L’insegnamento della storia mediterranea: prospettive europee e mondiali
Abstract
I recenti flussi migratori, il cosiddetto scontro di civiltà tra Islam ed Europa, la questione israelo-palestinese, il rapporto tra stati del nord e stati del sud-Europa, la cultura mediterranea, la composizione multietnica delle nostre classi sono sfide che i sistemi scolastici della riva settentrionale del Mediterraneo stanno affrontando più o meno apertamente. Di questo ed altro si è parlato dal 21 al 26 aprile a Marsiglia, durante la Venticinquesima Conferenza Annuale di Euroclio (European Association of History Educators)[1] di cui fa parte anche la sezione didattica dell’Istituto per la storia e le memorie del 900 “Parri” di Bologna (ex-Landis). Come di consueto, la conferenza è stata ricchissima di contenuti e di stimoli, di laboratori e di incontri, tanto che non è possibile restituirne interamente l’ampia varietà di idee e stimoli, di buone pratiche e riflessioni teoriche. Questo articolo tenterà perciò di riassumere gli aspetti e i risultati principali della discussione avvenuta fra colleghi e studiosi provenienti da tutt’Europa e oltre. Molte delle questioni sono già state affrontate nelle Summer School degli Istituti o sulla nostra rivista (come ad esempio nel Dossier “Mediterraneo Contemporaneo” pubblicato sul numero 4 del luglio 2015).
Indice
- Introduzione
- Geografia, vita materiale e lunga durata
- L’assassinio di Alessandro I di Jugoslavia
- Il documento diventa fonte
- Geografia dei luoghi della memoria e geografia storica
- Mediterraneo: un passato comune
- Didattica della storia islamica
- Radici e radicalizzazioni
- La crisi dei migranti
- Contestualizzare i fenomeni migratori
- Europa: la nostra storia?
- Comunicare fra memorie nazionali
- Il manuale franco-tedesco: Histoire/Geschichte
- Memorie, storia e politica: la questione del genocidio degli armeni
- Bibliografia
Introduzione
La conferenza, intitolata: Dialoghi Mediterranei-insegnare la storia oltre i nostri orizzonti, si è occupata della didattica della storia mediterranea, un tema oggi particolarmente attuale a causa delle molte sfide che i paesi rivieraschi affrontano. L’iniziativa, promossa e coordinata anche dalla commissione Europa e dalla sezione locale della francese APHG (Association des Professeurs d’Histoire et de Géographie) [2], ha cercato di affrontare secondo diversi approcci quattro questioni fondamentali:
-
- Come possiamo rendere comprensibili le sfide del presente attraverso lo studio della storia della regione mediterranea?
- Come possiamo lavorare per favorire la nascita di dialoghi inter-mediterranei veramente significativi?
- Come può l’insegnamento della storia consentirci di guardare oltre gli orizzonti europei?
- Come possiamo, in generale, insegnare storia oltre i nostri orizzonti?
Geografia, vita materiale e lunga durata
La pratica della storia e del suo insegnamento, variamente ma costantemente connesse con la politica in senso lato e con le decisioni politiche in senso stretto (curricoli e contenuti irrinunciabili), giustifica ampiamente la scelta degli organizzatori, che si spiega però anche in senso più strettamente scientifico. Proprio la storia del Mediterraneo è stata, infatti, il luogo in cui sono nati o si sono rinnovati campi di ricerca come la storia materiale e quella dei fenomeni di lunga durata, la cui didattica è o dovrebbe essere oggi irrinunciabile. Sono passati ormai quasi settanta anni da quando la storia moderna del Mediterraneo comparve sulla scena della storiografia internazionale. Prima di allora il Mediterraneo, riconosciuto da sempre come uno spazio storico di pertinenza della storiografia antica, e in parte anche della storiografia medioevale, non era un interesse specifico della storia moderna nata e cresciuta come storia degli Stati-nazione, come storia diplomatica politico-militare. Nel 1949 il capolavoro di Ferdinand Braudel: Civiltà e Imperi del Mediterraneo nell’età di Filippo II (titolo originale: La Mediterranee et le Monde mediterranee a l’époque de Philippe II) cambiò ogni cosa. La ricerca sulla longue durée divenne almeno altrettanto importante dello studio dei singoli eventi, delle loro cronologie o delle loro catene locali di rapporti causa-effetto; lo studio della vie matérielle divenne altrettanto legittimo della ricerca sulla storia delle relazioni internazionali; la geografia divenne il palcoscenico su cui si deve ambientare ogni narrazione storiografica.
