Storia controfattuale e didattica della storia
Before the storm è uno dei dipinti più caratteristici dello stile e dell’estetica del mio mondo 1920+.
È anche la copertina del gioco da tavolo Scythe.
Crediti: Jakub Różalski – Own work ArtStation – 1920 – before the storm, Jakub Rozalski, CC BY-SA 4.0, Link
Abstract
Nella prima parte di questo saggio, l’autore da brevemente conto del dibattito sulla storia controfattuale e sulla sua ricezione all’interno degli ambienti storiografici. Nella seconda parte vengono esaminate alcune delle opere più interessanti che hanno riflettuto sul tema in maniera positiva e propositiva. Nella terza e ultima parte si caldeggia un utilizzo di questo approccio in classe, fornendo anche due suggerimenti pratici su come farlo.
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In the first part of this essay, the author briefly gives an account of the debate on counterfactual history and its reception within historiographic circles. The second part examines some of the most interesting works that have reflected on the topic in a positive and purposeful manner. The third and final part advocates the use of this approach in the classroom and also provides two practical suggestions on how to do so.
«La vera immagine del passato guizza via. È solo come immagine balenante (…) che il passato è da trattenere»
(Walter Benjamin, Sul concetto di storia)
«Guardate le cose alla rovescia. Ogni argomento ha una porta davanti e una dietro. Voi ci dovete entrare da dietro. Anzi, di fianco».
(Il prof. Irving in Gli studenti di storia di Alan Bennett)
«Dobbiamo ancora decidere che cosa vi stia a fare di preciso il naso di Cleopatra nelle pagine della storia»
(Edward H. Carr, Sei lezioni sulla storia)
Premessa, featuring Tito Livio
“Storia fatta con i se” (What If?): è l’espressione più comune con cui viene indicata, in Italia, la Storia controfattuale.[1]
Occorre dire subito che si tratta di un approccio alla Storia che ha illustri precedenti nel passato, anche remoto. Già Tito Livio (Patavium, 59 a.C.-17 d.C), nella sua Storia di Roma, non resiste alla tentazione di sospendere per qualche pagina il racconto della Seconda guerra punica per avviare una digressione che parte dalla domanda: «Quale sorte avrebbe avuto la potenza romana se fosse entrata in conflitto con Alessandro [il Grande]»?. Domanda cui subito risponde così: se il grande condottiero macedone avesse intrapreso anche la conquista dell’Europa, avrebbe certamente subito una sconfitta, dal momento che «come i Romani non sono stati sopraffatti da altri re e da altri popoli, nemmeno lo sarebbero stati da Alessandro».[2]
La parte più interessante della digressione di Tito Livio è quella in cui egli mette a confronto i due eserciti, romano e macedone, alla luce di diversi aspetti: la consistenza numerica, la qualità dei soldati, l’armamento, l’entità delle riserve, le opere di fortificazione, l’apporto di forze esterne italiche o “straniere”. Le pagine liviane verranno richiamate, quindici secoli dopo, da Niccolò Machiavelli nei Discorsi.[3]
Possiamo notare come, in questo passo, Tito Livio si serva già degli ingredienti fondamentali del ragionamento controfattuale: la domanda di partenza stimolante, che prospetta uno sviluppo storico possibile, diverso da quanto è (o non è) accaduto; considerazioni razionali, basate sull’analisi dei fatti; la costruzione di scenari alternativi credibili.
Il controfattuale ha dignità storiografica?
La questione è controversa. Tra gli storici se ne discute apertamente almeno dagli anni Sessanta del secolo scorso.[4]
Per comprendere la natura del dibattito, è utile proporre una definizione più completa di “controfattuale storico”: un particolare approccio al passato in cui si ipotizza che determinati fatti accaduti (eventi, azioni, ma anche processi) non fossero, al loro tempo, inevitabili (il controfattuale è antideterministico per definizione), ma avrebbero potuto svolgersi in modo diverso.[5] Il punto è: tale modo di ripensare il passato è solo un efficace espediente per la fiction e i videogiochi? O, piuttosto, è una prospettiva capace di portare valore aggiunto all’interpretazione storiografica?
