Quale storia per il XXI secolo
By EU2017EE Estonian Presidency – European Council, CC BY 2.0, Link
Abstract
Quale storia dobbiamo insegnare agli studenti europei del XXI secolo? È questo il tema di un progetto del Consiglio d’Europa che cerca di delineare le linee guida e i principi generali di una didattica della storia capace di favorire la convivenza civile nel mondo globalizzato. Il progetto, giunto a metà del suo percorso quadriennale è stato per ora sospeso per ragioni finanziarie, ma nell’attesa, e nella speranza, che sia riattivato al più presto crediamo opportuno divulgarne i primi risultati.
UN PROGETTO DEL CONSIGLIO D’EUROPA
Quali sono le sfide educative del Ventunesimo secolo? Come possono essere affrontate attraverso l’insegnamento della storia? Ha ancora senso proporre l’insegnamento di questa disciplina in un mondo profondamente trasformato dalla globalizzazione dell’economia e dalla mondializzazione dei fenomeni, sociali, politici e culturali?
Sono queste alcune delle domande cui tenta di rispondere un progetto promosso dal Consiglio d’Europa intitolato: Educare alla democrazia e al rispetto delle differenze: insegnare e apprendere la storia nell’Europa contemporanea. Il progetto avrebbe dovuto svolgersi in due parti: una prima nel biennio, 2016 2017 e una seconda nel biennio 2018 2019. Oggi, purtroppo, il progetto è stato sospeso per problemi di budget, ma, nonostante sia stata realizzata solo la parte iniziale, nella speranza che la seconda riparta al più presto, ci sembra importante cominciare a diffonderne i risultati.
Innanzitutto la finalità: si tratta di redigere un documento contenente i principi e le linee guida di un insegnamento della storia finalizzato a promuovere società aperte e inclusive, sulla scia di quanto già realizzato dal CoE per l’insegnamento delle competenze di cittadinanza . La bozza finale del testo scritta da un comitato di esperti, sarà valutata dal comitato dei ministri, organo decisionale del Consiglio d’Europa e, una volta approvata, sarà proposta ai singoli governi che potranno introdurlo nei loro paesi non tanto come testo normativo quanto piuttosto come programma di lavoro condiviso. Certo i rigurgiti neo nazionalisti che provengono da molte parti d’Europa non inducono ad un grande ottimismo sulla realizzazione dell’iniziativa, ma forse proprio per questo occorre tenere vivo il dibattito.
LE PREMESSE
Partendo da premesse ormai comuni il documento delinea una strategia che si articola in dieci principi guida e nelle loro possibili linee di sviluppo. Tanto per cominciare è noto che le società europee sono sempre state società plurali, ricche di diversità. Oggi queste diversità si presentano sotto un duplice aspetto, da una parte rappresentano delle opportunità, ma dall’altra sono percepite da molti, soprattutto per le loro conseguenze non del tutto prevedibili, come rischi per la convivenza civile. Le sempre crescenti disuguaglianze, i nuovi problemi legati alla costruzione di identità personali e collettive, la stereotipizzazione di comportamenti individuali o di gruppo, le minacce legate al radicalismo e al terrorismo, le sempre nuove interconnessioni e interdipendenze legate alla globalizzazione e le conseguenti difficoltà nel controllo delle tensioni sociali sono solo alcuni esempi di situazioni in cui operano i docenti in generale e i docenti di storia in particolare.
Fin dai tempi della formazione degli stati-nazione, il contributo della scuola, e in particolare dell’insegnamento della storia, è stato fondamentale per la formazione delle identità collettive. Con l’indebolimento dello stato nazione, che resta peraltro in molti paesi il principale fornitore del servizio scolastico, la scuola deve affrontare problemi ancora più complessi. Pochi dei nostri studenti s’identificano oggi con sicurezza ed esclusività nella loro cittadinanza nazionale e, anche quando si sentono parte contemporaneamente di qualcosa di più grande (Europa, Mondo) o di più piccolo (comunità o gruppi locali), non ne conoscono la ragione. Ecco quindi una delle premesse fondamentali; solo con la storia potranno sperare di capirne il perché. Solo la storia, continua il testo, può rendere effettiva l’educazione alla cittadinanza democratica attraverso la ricostruzione ragionata delle origini dei diritti e dei doveri presenti nei nostri sistemi giuridici, inoltre, forse soprattutto, lo studio della storia consente di imparare le regole di una valutazione razionale dei sistemi politici, sociali, economici e permette agli studenti di formulare giudizi informati nel o sul discorso pubblico. Insomma l’insegnamento della storia, se vuole contribuire al consolidamento della convivenza civile dovrà calare queste nel panorama educativo contemporaneo, difficile da comprendere e qualche volta ancor più difficile da gestire.
