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Questioni controverse da discutere in classe. Tecniche didattiche nell’insegnamento della storia e dell’educazione civica

Spunti di riflessione dalla ventisettesima Conferenza annuale di Euro-clio

Abstract

L’autore illustra spunti e riflessioni emerse dalla conferenza di Euroclio, la prima a essere organizzata in forma completamente virtuale a causa della pandemia di CoViD-19. Al centro dell’appuntamento è stato il tema “Controversia e disaccordo nelle classi”, al quale è legata una ricerca riguardante la formazione di insegnanti capaci di fornire agli studenti i mezzi necessari per acquisire le competenze civiche e le abilità sociali utili alla comprensione e alla trasformazione del dissenso in apprendimento.

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The author presents insights and reflections from the Euroclio conference, the first to be organised in a completely virtual form due to the CoViD-19 pandemic. At the centre of the meeting was the topic ‘Controversy and Disagreement in the Classroom’, to which is linked research on the training of teachers capable of providing students with the necessary means to acquire the civic and social skills useful for understanding and transforming dissent into learning.

Tensioni sociali e discussioni nelle classi

La pandemia di Covid-19 forse non ci ha resi migliori ma certamente ci ha costretto a fare le cose diversamente. In tutti i settori della vita pubblica e privata ci sono stati cambiamenti, anche importanti, e si sono cercate strade nuove per svolgere i compiti più diversi. A questa ricerca di strade alternative non ha fatto eccezione Euroclio che ha tenuto online la sua ventisettesima Conferenza Annuale. Dopo 26 edizioni in presenza, il più importante appuntamento dell’attività dell’associazione (un network di 83 associazioni di insegnanti o centri di ricerca connessi con la didattica della storia presente in 47 paesi), si è tenuto dal 31 ottobre al 29 novembre del 2020 in forma virtuale. Lezioni magistrali, webinar, laboratori interattivi, tavole rotonde, momenti di interazione libera hanno animato la conferenza; da ultimo ma non per importanza, si è tenuta anche la prima edizione virtuale del pub quiz di Euroclio, uno dei momenti abitualmente più apprezzati dai partecipanti che si divertono a competere tra di loro in una gara di erudizione, molto autoironica per una associazione che promuove la conoscenza della storia in modo problematico e sfaccettato, come dimostra anche la scelta del nuovo logo recentemente modificato.

La conferenza avrebbe dovuto tenersi a Belgrado come momento finale del progetto Learning to disagree, di cui offriremo dettagli più avanti[1].

Nell’evento, intitolato “Controversia e disaccordo nelle classi”, si è illustrato il risultato della ricerca che consiste nella formazione di insegnanti capaci di fornire agli studenti i mezzi necessari per acquisire le competenze civiche e le abilità sociali utili alla comprensione e alla trasformazione del dissenso in apprendimento, nel pieno
rispetto del diritto di ciascuno ad esprimersi, ma anche del dovere di tutti di non trasmettere consapevolmente informazioni o opinioni falsate da preconcetti o da fraintendimenti più o meno consapevoli. L’approccio proposto si basa sull’idea che i conflitti e le controversie non siano evitabili e che non sia nemmeno necessario tentare di ricomporli a tutti i costi. Un sano approccio educativo dovrebbe piuttosto seguire l’idea della loro trasformazione, cioè della necessità di renderli comprensibili e gestibili.

La trasformazione dei conflitti consiste nell’immaginare risposte al flusso e riflusso dei conflitti sociali tali che diano fertili opportunità creative per la generazione di processi costruttivi di cambiamento; tali opportunità dovrebbero ridurre la violenza e accrescere la giustizia nelle interazioni e nelle strutture sociali e, infine, dovrebbero rispondere ai problemi della vita reale nelle relazioni umane [2]

 