L’assassinio di Alessandro I di Jugoslavia
In questo quadro scientifico e politico la conferenza è stata inaugurata da una prolusione di Keith Brown, docente di Politics and Global Studies presso l’Arizona State University. Il professor Brown ha parlato dell’assassinio di re Alessandro di Jugoslavia, avvenuto a Marsiglia il 9 ottobre del 1934. L’episodio, il primo omicidio politico di cui possediamo una testimonianza cinematografica in presa diretta, è raccontato da alcuni spezzoni di cinegiornale, reperibili anche su Youtube [3]. Nei primi minuti del filmato il re sbarca nel Porto Vecchio di Marsiglia, quindi passa in rassegna il picchetto d’onore poi entra nella vettura scoperta ufficiale, insieme al Ministro degli Esteri francese dell’epoca, Louis Barthou. L’auto inizia a percorrere il viale della Canebiére diretta in prefettura quando improvvisamente spunta dalla folla un individuo che scarica la sua pistola sul re uccidendolo e che, a sua volta, viene crivellato di colpi e ucciso dalla scorta. Nel parapiglia muore anche il ministro francese, ucciso proprio dal fuoco della polizia.
L’autore dell’omicidio, il terrorista bulgaro-macedone Velichko Dimitrov Kerin, membro dell’VMRO (Organizzazione interna rivoluzionaria macedone), nata per liberare la Macedonia dal dominio ottomano, e, dopo le guerre balcaniche, promotrice della separazione della Macedonia dalla Serbia, agì per conto degli Ustaša croati, cui nel passato aveva fornito le sue competenze di killer e le sue capacità di addestramento terroristico. L’attentato aveva come scopo immediato il sabotaggio dell’incipiente alleanza franco-jugoslava e il conseguente indebolimento del Regno di Jugoslavia a favore delle richieste autonomistiche ed indipendentistiche dei nazionalisti croati (“Ustaša” cioè “Ribelli/Insorti”). Il Fascismo italiano, pur essendo in qualche modo coinvolto nell’attentato, non sembra fosse direttamente responsabile dell’addestramento dei paramilitari croati. Mussolini condivideva certo con i Croati lo scopo di indebolire la Jugoslavia, ma aspirava, in zone come la Dalmazia, etnicamente e linguisticamente croata, ad ingrandimenti territoriali inaccettabili per gli Ustaša. I legami tra fascismo e Ustaša erano perciò contraddittori e nel complesso ancora poco chiari. Il Regime, concedeva mezzi e infrastrutture, ma non esitò, dopo il regicidio, ad arrestare il loro leader Ante Pavelić per la propria convenienza politica.
Il documento diventa fonte
Il professor Brown, dopo aver chiarito il contesto, ha poi cercato di mostrare la ricchezza di spunti didattici che si possono trarre dal documento cinematografico. Lo spezzone può essere analizzato dal punto di vista iconografico, narrativo, secondo la storia del costume e dell’abbigliamento, dei mezzi di trasporto, dell’organizzazione della sicurezza, della pompa diplomatica e del significato politico etc. Il filmato, insomma, può essere utilizzato per spiegare agli studenti come un documento possa diventare una fonte. L’evento, rappresentato in tutta la sua drammaticità dai pochi minuti di girato che ci sono rimasti, mostra come il Mediterraneo in quell’occasione fosse lo scenario di un complicato intreccio di giochi politico-diplomatici. L’Italia, che nel 1934 si stava riavvicinando alla Francia in funzione antitedesca, vedeva la Jugoslavia fare altrettanto. Proprio per questo i croati di Pavelić decisero di passare all’azione con un gesto dirompente, nel tentativo di uscire dall’isolamento politico in cui la situazione di quei mesi li aveva confinati. Apparentemente il risultato non fu positivo: per circa diciotto mesi il futuro poglavnik (duce) croato rimase nelle carceri italiane, escluso da qualsiasi attività politica anche negli anni successivi; tuttavia, quando nel 1941 i nazi-fascisti invasero la Jugoslavia, le potenze dell’Asse si ricordarono di lui e lo misero a capo dello stato fantoccio croato.