I PRINCIPI
La bozza di documento del Consiglio d’Europa indica poi dieci principi attraverso i quali una didattica della storia di qualità, potrebbe migliorare la vita pubblica nell’Europa di oggi:
- L’istituzione di curricula flessibili culturalmente pertinenti e di pratiche pedagogiche in grado di rispondere ai nuovi bisogni educativi.
- Un insegnamento che riconosca la complessità e lo spessore storico del concetto e della pratica democratica.
- Il riconoscimento del valore storico delle attività degli uomini e delle donne “comuni” nella storia delle loro società.
- La dimostrazione che le nostre società hanno una lunga storia di differenze etniche, religiose e culturali.
- Il riconoscimento dei vari e differenti aspetti della “nostra” identità e di quella degli “altri”.
- La capacità di fornire agli studenti i principali strumenti analitici, interpretativi e investigativi necessari alla valutazione delle fonti e dei racconti storici nell’epoca digitale.
- La considerazione degli eventi del passato in tutta la loro complessità, compresi gli eventi o i processi controversi e/o suscettibili di differenti interpretazioni.
- La presentazione in modo equilibrato degli aspetti cognitivi, emozionali, comportamentali ed etici della storia.
- Il riconoscimento dell’importanza dell’apprendimento empatico.
- La promozione e l’utilizzo di metodi di insegnamento e di apprendimento interattivi e partecipativi.
I primi cinque principi sono più strettamente legati alle necessità delle nostre classi multietniche, multiculturali, talvolta multilingue e sempre iperconnesse. Il secondo gruppo di principi, invece, pur assumendo una valenza particolare nel nostro mondo, ripropone pratiche educative e didattiche già note in altre forme in molti altri documenti.
LE LINEE GUIDA
A: MULTIPROSPETTIVITÁ E CITTADINANZA
- Innanzitutto occorre studiare la storia in modo dialettico, senza cadere in facili relativismi. Possono certo esistere narrazioni storiche contrastanti fra di loro, ma per diventare storia una narrazione deve possedere alcune caratteristiche essenziali: deve contenere ricerca e interrogazione delle fonti, non deve ignorare documenti rilevanti o significativi e si deve impegnare alla ricerca della verità e alla correttezza logica dell’argomentazione.
Possono dunque esserci, e debbono essere insegnate, diverse prospettive storiografiche, a patto che siano metodologicamente giustificate e che si propongano di comprendere e combattere gli stereotipi. Quello che conta non è certo far passare acriticamente le differenti posizioni come un elenco di opzioni da imparare a memoria, ma insegnare a ragionare e a obiettare per riconoscere punti di forza e debolezze, farsi una ragione delle differenze e magari prendere posizione attraverso le più opportune scelte argomentative.
L’insegnamento della storia deve perciò essere inclusivo, contenere, oltre alle interpretazioni storiografiche principali, anche la storia delle minoranze, degli emarginati, delle comunità e degli individui, che soli o in gruppo, attraverso la loro ribellione o la loro resistenza al cambiamento ci permettono di comprendere meglio la natura delle trasformazioni sociali più generali.
- L’insegnamento della storia riveste poi un ruolo cruciale nell’apprendimento e nella pratica dei diritti umani. Il loro sviluppo, la loro evoluzione, le lotte che sono state necessarie per conquistarli, persino la loro fragilità e la loro sempre incompleta realizzazione, possono essere compresi solo in prospettiva storica. È questa, in modo particolare, una storia che dovrebbe essere insegnata in maniera laboratoriale e collaborativa, proprio per esercitare concretamente gli studenti alla pratica della discussione e della decisione democratica.
B: NOI E GLI ALTRI
- La storia sociale è o dovrebbe essere diventata ormai uno degli aspetti più significativi della ricerca e della conseguente didattica della storia. Occorre perciò, in terzo luogo, rendere familiari agli studenti, nei limiti del possibile, l’esperienza degli uomini e delle donne “comuni” del passato, nelle varie forme in cui è stata registrata: memorie, cultura popolare, arti figurative e letteratura. Lo studente non deve necessariamente identificarsi con qualche leader o con qualche individuo cosmico-storico per sentirsi un possibile protagonista di quella che sarà la storia del futuro, ma, come mostrano con chiarezza le migliori microstorie, anche la narrazione o la ricostruzione dei pensieri, della vita, delle aspettative dei soldati di truppa, dei mugnai o dei contadini, delle suffragette, delle maestre o delle mondine, costituisce un elemento chiave della buona educazione storica.