Controversie e polarizzazione

Prima di entrare nel merito del progetto (la cui guida per gli insegnanti è disponibile in tredici lingue, tra cui l’italiano)[3] vorremmo presentare i contenuti della relazione introduttiva tenuta da Maarten Van Almstein del Flemish Peace Institute, nella quale sono stati mostrati i presupposti e le opportunità per gli insegnanti che colgono come occasione educativa i conflitti e le controversie. I decisori politici stentano ormai da anni a formulare con chiarezza quale sia il compito della scuola nella società del nostro tempo. La più importante e antica impresa di orientamento sociale dello stato-nazione non sembra ormai riuscire, dopo decenni di successi, a replicare in modo convincente i processi di acculturazione e inculturazione che ne hanno caratterizzato fin qui la migliore storia [4]. Per uscire da questa impasse che coinvolge l’intero pianeta, ma in modo particolare l’Europa, si confrontano ormai da anni due modelli di soluzione. Considerando la questione dal lato dell’insegnamento della storia vediamo che, da un lato, ci sono i governi che ripropongono la formazione delle nuove generazioni intorno all’orgoglio nazionale, dall’altro quelli che, seppur timidamente, tentano di educare all’interculturalità, alla coesistenza pacifica e alla valorizzazione delle differenze, alla ricerca di un substrato comune per la convivenza in società sempre più articolate e in cui il conflitto si presenta in forme nuove rispetto al passato più recente.

Entrambi gli orientamenti condividono, per ragioni diverse, la convinzione che sia necessario educare alla cittadinanza consapevole: gli uni per integrare i giovani nel progetto neo nazionale, gli altri per consentirgli di vivere nel mondo globalizzato.

Che si propenda per l’uno o l’altro orientamento è sempre necessario trovare le giuste modalità per gestire classi che sono sempre meno omogenee per provenienze culturali e sociali. In altre parole, al di là delle intenzioni dei decisori politici, le tensioni sociali del nostro tempo si riflettono inevitabilmente nelle relazioni interne al gruppo classe e nella relazione degli allievi con gli insegnanti. Certo gli insegnanti di storia sono, o dovrebbero essere, tra i più preparati per affrontare le nuove sfide. In fondo insegnano una materia di per sé aperta al conflitto delle interpretazioni e, soprattutto per chi è abituato ad arrivare a insegnare le fasi del più tardo XX secolo, dovrebbero essere abituati anche a gestire la controversia e la discussione su argomenti particolarmente sensibili e sentiti.

In questa sede ci sentiamo tuttavia di condividere le proposte di Van Almstein, rivolte agli insegnanti di tutte le discipline: anche gli insegnanti di storia devono affrontare le nuove sfide chiarendosi bene le idee circa le prospettive teoriche e le risorse pratiche a disposizione. Seguiremo perciò lo studioso belga [5] nel tentativo di rispondere a tre domande:

  1. «quali risorse e quali metodi sono appropriati per quali generi di conflitto in quale genere di classi?»[6] oppure esiste una soluzione didattico metodologica buona per tutte le situazioni?
  2. Cosa fare quando «in certi contesti la sola idea di discutere su questioni sociali controverse è in se stessa controversa»[7]?
  3. Quali supporti teorici possiamo cercare per corroborare questa o quella buona pratica?

 

Il conflitto

Di fronte alle discussioni che possono agitare le nostre classi, tre sono le possibili reazioni: ignorarle, reprimerle o prenderle sul serio per farle diventare occasioni di apprendimento e di crescita personale, anche degli insegnanti. Secondo Van Almstein l’ultimo approccio, largamente preferibile, può essere sostenuto solamente se si realizzano in modo positivo due condizioni: un buon clima di classe e la cosiddetta “classe politica”. Nel primo caso si tratta di generare una fiducia tra gli studenti e fra studenti e insegnanti, tale per cui la discussione, anche accesa, possa essere «attivamente incoraggiata»[8]; nel secondo occorre considerare la classe come un luogo naturalmente “politico”[9] nel senso più largo e nobile del termine, un luogo in cui ci si interessa attivamente della cosa pubblica. Come potremmo sperare altrimenti di realizzare le finalità della legge 92 del 20 agosto 2019: «promuovere la partecipazione piena e consapevole alla vita civica, culturale e sociale delle comunità, nel rispetto delle regole, dei diritti e dei doveri» (art.1)?