Edward H. Carr (1892-1982), nelle sue Lezioni sulla storia, scrive nel 1961: «È sempre possibile baloccarsi con la storia fatta con i se (…). Ma queste ipotesi non hanno nulla a che fare con la storia».[6] Per quale ragione? Perché, spiega Carr, «ogni alternativa è stata definitivamente bloccata dal fatto compiuto».[7]
Eppure, nemmeno Carr sa resistere alla tentazione del What if?.
In un’intervista del 1978 infatti,[8] interpellato sul quesito, ricorrente tra i cultori di storia (e tipicamente controfattuale!): se Lenin non fosse morto prematuramente, l’evoluzione del regime sovietico avrebbe avuto un corso diverso?, risponde che Lenin avrebbe dovuto affrontare gli stessi problemi.[9] Però
non solo [Lenin] era stato allevato in una tradizione profondamente umana, ma godeva di enorme prestigio, autorità morale e capacità di persuasione; e simili qualità, assenti negli altri leder, lo avrebbero spinto a minimizzare e mitigare gli elementi di coercizione. […] Sotto Lenin la transizione non sarebbe stata del tutto liscia, ma non vi sarebbe stato niente di paragonabile a ciò che effettivamente si è verificato.[10]
Che dire? Il passo riportato di Carr ci sembra essere la prova che l’esercizio della controfattualità, lungi dallo sminuire o alterare la portata dei fatti, ne arricchisce invece l’interpretazione.
L’ondata controfattuale nell’epoca post-ideologica
Se, nel corso degli anni Settanta, la storia controfattuale ha incontrato una forte resistenza, quando non un vero e proprio rifiuto, da parte degli storici (soprattutto marxisti),[11] essa ha d’altro canto goduto di una crescente popolarità a partire dagli anni Novanta e Duemila, conservandola fino ai giorni nostri.[12]
L’anno di svolta può essere considerato il 1998, quando lo storico Robert Cowley, per celebrare il decimo anniversario di MHQ, The Quarterly Journal of Military History (prestigiosa rivista militare da lui diretta), ha interpellato diversi colleghi su una domanda: quali sono stati i più importanti Ifs della storia? Le risposte sono state poi raccolte da Cowley in un volume di successo,[13] cui ne sono seguiti altri due, sempre a sua cura, all’inizio degli anni 2000. Appena pochi mesi prima, del resto (1997), una pubblicazione analoga aveva fatto da apripista: Virtual History. Alternative and Counterfactual, dello storico Niall Ferguson.[14]
Scorrendo i titoli dei saggi raccolti da Cowley – ma anche in buona misura di quelli editi da Ferguson – non si può fare a meno di pensare che la storia controfattuale sia congeniale soprattutto agli storici militari. La ragione è presto detta: perché quella militare è la storia événementielle per eccellenza, e l’evenemenziale è il luogo teorico in cui è più facile verificare quanto gli “accidenti”, come li chiamava Carr, o le singole decisioni di singole individualità (condottieri, autorità militari o politiche ecc.), possano aver determinato il corso degli eventi.
Eppure, sarebbe un errore pensare che la Storia controfattuale sia possibile soltanto per gli eventi o per le decisioni di uomini “fatali”. Si può fare anche per svolte accadute nell’ambito dell’economia o della tecnologia (le invenzioni). Ad esempio: se prendiamo in considerazione la domanda Why not?, che appare come una variante del What if?, potremmo fare riferimento a un noto saggio di Marc Bloch, Avvento e conquiste del mulino ad acqua,[15] in cui il grande storico francese spiega perché quell’invenzione, di provata origine ellenistica (II-I secolo a.C.), non si sia diffusa in Europa che più tardi, in epoca medievale.