Esiste talvolta il pericolo che disegnare o ricostruire il passato di un particolare gruppo umano possa portare a descrivere più spesso ciò che un gruppo o individuo ha subito piuttosto di quello che ha realizzato. Questa vittimizzazione andrebbe evitata, anche quando si pensa, diciamo così, di agire a fin di bene. Prendiamo ad esempio la lotta contro la schiavitù o per l’emancipazione femminile; enfatizzare i soprusi subiti dalle donne o dagli schiavi del passato può spingere a sottovalutare quello che gli stessi gruppi hanno fatto per cambiare la loro condizione o nonostante la loro condizione.
Ecco che lo studio di casi individuali può fare capire agli studenti che si può sempre agire, in qualunque contesto, o che le generalizzazioni in storia sono solo concetti euristici e non rappresentano esaustivamente le realtà che rappresentano.
- Le società europee sono sempre state costituite dalla più diverse comunità etniche, culturali e religiose. Dopo le guerre mondiali sono stati fatti molti sforzi, spesso violenti, di dislocare le comunità e i gruppi che non si identificavano con le caratteristiche maggioritarie dei diversi stati nazionali. Ciononostante, forse per fortuna, una delle caratteristiche fondamentali di tutti gli stati europei rimane quella di ospitare molte minoranze, più o meno numerose, che contribuiscono alla loro vitalità culturale, economica e politica. I problemi non sono mancati, non mancano e non mancheranno anche nel futuro, ma un insegnamento moderno della storia deve partire dall’assunto che la socio-diversità, per così dire, dovrebbe essere considerata, al pari della biodiversità per l’ambiente naturale, un elemento vitale di ogni formazione umana. Ciò non significa ignorare o superare la dimensione nazionale del racconto storico, ma certo significa considerarla all’interno di un contesto in cui minoranze e intersezioni transnazionali siano tenute nella dovuta considerazione . Tutte le culture, dice la bozza del Consiglio d’Europa, sono implicate una nell’altra, nessuna è singolare e pura, tutte sono in qualche modo ibride.
C: PENSARE STORICAMENTE
- Una delle categorie più frequenti, oggi come ieri, per la definizioni delle identità di ciascuno di noi e dei gruppi cui sentiamo o pensiamo di appartenere è la categoria di alterità. Io non sono un altro, il mio gruppo non è quell’altro. Ora, se, insegnando la storia, vogliamo evitare che gli studenti si riducano a riconoscere le proprie e le altrui identità come riconoscono le squadre di calcio o i personaggi dello spettacolo per cui “fanno il tifo”, dobbiamo mostrare come ciascuna di queste identità, le nostre come quelle degli altri, siano in realtà il prodotto di un processo storico stratificato. Bisogna, in altre parole, evitare quello che nella sociologia anglosassone viene chiamato “othering”, tradotto letteralmente, “alterizzare” gli altri. Gli “altri” non sono fondamentalmente differenti da “noi”, non sono confusi e contraddittori mentre noi no, non sono necessariamente inferiori in quanto altri. Tra noi e gli altri ci sono somiglianze e differenze che si modificano nel tempo e nello spazio. I nostri studenti ormai appartengono contemporaneamente a molti gruppi, culturali, sportivi, linguistici ed etnici. Ognuno di questi gruppi, compreso il gruppo maggioritario o più diffuso, è il risultato di scambi, conflitti e interconnessioni complesse e sfaccettate. Ancora una volta l’insegnamento della storia può svelarne le caratteristiche e favorire quella conoscenza senza la quale convivenza e tolleranza reciproca non possono certo né pensarsi né tantomeno realizzarsi.