Geografia dei luoghi della memoria e geografia storica
Durante la seconda giornata i partecipanti hanno visitato:
- il campo di transito e di concentramento “Camp de Milles”, una vecchia fornace situata tra Aix-en-Provence e Marsiglia.
- Il campo, attivo tra il 1939 e il 1942, ha ospitato dapprima i cosiddetti “nemici” della Repubblica francese in guerra contro la Germania, compresi, paradossalmente, molti esuli tedeschi antinazisti; in seguito, tra il 1940 e il 1942, vi furono internati i cosiddetti elementi indesiderabili, principalmente ebrei e reduci delle Brigate internazionali che combatterono nella guerra di Spagna, per finire poi nell’estate del 1942 con una buona parte degli ebrei che, con la complicità dei collaborazionisti francesi, furono poi deportati verso Parigi per finire infine nei campi di sterminio [4];
- la città portuale di Tolone [5], che, insieme alla visita del Porto Vecchio di Marsiglia, attiguo al sito portuale colonizzato dai Focesi duemila seicento anni fa, testimonia ancora oggi come le città del Mediterraneo siano luoghi di riparo, di scambio e di interrelazione fra l’una e l’altra e i rispettivi entroterra.
Il terzo giorno di incontri è stato ospitato dal MUCEM (Musée des civilisations de l’Europe et de la Méditerranée), un museo sociale, come si definisce sul proprio sito. L’architettura, gli allestimenti, le mostre temporanee e permanenti e le collezioni fanno vedere “oggettivamente”, nel senso di “attraverso gli oggetti”, ispirandosi alle scoperte di Braudel, diversi aspetti della storia del Mediterraneo. In modo particolare le “Gallerie del Mediterraneo” in mostre semipermanenti, ne espongono due in maniera didatticamente molto efficace:
- la specifica, peculiare, tipica ruralità mediterranea composta dalla triade: cereali, vite, ulivo;
- la centralità delle città portuali come luoghi di vita, di commercio e d’irradiazione dei vari strati di civiltà succedutisi nei vari secoli della storia mediterranea.
Istanbul, Algeri, Venezia, Genova, Siviglia e Lisbona (città braudelianamente mediterranea senza affacciarsi propriamente sul Mediterraneo) sono rappresentate come punti strategici per l’esercizio del potere e per gli scambi sul mare che vide nascere la modernità, fra grandi imperi e mondializzazione dei fenomeni storici. Le città come tessere di un mosaico, cui potrebbero aggiungersi molti altri esempi – Barcellona, Alessandria d’Egitto, Salonicco o la stessa Marsiglia – diventano allora elementi per la descrizione del Mediterraneo come un personaggio storico di cui è possibile raccontare la vicenda interrogandolo fino ai giorni nostri. Il Museo perciò è stato il luogo ideale per le discussioni che si sono animate durante la giornata intorno a quattro tavole rotonde.
Mediterraneo: un passato comune
La prima tavola rotonda, intitolata “Il nostro passato comune nel Mediterraneo: esempi di didattica della storia che unisce” ha visto la partecipazione di Mostafa Hassani-Idrissi, docente di Didattica della Storia all’Università Maometto V di Rabat (Marocco), Eyal Naveh, docente di Storia all’Università di Tel Aviv (Israele), Loizos Loukaidis di Cipro, studioso della possibilità per la didattica della storia di promuovere una cultura di pace, Home for Cooperation – Casa della Cooperazione, Nicosia (Cipro), Joan Brodsky-Schur, Our Shared Past in the Mediterranean.org, New York (USA). Durante la discussione i partecipanti abbiano cercato di affrontare alcune questioni chiave come le seguenti:
- la storia del Mediterraneo è un argomento unitario? O, piuttosto, si tratta di un minimo comun denominatore geografico per storie molto diverse fra loro?
- Se esiste una storia del Mediterraneo, qual è la relazione con la storia che accade nel Mediterraneo?
- Cosa può indicare il nome stesso di Mediterraneo? Si tratta di un’altra forma di “orientalismo”, dato che per Arabi e Turchi si tratta del Mar Bianco e per gli Ebrei del Grande Mare?
Posto che oggi, da una prospettiva globale, nessuno può affermare che il Mediterraneo sia la culla della civiltà, ma solo uno dei luoghi di irradiazione del processo di civilizzazione:
- Qual è il ruolo storico del Mediterraneo sul palcoscenico della storia mondiale?