Non è qui il caso dilungarsi sulle ragioni per cui nelle classi dovrebbe esserci un clima di fiducia reciproca; il tema non dovrebbe, almeno in teoria, costituire un problema per chi lavora nelle scuole di regimi liberal-democratici. Ma qualche parola in più potrà essere utile a spiegare cosa Van Almstein intenda quando parla di classe come luogo “politico”.

Innanzitutto è essenziale che siano condivise le regole fondamentali di ogni dialogo fondato sulla contrapposizione di prospettive; regole che, se nella vita reale potrebbero essere violate per realizzare scopi personali o di parte, a scuola devono essere rispettate rigorosamente per ragioni che non è nemmeno necessario menzionare. Perciò, in un processo condiviso con gli studenti – di fatto già un momento di “politica” – gli insegnanti concordano le regole di base del rispetto reciproco, dell’uso del tempo, dello spazio e del linguaggio, del diritto all’ascolto e via dicendo, fino ad arrivare ad un vero e proprio «patto di buona interazione»[10], necessario se si vuole animare la classe sulle questioni più varie. In secondo luogo, come accade ad esempio nel Debate[11], gli studenti dovrebbero essere educati a ragionare in termini deliberativi ricercando i migliori argomenti per sostenere il loro punto di vista, abituandosi in questo modo ad ascoltare, a ricercare il compromesso e la mediazione in vista di una possibile ipotetica decisione concreta[12].

Certo ci sono alcuni limiti di cui tenere conto. Trattandosi di un’attività fondata sulla partecipazione, la classe “politica” dovrebbe coinvolgere tutti gli studenti, anche quelli non particolarmente abili con le parole. La difficoltà può essere superata attraverso la programmazione cosiddetta universale che, per mezzo anche dei linguaggi non verbali, può consentire a tutti di intervenire nel dibattito[13]. Infine, i confini della classe politica dovrebbero consistere in un insieme di valori-base cui fare riferimento come una bussola per la discussione, ad esempio quelli incardinati nella promozione e valorizzazione dei diritti umani.

 

Gli scenari pedagogici

Per orientare meglio tra le strategie didattiche possibili Van Almstein ipotizza tre scenari ideal-tipici sui quali riflettere: la classe turbolenta, gli argomenti controversi interni al curriculum e la scelta di utilizzare la controversia come modo di insegnamento/apprendimento.

1. La classe turbolenta

Nel caso in cui gli insegnanti debbano confrontarsi con situazioni di tensioni improvvise o radicate, ma difficilmente riconducibili alla normalità scolastica, dovrebbero innanzitutto chiedersi se la controversia sia trasformabile in opportunità educativa, quale posizione prendere nei confronti degli studenti più attivi, come difendere la tranquillità e la serenità dei meno accesi e addirittura, nei casi peggiori, come garantire la sicurezza fisica di docenti e discenti, tema purtroppo recentemente diventato di stretta attualità[14]. Da un lato occorre dunque essere capaci di fronteggiare casi di studenti che fanno osservazioni astiose o sarcastiche, accendendo reazioni violente, dall’altro si tratta di gestire gruppi classe spaccati da minacciose polarizzazioni di prospettiva[15] . Di fronte alle osservazioni sarcastiche o offensive sembra ovvio intervenire stigmatizzandole, togliendo la parola a chi intendesse replicare allo stesso modo, ma anche chiarendo come si sia sempre disposti ad ulteriori conversazioni sul tema.

In altre parole – osserva Van Almstein – il docente dovrebbe dire agli studenti che certe osservazioni trasgrediscono i valori condivisi e perciò sono inaccettabili, ma, allo stesso tempo, dovrebbe chiarire che il punto sollevato può e deve essere ulteriormente discusso seppure in altro modo e con un altro linguaggio. [16]

Le reazioni, insomma, non dovrebbero essere mai solo repressive o ignorare il problema, dovrebbero proporsi di trasformare il conflitto in senso positivo. Tuttavia esistono alcuni momenti o situazioni in cui è bene evitare la discussione: quando la dinamica emotiva è così accesa da non poter essere controllata, quando non c’è tempo (per esempio alla fine di una lezione), quando gli studenti con ogni evidenza non sono interessati ad approfondire la discussione o quando certi argomenti sono troppo sensibili per questi o quegli studenti.