- Quanto agli strumenti per realizzare obiettivi così ambiziosi il documento del Consiglio d’Europa indica innanzitutto la necessità di fornire agli studenti gli strumenti per interpretare i dati e le conoscenze disponibili, per valutare le fonti e giudicare le narrazioni. Non si tratta in sé di un compito radicalmente nuovo, in fondo si tratta di costruire l’insegnamento della storia intorno, almeno, ai rudimenti del metodo storico, o meglio del pensiero storico articolato sia nella sua forma analitica, trattamento delle informazioni, che nella sua forma sintetica, elaborazione e valutazione dei testi storici. Quello che appare oggi radicalmente nuovo è la quantità di informazioni disponibili e per l’insegnante e per lo studente. Le nuove tecnologie rendono infatti disponibile l’accesso ad uno sterminato numero di fonti, narrazioni, informazioni e dati difficili da maneggiare per i docenti e, spesso, fonte di disorientamento per gli studenti. Da tempo ormai si susseguono iniziative di vario genere per permettere ai ragazzi di avvicinarsi criticamente alle pagine Internet, di valutarne i contenuti, le prospettive, l’approccio metodologico, la correttezza formale, la presenza di un linguaggio ostile che spinge all’odio attraverso l’indulgenza o la promozione di stereotipi negativi. Il pensiero critico con la sua enfasi sulla domanda, sulla valutazione e la formulazione di giudizi informati assume oggi un ruolo più importante che mai.
D: DISCUTERE TUTTO
- Per fare questo non bisogna nascondersi le difficoltà, ma neanche nascondere che nella storia ci sono passaggi difficili, controversi, che in molti casi le questioni sono ancora aperte, che alcune non potranno mai essere chiuse definitivamente e che altre, forse, potranno esserlo solo in un futuro indeterminato. Non avere paura di affrontare gli aspetti più delicati della storia, però, permette di ridurre il rischio che su quelle questioni gli studenti si facciano un’idea distorta attraverso racconti di dubbia qualità appresi al di fuori della lezione di storia. Tra le strategie che si possono adottare per affrontare questioni controverse il documento ne menziona quattro:
- Il distanziamento – quando un argomento suscita passioni molto accesse, che polarizzano la classe in due partiti fortemente contrapposti, è bene mostrare analogie e parallelismi, o, al fine di comprenderlo sempre meglio, andare indietro nel tempo per ricostruire il momento in cui nacque il contrasto di cui si parla.
- La compensazione – quando una classe si schiera con acritica facilità a favore di una interpretazione aggressiva della storia, che prende di mira una minoranza, un altro stato, un gruppo religioso etc. il docente deve recitare la parte dell’avvocato del diavolo cercando di compensare gli argomenti sfavorevoli al gruppo bersaglio con il maggior numero possibile di contro argomenti.
- L’empatia – quando la discussione discrimina un certo gruppo o settore della società, l’insegnante cerca di mostrare il punto di vista di quel gruppo o settore in modo che gli studenti non possano evitare, almeno, di provare a mettersi nei panni di chi disprezzano.
- L’esplorazione – quando gli studenti sono confusamente convinti di una cosa di cui sono sicuri ma che non sanno argomentare, il docente cerca, attraverso varie strategie euristiche, la discussione, la lettura di diari o documenti, la lettura di romanzi o poesie, di esplorare le implicazioni più ampie, nei grandi quadri, di quanto emerso ingenuamente nella classe.
- Riconoscere e comprendere, capire e cogliere la dimensione storica di concetti come “diversità”, “inclusione” e “democrazia” implica la conoscenza di molti dati, delle loro relazioni nel corso del tempo e dei modi con cui è possibile interpretarli sensatamente. È necessario tuttavia non sottovalutare le dimensioni emotive, comportamentali ed etiche. Soprattutto riguardo agli eventi del passato più recente non è possibile e nemmeno utile mettere tra parentesi o neutralizzare le componenti emotive, innanzitutto come mezzi capaci di generare o rafforzare la motivazione e l’interesse degli studenti. Molto spesso questi stessi eventi sono problematici, soggetti ad interpretazioni contrastanti che vanno affrontate con un comportamento corretto, rispettoso delle differenze di prospettiva, ma esigente, con se stessi e con gli altri, nel richiedere rigore argomentativo e rispetto delle fonti. Quanto alle problematiche etiche che altrettanto spesso vengono sollevate dalla storia contemporanea, ma non solo, l’insegnante non può certo valutare le scelte valoriali degli studenti così come non può cambiare gli orientamenti etici degli storici, ma li può contestualizzare e comprendere nelle loro premesse e nelle possibili conseguenze. Quello che l’insegnante può fare consiste proprio nella ricerca di un linguaggio preciso per descrivere questi valori, cercando di distinguere i possibili valori universali da quelli storicamente determinati.