- Quali relazioni storiche vi sono fra le sue sponde meridionali e settentrionali, orientali e occidentali?
- Esiste un pensiero, un atteggiamento, una dieta, un modo di vivere mediterraneo o si tratta di una galassia di fenomeni legati tra di loro da fattori estrinseci? [6]
Quasi tutti i relatori hanno parlato di iniziative già note al lettore italiano. Il professor Idrissi ha affrontato questi argomenti parlando del manuale Méditerranée une histoire a partager di cui novecento.org si è già occupata nel numero che abbiamo citato all’inizio (https://www.novecento.org/dossier/mediterraneo-contemporaneo/mediterraneo-una-storia-da-insegnare/ ). Eyal Naveh, invece, ha illustrato i problemi e le conclusioni del testo Side by Side: Parallel Histories of Israel-Palestine, pubblicato a cura dello stesso Naveh, di Dan Bar On, di Sami Adwan e del PRIME (Peace Research Insitute in the Middle East), di cui esiste una traduzione italiana [7], già recensita in Italia sul numero 1 di Mundus [8]. Loizos Loukaidis ha riferito sul progetto di insegnamento intercomunitario che si sta sperimentando a Cipro in classi di studenti e di insegnanti turco-ciprioti e greco-ciprioti. Anche di questo novecento.org ha già riferito in un precedente articolo.[9] Joan Brodsky-Schur ha invece illustrato il progetto didattico on line americano “Our shared past in the Mediterranean”, un percorso di storia mondiale per l’aggiornamento degli insegnanti in cui il Mediterraneo gioca una parte essenziale, ma non nella solita prospettiva nella quale si tratterebbe della culla della civiltà, quanto nella prospettiva di una lettura “mondiale” della sua storia.
Didattica della storia islamica
La seconda tavola rotonda ha cercato invece di affrontare la didattica della storia islamica e dei suoi valori. Oggi L’importanza del tema non dovrebbe sorprendere, a maggior ragione oggi, quando, a causa del disordine mondiale seguito alla caduta del muro di Berlino, fenomeni come il radicalismo islamico e la teoria dello scontro di civiltà attraversano il dibattito pubblico ed entrano prepotentemente anche nelle nostre classi scolastiche. Di cosa parliamo quando parliamo di Islam? Esiste una civilizzazione islamica isolabile come un’entità separata dalla altre e unificata sostanzialmente dalla religione?[10] O, piuttosto, il concetto di storia islamica è un termine generale che raccoglie varie forme di Islam unite da alcune credenze comuni? L’Islam è una religione espressa da una forma culturale o, al contrario, si tratta di una particolare forma di cultura che ha prodotto una religione particolarmente flessibile e adattabile, tanto da diventare una delle più diffuse al mondo?
Queste sono solo alcune delle domande preliminari che i docenti si dovrebbero porre quando insegnano l’Islam. Tuttavia, se vogliamo affrontare la questione, tenendo conto dei molti studenti di religione islamica che ormai siedono tra i banchi ovunque in Europa, secondo i partecipanti alla tavola rotonda occorre porsi anche questioni più specifiche come ad esempio:
- la storia dell’Islam è o non è parte della storia europea?
- È possibile sostenere la tesi dell’esistenza di una civiltà islamico-cristiana? [11]
- Oppure, al contrario, la storia dell’Islam è completamente estranea, antitetica e conflittuale con quella europea?
- Quali relazioni intercorrono fra storia e cultura ebraica e Islam?
Radici e radicalizzazioni
Che non si tratti di questioni oziose lo dimostrano almeno due fatti uno più recente dell’altro: il famoso dibattito sulle radici cristiane dell’Europa, legato al processo di elaborazione della cosiddetta costituzione europea [12] e la creazione, da parte della Commissione europea della rete RAN (Radicalisation Awareness Network), un centro studi per riconoscere e se possibile prevenire i fenomeni di radicalizzazione, islamica, islamofobica o antisemita che possono alla lunga alimentare la violenza terroristica di ogni colore all’interno dell’Unione Europea[13]. Insomma studiare meglio l’Islam, insegnarlo tenendo conto delle articolazioni culturali, delle differenze linguistiche e nazionali che si agitano al suo interno non solo è un modo per superare gli stereotipi e favorire l’integrazione e la coesione pacifica, ma anche per comprendere meglio uno degli aspetti più importanti del mondo nel quale viviamo.