Ma cosa si dovrebbe fare quando è possibile tentare la trasformazione della discussione in un’attività di apprendimento? In questo caso Van Almstein non fa che dare voce logica a un certo buon senso didattico che chiede di favorire il dialogo e di formulare domande euristiche nell’attività quotidiana di insegnamento[17].

Più difficile appare la gestione dei gruppi fortemente polarizzati. In questo caso la ricerca in psicologia sociale, così come la nostra esperienza quotidiana sui social network, spinge a reagire dividendo gli studenti che la pensano allo stesso modo per farli lavorare con gli altri, mirando a riposizionare la discussione sugli aspetti intermedi o sulle eventuali intersezioni tra le posizioni di cui gli studenti spesso non sono consapevoli. Tutto ciò, purtroppo, non garantisce dal rischio della radicalizzazione estrema che, se da una parte può essere pericolosa per tutti, una volta espressa apertamente, potrebbe essere affrontata cercando di andare a fondo delle motivazioni favorevoli alla presa di posizione assoluta.

2. Gli argomenti controversi interni al curriculum

In tutti gli ordinamenti e per tutte le materie possono esserci argomenti previsti dai curriculum che suscitano discussioni accese. Possono essere di due tipi: questioni aperte o temi considerati ormai chiari e consolidati, ma che tuttavia, per varie ragioni, suscitano ugualmente reazioni emotive o morali. Non è facile stabilire quali siano le questioni aperte e quali quelle chiuse; in alcuni casi accade che questioni una volta ritenute aperte oggi siano chiuse (il razzismo, ad esempio, non ha oggi alcuna giustificazione razionale o scientifica, in altri accade il contrario). Van Almstein fa l’esempio della teoria evolutiva in biologia, molto discussa in certi ambienti nonostante sia a tutti gli effetti una teoria corroborata da evidenze scientifiche di ogni tipo. Ancora, può accadere che gli insegnanti di storia si trovino di fronte a studenti che propongono luoghi comuni come quelli che vorrebbero sottrarre il Fascismo italiano dalla presa d’atto delle sue responsabilità, negandone gli aspetti oggi più reprensibili a favore dei suoi cosiddetti successi (fra gli esempi più noti vi sono quelli introdotti dalla frase “Mussolini ha fatto anche cose buone”)[18].

Di fronte a questo tipo di approcci pregiudiziali Van Almstein suggerisce tre strategie:

  • non concedere nulla in termini scientifici (la teoria evolutiva per quanto ne sappiamo è vera e il Fascismo è stato un regime totalitario con tratti criminali quanto qualunque altro), ma permettere agli studenti di condividere apertamente i loro pensieri sfidandoli a proporre prove ed evidenze per sostenerli davanti a tutti;
  • nel caso delle questioni scientifiche (ma secondo noi anche per quelle storiche) ricondurre lo studente alle questioni epistemologiche di base: com’è possibile dire che una teoria scientifica è vera? Come possiamo fare affermazioni veritiere e corroborate in storia?
  • Mettere le questioni in prospettiva storica (di storia della scienza nel caso dell’evoluzione, di storia della storiografia nel caso della storia), spiegando come e perché ci siano interessi favorevoli a una certa interpretazione della storia e come questi interessi possono influenzare la lettura dei dati a nostra disposizione o come cambino e perché le narrazioni storiche nel corso del tempo.

3. La controversia come modo di insegnamento/apprendimento

Come abbiamo potuto appurare durante questo periodo di pandemia le scuole sono uno dei luoghi principali della socializzazione per le giovani generazioni. Non a caso uno dei principali effetti della didattica a distanza è stato proprio quello di far sentire la mancanza di un luogo fondamentale di aggregazione dove gli studenti «possono avere a che fare con le differenze di opinione e le controversie sociali in modo costruttivo e trasformativo»[19], formando così la parte più pubblica della loro identità e auto-consapevolezza.