E: EMPATIA E APPRENDIMENTO COLLABORATIVO
- A questo proposito un buon apprendimento della storia dovrebbe prevedere la capacità di immedesimarsi, nei limiti del possibile, con gli uomini del passato. Questa abilità, che gli anglofoni chiamano empatia, non è affatto un semplice “prender partito” a favore di questo o contro quell’altro. Si tratta piuttosto di mettersi nei panni degli uomini e delle donne del passato, uno sforzo di vedere le cose dal punto di vista di ha agito nella storia, per come ha agito e con quali conseguenze. L’insegnamento empatico della storia non dovrebbe provocare reazioni emotive; si tratta di un insegnamento molto complesso, dallo sviluppo non lineare che può essere praticato anche in via induttiva, chiedendo per esempio agli studenti di analizzare diverse fonti, identificando le motivazioni e gli scopi di chi ha prodotto quella fonte piuttosto che un’altra. Un processo in linea di principio impossibile da compiere, ma sempre perfettibile.
- Infine, per ultimo ma non da ultimo, la bozza di documento del Consiglio d’Europa ricorda che l’apprendimento collaborativo e interattivo e la didattica per progetti hanno dimostrato, in diversi contesti, di essere strumenti molto efficaci di promozione della tolleranza, del rispetto delle differenze e della partecipazione responsabile alla vita pubblica.
Insomma per insegnare bene la storia nel XXI secolo bisogna riflettere e studiare com’è fatto il nostro mondo, interrogare il passato partire dalle domande che pone il presente, e tornare all’oggi con una prospettiva storica di spiegazione della situazione attuale. Bisogna realizzare questo proposito con atteggiamento euristico e non dogmatico, in modo il più possibile collaborativo e interattivo. Forse per molti aspetti questo documento rappresenta un libro dei sogni, ma certo è uno stimolo alla riflessione sia per il docente nel suo lavoro quotidiano che per i decisori politici, coloro che scrivono i programmi scolastici, e i dirigenti scolastici, quelli che devono gestirne la realizzazione concreta.
RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI
- Documenti e raccomandazioni già pubblicate sul tema dell’educazione alla cittadinanza attiva e consapevole e sulla didattica della storia di qualità.
- CM/Rec(2011)6 on intercultural dialogue and the image of the other in history teaching, Council of Europe, 2011
- Developing a culture of co-operation when teaching and learning history, Council of Europe, 2017
- Education 2030: Incheon Declaration and Framework for Action, World Education Forum, 2015 (si può scaricare in italiana dal sito: https://istruireilfuturo.com/2015/12/11/world-education-forum-2015/ ).
- History, heritage and citizenship education for promoting citizenship and the common values of freedom, tolerance and non-discrimination (Helsingor Declaration), Euroclio,
- Manifesto on High Quality History, Heritage and Citizenship Education, 15 Principles for the recognition of the distinctive contribution of history to the development of young people, Euroclio, 2013 (si può scaricare anche in italiano dal sito: euroclio.eu ).
- Rec(2001)15 on history teaching in twenty-first-century Europe, Council of Europe, 2001
- Riferimenti bibliografici
- Micro e macro storie
- Armitage D. e Guldi J. 2016, Manifesto per la storia. Il ruolo del passato nel mondo di oggi, Roma: Donzelli (questo pamphlet sostiene, al contrario, il valore educativo della grande storia e degli studi sulla lunghe durate a parere degli autori sostituiti da troppe microstorie – non sempre convincente).
- Ginzburg C. 1976, Il formaggio e i vermi. Il cosmo di un mugnaio del ’500, Torino: Einaudi (chi ha letto questo libro sa che un’ottima “microstoria” ha un effetto euristico importante quanto lo studio delle lunghe durate e dei grandi quadri).
- Il tema dell’identità
- Ehala M. 2018, Signs of identity. The anatomy of belonging, New York and Abingdon: Routledge.
- Jamieson L. 2002, Theorising Identity, Nationality and Citizenship: Implication for European Citizenship Identity, “Sociológia 34, 2002, č. 6. https://www.researchgate.net/publication/228547970_Theorising_identity_nationality_and_citizenship_implications_for_European_citizenship_identity
- Malešević S. 2017, Do national identities exist? , “socialspacejournal.eu”. http://socialspacejournal.eu/13%20numer/Do%20national%20identities%20exist%20-%20Malesevic.pdf
- Micro e macro storie