La storia dell’Islam, inoltre, interroga il docente sulla bontà ed efficacia di concetti come quello di civiltà. Si tratta di un concetto universalistico e singolare, oppure, come sostengono in molti, le civiltà sono plurali, differenti e in contraddizione fra loro? La storia dell’Islam chiede anche di affrontare il tema dell’identità da una prospettiva storica. Qual è il ruolo dell’Impero Ottomano nella storia d’Europa e del Mediterraneo? Si trattò di una sorta di nuovo Impero bizantino o semplicemente un tentativo di conquista dell’Europa? O entrambe le cose? Come dobbiamo raccontare agli studenti i vari Islam europei per lingua o cultura materiale, come quello spagnolo, italiano o bosniaco, che oggi è addirittura una delle componenti principali di uno stato formalmente riconosciuto? Come dobbiamo presentare nelle nostre classi la grande eredità culturale, filosofica e scientifica che la cultura islamica ha lasciato all’umanità?
La crisi dei migranti
Molto più difficili, e impegnative, almeno per l’insegnante di storia, sono state le questioni emerse dalla terza tavola rotonda dedicata alla discussione del tema: Comprendere la crisi umanitaria dei migranti. Certo la prospettiva storica può dare qualche indicazione: dopo secoli di emigrazione europea nel mondo, largamente coincidente con la colonizzazione imperialistica di interi continenti, l’Europa e i paesi anglosassoni fuori d’Europa subiscono un contraccolpo migratorio proveniente proprio dalle ex colonie, dirette o indirette. Una popolazione giovane e numerosa si trasferisce per fuggire da guerre, cambiamenti climatici, dittature, miseria o per cercare quella scalata sociale che nei paesi d’origine è bloccata dalla corruzione o dalla disorganizzazione. Il Mediterraneo, com’è noto, è uno dei crocevia più importanti per questi flussi di persone. Perché gli insegnanti se ne dovrebbero occupare? Abbiamo già accennato al fatto che nelle nostre classi ormai accogliamo diversi studenti con differenti culture d’origine: molti di loro sono figli di migranti e qualcuno è già nipote di migranti. Se c’è dunque un settore della società nella quale la crisi dei migranti si manifesta e deve essere risolta tutti i giorni quello è proprio la scuola. Certo per riuscire a comprendere meglio il fenomeno dovremmo innanzitutto portare nelle nostre classi fatti attendibili e dati credibili. Troppo spesso gli studenti, a causa di una comunicazione giornalistica manipolata e sensazionalistica, ricevono informazioni scorrette o distorte; gli insegnanti di storia, in questo come in altri campi, devono innanzitutto insegnare come si scelgono, si valutano e si analizzano le fonti [14].
Contestualizzare i fenomeni migratori
Il secondo aspetto da tenere in considerazione nell’insegnamento della storia oggi è la contestualizzazione dei fenomeni migratori. È facile dire che l’uomo migra da sempre, ma è più complicato costruire attività didattiche sulla storia delle migrazioni come quelli realizzati da Euroclio alcuni anni fa con il progetto “Discovering diversity” [15]. I processi migratori mettono sotto pressione i modelli di identificazione e di riconoscimento. In molti strati della popolazione la reazione alla globalizzazione e alle migrazioni è stata ed è ferocemente difensiva. Fenomeni di neo nazionalismo aggressivo, di autonomismo spinto fino alla secessione di regioni e “piccole patrie” si diffondono sempre di più. Per reagire alla novità del migrante percepito come un alieno che viene a turbare la presupposta omogeneità culturale della nazione che lo riceve, l’insegnante di storia dovrebbe invece enfatizzare che nella storia non esistono nazioni o culture completamente omogenee, che tutte le società europee, persino quelle più isolate come l’Islanda, contengono qualche elemento meticcio o qualche contaminazione. Non è compito dell’insegnante indicare quali siano le soluzioni politiche al problema, quello che può fare invece è, al solito, contestualizzare, permettendo ai ragazzi di comprendere le premesse storiche degli argomenti di chi si vuole blindare nella “fortezza Europa” e quali invece siano le motivazioni di chi vorrebbe mantenere un atteggiamento più aperto. Nella tavola rotonda abbiamo sentito sostenere entrambi i punti di vista.