Il concetto chiave in questo caso è un approccio multi-prospettico alla controversia. Dal momento che le questioni controverse comportano un vasto raggio di prospettive e punti di vista esse offrono occasioni pedagogiche per insegnare agli studenti come discutere le loro idee mantenendo la mente aperta sulle idee altrui, come ascoltare e familiarizzarsi con i punti di vista altrui, come come negoziare democraticamente le contese politiche […] così, usando la controversia come una forma di pedagogia potremmo aiutare a prevenire le forme di polarizzazione più pericolose. [20]

Tutto ciò potrebbe essere oggi particolarmente difficile laddove il clima politico sia particolarmente polarizzato, come ormai capita spesso in molti luoghi nel mondo. In questi casi, secondo Van Almstein, è bene comportarsi con cautela, partendo dalle controversie meno accese, misurando il linguaggio, ma soprattutto cercando di enfatizzare in che modo avviene la comunicazione tra insegnanti di diverso parere che può essere condotta in presenza degli studenti e condotta in modo calmo e non aggressivo, di modo da costituire un utile esempio di riferimento comportamentale. Deve essere chiara, però, la necessità di informare i colleghi che si intendono coinvolgere nell’affrontare argomenti sensibili o controversi (magari integrandoli in un progetto di istituto sull’educazione alla convivenza civile). In questo modo un approccio globale fondato sull’accordo di tutte le componenti – genitori compresi – potrebbe consentire di agire anche laddove il clima esterno alla scuola non si presenti favorevole all’iniziativa.

In ogni caso insegnare questioni controverse si presta al raggiungimento di diversi obiettivi didattico-educativi come l’educazione all’ascolto, l’elaborazione del pensiero critico e divergente, l’argomentazione ben fondata, ecc. Ognuno di questi obiettivi dovrebbe essere consapevolmente perseguito senza preoccuparsi troppo delle metodologie utilizzate. O meglio ogni obiettivo richiede l’utilizzo flessibile di varie tecniche didattiche che dipendono dal contesto, dalle competenze del docente e dalle preferenze degli studenti. Dialogo, discussione guidata o dibattito sono tutti strumenti validi a patto che il gruppo di studenti si trasformi, almeno parzialmente, in una comunità di ricerca. Ciò può rendere possibile anche l’utilizzo della discussione sulle controversie per progetti di lunga durata, che possono protrarsi diverse settimane, allargandosi anche a chi prediliga attività meno verbali come le espressioni artistico figurative.

Allo stesso tempo – conclude Van Almstein – è diventato evidente che i metodi presentati hanno molto in comune. Ciò che colpisce, per esempio, è l’enfasi generale sulle tecniche per porre domande e condurre il dialogo, un approccio condiviso alla trasformazione dei conflitti, e sul clima di classe. In ultima analisi tutti gli approcci che abbiamo discusso hanno qualcosa in comune, la percezione della classe come laboratorio democratico – un luogo dove agli studenti viene data l’opportunità di esercitare e sviluppare democraticamente le loro voci. [21]

 

 Il progetto Learning to Disagree

Con il progetto Learning to disagree Euroclio ha cercato di affrontare queste tematiche dal punto di vista dell’insegnamento specifico della storia, in modo particolare della storia contemporanea o persino, come recita il titolo di un altro progetto, della storia che non è ancora storia[22]. Sarebbe troppo complicato e ingiustamente semplificatorio addentrarci in una disamina specifica dei temi e delle proposte didattiche elaborate (anche se ci auguriamo che, vista la disponibilità di alcuni materiali anche in lingua italiana, il progetto possa suscitare l’interesse di chi legge).

