedica ampio spazio agli “Anni Settanta” (in particolare pp. 109-200). Serafino Murri, critico, regista e professore di Cinema e Audiovisivo presso l’Università UNINT si occuperà della ricostruzione e del panorama cinematografico del tempo. La musica sarà invece affidata al giornalista, scrittore e critico musicale Maurizio Becker, capodirettore di importanti riviste del settore come Classic Rock e Vinile, direttore di Musica leggera, nonché autore di importanti monografie, tra cui C’era una volta la RCA (Roma, Coniglio editore 2007). Stefania Cormio, docente di Storia dell’arte, si occuperà invece del quadro artistico e Vins Gallico di quello letterario.
[6] Sono state scelte cinque canzoni: Luci a San Siro di Roberto Vecchioni, Viva L’Italia di Francesco De Gregori, L’avvelenata di Francesco Guccini, Canzone del maggio di Fabrizio De André, Ma il cielo è sempre più blu di Rino Gaetano; cinque film: Indagine su un cittadino al di sopra di ogni sospetto di Elio Petri, Amarcord di Federico Fellini, Buongiorno notte di Marco Bellocchio, Fantozzi di Luciano Salce, I cento passi di Marco Tullio Giordana; cinque opere letterarie: Scritti corsari di Pier Paolo Pasolini, La storia di Elsa Morante, Se una notte d’inverno un viaggiatore di Italo Calvino, La chiave a stella di Primo Levi, Paz di Andrea Pazienza. Le opere selezionate sono suggerimenti: agli studenti è lasciata la libertà di optare per altre opere di testimonianza di quel tempo o che servano a ricostruirlo.
[7] L’impegno è anche quello di una ricaduta sull’intera popolazione studentesca con diffusione e condivisione di riflessioni, conoscenze e risultati finali (anche attraverso i nuovi mezzi di comunicazione, come i social media).
[8] Anche per questo l’attenzione che i media – tv, giornali, editoria – hanno dedicato a ripercorrere episodi e figure del tempo, non risultano efficaci nell’avvicinare veramente i ragazzi e le ragazze a quella storia: tali esperienze risultano parziali e slegate da un patrimonio di conoscenze che solo lo studio può veramente offrire. La scuola anche in questo caso non può delegare ad altri tale compito; e altri non riescono a sostituirsi alla scuola. Solo la complementarietà degli interventi si crede possano contribuire alla crescita intellettuale di una generazione ‘nuova’, come quella attuale, sempre connessa, ma che perde di vista talvolta cosa significhi conoscere.