Europa: la nostra storia?
Viviamo senza dubbio in tempi interessanti, come direbbe il filosofo sloveno Slavoi Zizek [16]. Uno dei motivi è che, a fronte del neonazionalismo rampante, premiato spesso dal consenso elettorale, molti storici stanno sviluppando una storiografia transnazionale, multilaterale e regionale nel solco delle molteplici correnti della world history. Anche nella storiografia, per non parlare della didattica della storia, è presente dunque una contraddizione simile a quella che agita la politica. Da un lato, lo stato-nazione è sempre al centro del discorso storiografico, dall’altro vi sono segnali di un suo superamento [17]. Molti paesi d’Europa stanno riformando i loro curricoli storici in senso nettamente nazionalistico (ad esempio la Polonia[18])o in modo più sottilmente sciovinistico, come l’obbligo di insegnare valori “britannici”, imposta da alcuni anni nel Regno Unito[19]. Dall’altro si moltiplicano le ricerche su come insegnare la storia dell’Unione Europea [20] e la storiografia scientifica prova a costruire narrative o meglio metanarrative innovative come le opere gemelle Storia Mondiale dell’Italia, recentemente pubblicata da Laterza a cura di Andrea Giardina e Histoire Mondiale de la France, pubblicata da Seuil sotto la direzione di Patrick Boucheron. Questo è il quadro nel quale si è sviluppata la quarta tavola rotonda della giornata intitolata Europa. La nostra storia? Al centro della discussione c’è stata la pubblicazione di un grosso volume intitolato Europe, notre histoire. L’héritage européen depuis Homère, pubblicato nel 2017 a Parigi dalle Éditions des Arènes, sotto la direzione di Étienne François et Thomas Serrier. È stato proprio quest’ultimo a presentare e difendere l’iniziativa nella discussione cui hanno partecipato il deputato europeo del PPE Alain Lamassoure, Blandine Smilansky della Casa della storia europea [21] e Chris Rowe della redazione di Historiana – Your portal to the Past [22].
Europa notre histoire non cerca una narrativa complessiva della storia europea, quanto piuttosto si sforza di disegnare una mappa sulla trama della quale l’ordito delle narrative nazionali o regionali possano riconoscersi, una bussola anche per gli insegnanti dei vari paesi europei, dentro e fuori dall’Unione. Il testo si divide in tre macro sezioni divise a loro volta in capitoli di cui riportiamo i titoli per dare un’idea sommaria del progetto:
- Presenze del passato;
- Scottature/Ustioni (Brülures)
- Racconti
- Origini/culle (Berceaux)
- Corpo a corpo.
- Le Europe;
- Eroi e anime dannate;
- Paesaggi e immaginario;
- Passioni e sortilegi;
- Fronti e frontiere;
- Incroci e confluenze;
- Parole e depositi di parole;
- Memorie-mondo.
- Conquistare;
- Imporre;
- Esportare;
Comunicare fra memorie nazionali
È molto difficile entrare nei dettagli di un testo di più di 1300 pagine uscito di recente, ma basta un’occhiata all’indice per capire che non si vuole sostituire alle storie nazionali quanto piuttosto integrarle attraverso diverse prospettive, uno sforzo di riconoscimento fra memorie differenti più che il racconto di memorie condivise. Chi vive fuori dell’Europa parla dell’Europa come un’entità, magari in crisi, magari al tramonto, ma ne riconosce i tratti peculiari[23]; paradossalmente, forse (o forse no), chi vive in Europa (poniamo in Italia) fatica a condividere al contrario il proprio vissuto, la propria cultura e la propria memoria con quella degli altri, dentro o fuori l’Unione Europea. Lo scopo di quest’opera sembra essere insomma quello di fornire strumenti di comunicazione fra le memorie nazionali.