La guida per gli insegnanti si apre con parole che ci sembrano chiarire lo spirito dell’iniziativa e il suo valore per l’insegnamento dell’educazione civica:

La lezione di storia dovrebbe essere il momento per turbare e stimolare. Quando studiamo la storia, abbiamo a che fare con il tempo. Incontriamo gli altri, incontriamo la diversità. Incontriamo ciò che è estraneo (e scopriamo che è sorprendentemente familiare) e incontriamo ciò che è familiare (e scopriamo come ci è estraneo).[23]

Se questo è lo spirito che ricollega la didattica della storia alla didattica controversiale, il progetto ne ha sviluppato il tema sul suo terreno specifico. Valori e principi, definizioni e competenze, finalità e obiettivi generali sono largamente sovrapponibili a quelli proposti da Van Almstein (anche se la guida per gli insegnanti mostra come non sempre i linguaggi dei vari Paesi, carichi di concetti espressi dalle strutture lessicali o grammaticali, permettano un perfetto interscambio didattico delle esperienze).

Il progetto ha reso possibile un percorso di riflessione per una valutazione sensata di queste attività didattiche ed elencato diverse strategie di insegnamento, note e meno note, con tratti anche ludici, di particolare interesse per ogni ordine e grado di scuola.

I temi affrontati, sempre osservati da un punto di vista problematico e potenzialmente controverso, sono stati:

  • le migrazioni,
  • la sopravvivenza in condizioni estreme o difficili,
  • la questione dei confini e dell’autodeterminazione,
  • le eredità culturali contestate.

In conclusione non ci resta che citare e tradurre la parte finale delle raccomandazioni che B. Cristophe e M. Tribukait del Georg Eckert Institute hanno prodotto per chiudere il progetto:

Insegnare storia e educazione civica è diventato sempre più complicato da quando il populismo e la crescente polarizzazione ha colpito le società europee. Da una parte questa tendenza rafforza la necessità di insegnare le competenze del pensiero critico che permettono agli studenti di distinguere nel dibattito pubblico i fatti dalle affermazioni false. Dall’altra la nuova sfida presenta un’opportunità di riflessione e di ulteriore sviluppo delle normali pratiche educative in storia e cittadinanza. Noi crediamo che lo spazio e il tempo per la riflessione potrebbe essere d’aiuto su due livelli: insegnanti, estensori di curriculum, autori di libri di testo e tutti gli altri responsabili dell’educazione civica e storica sono incoraggiati a cimentarsi con le questioni controverse.

Dati i rischi che accompagnano le controversie in classe, gli educatori devono preparare con cura le loro lezioni: ciò include la presentazione agli studenti di una vasta gamma di punti di vista, la selezione  dei materiali e delle narrazioni con i criteri più trasparenti possibili e l’incoraggiamento da parte dei docenti ad esaminare criticamente sia le evidenze che il significato degli argomenti da parte degli studenti. In secondo luogo, durante questo genere di lezioni potrebbe anche sorgere la necessità di riflettere su come si stanno sviluppando nella realtà le questioni controverse. Nei casi di dissenso, semplificazione o diverbio insegnanti e studenti potrebbero avere tutto da guadagnare dall’interrompere le usuali pratiche di insegnamento e prendersi del tempo per riflettere in una interazione meta-discorsiva. Durante queste pause cioè studenti e insegnanti dovrebbero essere incoraggiati a riflettere su come si sono formate le loro posizioni e le loro affermazioni, su quali valori e interessi da una parte, e, dall’altra, su quali siano stati i modi attraverso i quali sono caratterizzati i contesti, le possibili scelte e gli attori in gioco. Queste interruzioni riflessive potrebbero favorire lo sviluppo di una maggiore empatia verso le altre prospettive. Rendere esplicito ciò che spesso resta implicito – e perciò più potente – dà forma a come percepiamo il mondo, può aiutare i partecipanti alle discussioni di classe, ai dibattiti e ai dialoghi educativi a comprendere e quindi tollerare l’altro superando così la polarizzazione».[24]

 

Bibliografia

Note:

[1] Si veda al sito https://www.euroclio.eu/project/learning-to-disagree/, url consultata il 6 settembre 2021.

[2] J.P. Lederach, The little book of Conflict tranformation, Good Books, New York 2014, chapter 3, tutte le traduzioni sono a cura di chi scrive.

[3] https://www.euroclio.eu/resource/teachers-guide-learning-to-disagree/, url consultata il 6 settembre 2021.