La Storia controfattuale in Italia
Se, e sottolineiamo se, è vero che la storia controfattuale si è ormai ritagliata, nel mondo anglosassone, uno spazio credibile come branca della ricerca storica, che cosa si può dire dell’Italia? Quanto il paradigma controfattuale ha trovato applicazione in ambito storiografico nazionale?
Potremmo cavarcela rispondendo così: in Italia la storia controfattuale non ha mai trovato particolare credito né tra gli storici, né nel dibattito pubblico, in quanto ritenuta un vezzo della storiografia anglosassone.
Eppure non mancano significative eccezioni. A parte il saggio di Gian Enrico Rusconi di cui si dirà fra poco, si potrebbero ricordare alcuni scritti di Franco Cardini, come ad esempio il volume che l’autore, insieme a Sergio Valzania, ha dedicato all’utopia dell’impero cinquecentesco di Carlo V, «ultima ipotesi concreta per una unificazione europea la cui realizzazione avrebbe forse evitato la stagione degli stati nazionali e il disastro delle guerre mondiali».[16] Vale poi la pena ricordare il prezioso libretto curato da Pasquale Chessa, Se Garibaldi avesse perso,[17] che – oltre a contenere una conversazione tra Giuseppe Berta, Emilio Gentile e Giovanni Sabatucci su L’Italia fatta con i se – presenta interventi dello stesso Chessa, di Luciano Cafagna e Franco Cardini, oltre a quello di Mario Isnenghi, che cerca di rispondere alla domanda contenuta nel titolo del volume.[18]
Isnenghi prende sul serio il gioco perché, a suo avviso, «una controfattualità scientificamente compatibile [la sottolineatura è aggiunta, n.d.r.]» ci può aiutare a «illuminare le ragioni che hanno portato a fare gli italiani così come sono stati fatti».[19]
Di recente, anche in ambito accademico la storia controfattuale ha cominciato a ritagliarsi uno spazio. Lo dimostra, ad esempio, Luca Fezzi, docente di storia romana a Padova, che in un recente libro ripercorre un millennio di vicende di Roma antica – una città «eterna ma mai immobile, anzi, sempre in bilico tra scenari alternativi, spesso opposti –[20] soffermandosi su una dozzina di «E se? ». Il suo, infatti, è un libro che nasce anche dalla pratica didattica quotidiana, come ci ricorda lo stesso Fezzi: «Se i miei studenti dell’Università (…) e della Scuola Galileana di Studi superiori, scrive nei consueti ringraziamenti finali, non mi avessero sollecitato, nel corso di un decennio, con domande provocatorie [fatte evidentemente di molti «E se? », immaginiamo], l’idea di scrivere questo libro non sarebbe mai nata ».[21]
Teaching what didn’t happen: suggestioni per un uso didattico
Se la controfattualità incontra ancora, quindi, diverse resistenze in ambito storiografico-accademico, può rappresentare invece uno strumento assai utile per la didattica della storia: «Essa fa parte di un complesso di pratiche innovative, il cui scopo comune è quello di avviare l’allievo al “pensare storicamente”».[22]
A patto, però, che si rispettino due condizioni preliminari.
La prima: la domanda da cui si parte (What if?) dev’essere accompagnata da un adeguato ricorso alle fonti.
La seconda: le alternative prospettate devono essere le stesse che potevano apparire, ai protagonisti del tempo, effettivamente percorribili. Altrimenti si esce dalla storia e si entra nel campo, pur stimolante, della fiction: ucronia, distopia, fantascienza.
In questo primo articolo non è possibile, per ragioni di spazio, avanzare una compiuta proposta di lavoro didattico “controfattuale”, sia esso un laboratorio con le fonti, uno studio di caso o altro. Proveremo però a dare un’idea del modo in cui si potrebbe procedere su questa strada con le classi, proponendo due argomenti assolutamente canonici nella programmazione dell’insegnamento della storia del Novecento nella scuola secondaria di secondo grado.
Prima suggestione: l’Italia e la Prima guerra mondiale.