Si tratta di un bisogno largamente percepito; molti studenti vivono ormai in una dimensione europea, le migrazioni interne ed esterne all’Unione Europea hanno riempito le nostre classi di studenti con background multipli provenienti da tutto il continente, perciò lo studio della storia europea dovrebbe essere una sfida didattica da raccogliere o quanto meno da proporre. Anche la Summer School degli Istituti, di cui novecento.org riferisce ampiamente, ha provato a dare qualche risposta a queste esigenze [24]. Europe notre histoire sembra dunque essere, sulla falsariga del modello già illustrato per Mediterranée une histoire à partager, un ottimo repertorio di riflessioni e di spunti interpretativi per lavorare sulle storie tradizionali problematizzandole e dando loro un’ampiezza impossibile senza considerarne la prospettiva europea transnazionale. Insomma la storia europea può essere raccontata come la somma delle storie nazionali che la compongono, come la storia dell’Unione Europea, ma anche come la storia di quelle, citando dal prologo dell’opera, sono le «unità significative, d’ordine materiale o ideale, che la volontà degli uomini o il lavoro del tempo ha reso elementi simbolici del patrimonio memoriale» comune ad una porzione più o meno grande di cittadini del Vecchio Continente.
Il manuale franco-tedesco: Histoire/Geschichte
Dopo una giornata di laboratori didattici la discussione plenaria è poi ripresa l’ultimo giorno con altre due tavole rotonde e con una relazione conclusiva sulla questione del genocidio degli Armeni. La prima tavola rotonda ha illustrato i risultati di uno studio sui punti di forza e di debolezza del manuale franco-tedesco di storia per le scuole superiori[25]. Il testo pubblicato in francese e in tedesco senza variazioni, al netto dei problemi di traduzione, rappresentò il primo tentativo europeo di un testo di storia per le scuole con una prospettiva comune a due scuole storiografiche nazionali. Per quanto si possa facilmente criticare – la scelta di focalizzarsi su di una prospettiva franco-tedesca è chiaramente una scelta politica, peraltro storicamente comprensibile – il manuale, che ha avuto scarsa fortuna commerciale, ha dovuto scontrarsi con un paio di importanti difficoltà in entrambi i paesi. In Germania non esiste un sistema scolastico nazionale, dunque è difficile che un’adozione si adatti a tutti i sistemi scolastici di ogni singolo Land che compone la Repubblica Federale Tedesca. In Francia, invece, si accusa il manuale, come spesso accade anche in Italia per i manuali molto operativi, di non fornire tutte le informazioni fattuali necessarie a sostenere gli esami finali. Il primo è un ostacolo solo parzialmente superabile, perché in Germania esistono forme di coordinamento nazionale sull’educazione, ma le differenze di approccio rimarranno fintato che la Germania rimarrà una repubblica federale. Per la seconda questione, invece, la risposta è molto più articolata. I colleghi tedeschi hanno sottolineato come un testo snello e chiaro nella narrazione, ma ricco e propositivo nelle attività proposte possa favorire la formazione dello Urteil degli studenti, termine che in questo contesto potremmo tradurre con “capacità critica” o “discernimento”.
Memorie, storia e politica: la questione del genocidio degli armeni
La seconda tavola rotonda della giornata ha trattato il tema: Le memorie e la storia della Guerra d’Algeria, da una riva all’altra, un tema particolarmente sentito in Francia e in modo particolare nella regione di Marsiglia. Molto più interessante per noi, invece, è stata la prolusione sul Genocidio degli Armeni tenuta da Vincent Duclert, docente di Scienze Politiche all’ École des Hautes Etudes en Sciences Sociales, ma anche funzionario dell’Ispettorato generale per l’educazione nazionale e presidente di una commissione d’indagine ministeriale sull’insegnamento dei genocidi e dei crimini di massa. L’autore, come aveva già scritto nel 2006[26], ha sostenuto nel suo intervento due punti principali:
- per gli storici non è necessario che il genocidio armeno sia legalmente sancito per definirlo come tale;
- la campagna della diaspora armena perché vengano prese decisioni politiche dai parlamenti nazionali in favore di una definizione formale di genocidio nei confronti dei massacri di Armeni è una reazione ai continui sforzi di gran parte dell’establishment turco di sminuire, relativizzare, circoscrivere, in una parola negare la natura etnico nazionale pianificata dei massacri perpetrati contro i sudditi armeni della Sublime Porta.
Durante l’ultima giornata infine si sono svolte l’assemblea annuale dell’associazione, che ha dovuto risolvere non poche questioni organizzative e il tradizionale laboratorio di discussione con la tecnica del world café, dedicato quest’anno a uno dei temi più tradizionali per Euroclio: Guardare alla storia e alla memoria con le lenti del pluralismo.