[4] M. Demantowsky, Public history and School, International Perspectives, Oldenbourg De Gruyter, 2019, p. V.

[5] I contenuti della sua relazione sono riassunti da questo bel libretto scaricabile on line https://vlaamsvredesinstituut.eu/en/report/controversy-polarisation-in-the-classroom-suggestions-for-pedagogical-practice/, url consultata il 6 settembre 2021.

[6] M. Van Almstein, Controversy and polarisation in the classroom Suggestions for pedagogical practice, Flemish Peace Institute, Brussels 2019, pag. 3.

[7] Van Almstein, 2019, pag. 3.

[8] Van Almstein, 2019, pag. 4.

[9] Sul concetto di “classe politica”, e su pratiche come la discussione guidata, non ignota nelle nostre classi, si può leggere D. E. Hess e P. McAvoy, The political classroom Evidence and Ethics in Democratica education, Routledge, New York and London 2015

[10] Van Almstein,2019, pag. 5.

[11] Cfr. a questo proposito i seguenti articoli:  http://www.historialudens.it/didattica-della-storia/423-lezione-10b-debate-o-storia-controversiale-esperienze-italiane.htmlhttp://www.historialudens.it/didattica-della-storia/425-lezione-10c-debate-o-storia-controversiale-la-grande-esperienza-anglosassone.html, url consultata il 6 settembre 2021.

[12] Su cosa sia, i pro e i contro, la democrazia deliberativa si può leggere G. Parietti, La democrazia deliberativa – Una ricostruzione critica, La Talpa-manifestolibri, Roma 2013.

[13] Sulla programmazione universale, Universal design for learning, si può leggere G. Savia (a cura di), Universal design for learning, Progettazione universale per l’apprendimento e la didattica, Erickson, 2016.

[14] Ci riferiamo naturalmente al caso del collega francese Samuel Paty – tra i tanti articoli sul caso segnaliamo: https://www.internazionale.it/opinione/catherine-cornet/2020/10/23/francia-omicidio-paty, url consultata il 6 settembre 2021.

[15] Sul fatto che i gruppi possano aggravare le polarizzazioni ostili, Van Almstein suggerisce la lettura di R. Sunstein Cass, Going to extremes, How like minds unite and divide, OUP, Oxford-New York 2009. Per quello che concerne la gestione del gruppo classe è molto interessante soprattutto il primo capitolo.

[16] Van Almstein, 2019, pag. 8.

[17] Per dare spessore al senso del dialogo si può sempre ricorrere a un testo fondamentale per la formazione di scrive è G. Calogero, Filosofia del dialogo, Edizioni di Comunità, 1969.

[18] Per una presentazione divulgativa del tema, adatta anche per gli studenti degli ultimi anni della secondaria di secondo grado si può leggere F. Filippi, Mussolini ha fatto anche cose buone, Bollati Boringhieri, Torino, 2019.

[19] Van Almstein, 2019, pag. 12.

[20] Van Almstein, 2019, pag. 12.

[21] Van Almstein, 2019, pag. 16

[22] Sul progetto, particolarmente incentrato sulla storia recente degli stati dell’ex Jugoslavia si può consultare la pagina web: https://www.euroclio.eu/project/learning-history-which-is-not-yet-history-ii/, url consultata il 6 settembre 2021.

[23] Christine Counsell citata in: Learning to Disagree, Manuale per linsegnante, pag. 5.

[24] B. Cristophe e M. Tribukait, Learning to disagree Policy Recommendations, Euroclio, The Hague, s.d. ma 2020, pag. 5.

Dati articolo

Autore:
Titolo: Questioni controverse da discutere in classe. Tecniche didattiche nell’insegnamento della storia e dell’educazione civica
DOI: 10.52056/9791254691090/11
Parole chiave: ,
Numero della rivista: n.17, giugno 2022
ISSN: ISSN 2283-6837

Come citarlo:
, Questioni controverse da discutere in classe. Tecniche didattiche nell’insegnamento della storia e dell’educazione civica, in Novecento.org, n. 17, giugno 2022. DOI: 10.52056/9791254691090/11

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