Bibliografia
- Bulliet R. W., 2006,The case for Islamo-christian civilization, New York, Columbia University Press.
- Cassano F., 2006, Il pensiero mediterraneo, Roma-Bari, Laterza,
- Chakrabarty D., 2016, Provincializzare l’Europa, Meltemi, (ed.originale 2000)
- Huntington S. P., 2000, Lo scontro delle civiltà e il nuovo ordine mondiale, Milano, Garzanti.
- Le Quintrec G. e Geiss P. (2006), Manuel d’Histoire franco-allemande – Deutsch-französiches Geschichtsbuch, Leipzig, Klett, Nathan, Paris.
- Peace Research Institute in the Middle East, 2003, trad.it. La storia dell’altro – israeliani e palestinesi, Prefazione di Pierre Vidal-Naquet, introduzione di Dan Bar-On, Sami Adwan, Eyal Naveh, Adnan Musallam, a cura di Asher Salah e Barbara Bertoncin, Forlì, Ed. Una Città.
- Žižek S., 2012, Benvenuti in tempi interessanti, Milano, Ponte alle Grazie.
Note:
[3] Si veda ad esempio https://www.youtube.com/watch?v=nuNx2nMAQVA
[4] http://www.campdesmilles.org/
[5] http://toulontourisme.com/que-faire-toulon/toulon-cote-mer/rade-de-toulon-musee-marine/
[6] Di questo discute (Cassano, 2006).
[7] (PRIME, 2003)
[8] https://mundusonline.it/index.php/numeri-precedenti/mundus-1/37-laboratorio/1/54-conoscere-e-studiare-i-rispettivi-racconti-storici-secondo-il-progetto-del-prime
[9] https://www.novecento.org/pensare-la-didattica/vivere-e-insegnare-nelle-societa-divise-il-caso-di-cipro-2315/
[10](Huntington, 2000)
[11](Bulliet, 2006)
[12] Uno stimolante intervento di padre Sorge su quel famoso dibattito si può leggere qui http://clmr.infoteca.it/bw5net/ShowFileAS.ashx?Filename=IwNDLXrLT%20d86fddjq1guwjYICFZZAqw9/8JjPuB8liRy2l7TugJw9loWnvH7tZx
[13] https://ec.europa.eu/home-affairs/what-we-do/networks/radicalisation_awareness_network_en
[14] Un esempio di programmi didattici predisposti per l’analisi critica delle fonti è quello diretto da Sam Wineburg a Stanford. Soprattutto quello denominato “Civic online reasoning”.
[15] https://euroclio.eu/projects/discovering-diversity/
[16] (Žižek, 2012)
[17] Per una breve introduzione teorica alla questione si può leggere questo articolo di Rüsen: https://public-history-weekly.degruyter.com/6-2018-4/nationality-dead-alive/
[18] http://www.dw.com/en/poland-education-reform-to-slash-thousands-of-teachers-jobs/a-40333721 (la seconda parte dell’articolo tratta la questione dell’insegnamento della storia).
[19] https://www.independent.co.uk/news/education/british-values-education-what-schools-teach-extremism-culture-how-to-teachers-lessons-a8200351.html (gli insegnanti britannici devono insegnare i valori britannici, ma quali sono non perfettamente chiaro).
[20] Euroclio ha promosso e promuove progetti in questa direzione come: https://euroclio.eu/projects/decisions-dilemmas-iii/ il cui sottotitolo tradotto è: rendere lo studio della storia dell’Unione Europea motivante e significativo o https://euroclio.eu/projects/teaching-europe-enhance-eu-cohesion/ .
[21] Sul museo di Bruxelles si veda la recensione di Amedeo Feniello pubblicata su novecento.org: https://www.novecento.org/uso-pubblico-della-storia/guida-critica-alla-casa-della-storia-europea-3145/
[23] Forse il testo più noto è: (Chakrabarty, 2016).
[24] https://www.novecento.org/elenco-dossier/insegnare-leuropa-contemporanea-2729/
[25] Il primo volume è uscito nel 2006 contemporaneamente in Francia e Germania.
[26] V.Duclert, <Armenian Genocide>, in Jay Winter and John Merriman (eds.) Europe since 1914. The Age of War and Reconstruction, Charles Scribner’s Sons/Thomson Gale, 2006.