Formuliamo bene la domanda: se l’Italia, il 24 maggio 1915, non fosse entrata in guerra, la sua storia avrebbe avuto lo stesso corso? Quali conseguenze si sarebbero avute? Per dire: si sarebbe comunque affermato il fascismo? Domande non da poco, ma certo utili per avviare un laboratorio di didattica controfattuale con una classe.
Assai opportuno, in questo caso, sarebbe il ricorso al volume di Gian Enrico Rusconi, L’azzardo del 1915, Il Mulino 2005 (2009). Che è anche, com’è stato notato, un saggio di storia controfattuale…
Dal libro di Rusconi traiamo questa fonte:
Già, se avessimo marciato con la Germania, nell’agosto del 1914, avremmo avuto grandissimi vantaggi. Questo è certo. Avremmo preso il Nizzardo, avremmo preso la Corsica, avremmo preso la Tunisia. Avremmo trasformato il problema adriatico in un problema mediterraneo. Dicono che non avremmo marciato! Avremmo marciato – e come! – io me ne sarei incaricato: e poi alle prime vittorie tutti saremmo stati felici e avremmo dimenticato ogni prevenzione. Dicono che saremmo morti di fame. Può darsi che avremmo patito per un mese: ma dopo un mese la campagna era vinta. Avrebbero bombardato o preso qualche nostra città? Sul Reno ci saremmo fatti ridare tutto.[23]
Queste parole, secondo un testimone autorevole, sarebbero state pronunciate da Luigi Cadorna il 18 gennaio 1918 a Versailles, dove il generale, già comandante supremo dell’esercito, esonerato dopo Caporetto, si trovava in quanto capo della missione militare italiana presso il Comitato militare interalleato.
Il libro di Rusconi, ricco di riferimenti alle fonti, punta a dimostrare che quello del un mancato ingresso in guerra dell’Italia non appare affatto, allo sguardo dello storico, come uno scenario inverosimile; ma, anzi, è
un’ipotesi da prendere in considerazione per capire non solo l’atteggiamento dei militari, ma le incertezze, le oscillazioni, le divisioni dei vertici politici, assai più profonde e significative di quanto non abbiano riconosciuto la memorialista e la storiografia successive.[24]
Questo il punto di partenza, dunque, di un laboratorio – necessariamente collegato alle lezioni curricolari sul dopoguerra e sull’avvento del fascismo – il cui obiettivo finale potrebbe essere quello di chiamare i ragazzi a formulare ipotesi su quale corso avrebbe avuto la storia d‘Italia nel Dopoguerra se non vi fosse stata la grave crisi di sistema generata dal conflitto mondiale.
Seconda suggestione: 22 Giugno 1941, Hitler invade l’Unione Sovietica.
Su questo tema, si potrebbe partire da alcune pagine del grande storico Ian Kershaw, scritte in modalità (inaspettatamente?) controfattuale:
(…) se Hitler non si fosse rifiutato di contemplare una diversa chance, e se le Forze Armate avessero prodotto un’alternativa convincente, è possibile ipotizzare che vi fosse, sul piano teorico, un’opzione che avrebbe consentito alla Germania di vincere la guerra, o per lo meno di evitare il suo disastroso esito? Qui, naturalmente, si esce dal territorio storico – riguardante ciò che avvenne e le effettive considerazioni strategiche fatte al tempo – per entrare nel regno della speculazione “non-fattuale”. Dato il numero delle variabili possibili da prendere in considerazione, vorrebbe dire impegnarsi in un astratto gioco accademico. Ma, attenendoci per un momento a un esperimento di pensiero [sottolineatura aggiunta, n.d.r.], si può immaginare che un pieno impegno della Germania nel Mediterraneo e in Africa settentrionale – richiedente peraltro una politica più dura nei confronti degli italiani, oltre che degli spagnoli, e una totale accettazione dei francesi a fare la parte di alleati combattenti -, invece che prepararsi a una guerra a oriente, avrebbe potuto avere successo per lo meno nel breve e nel medio periodo, e avrebbe conferito alla guerra in generale un diverso aspetto e forse un altro possibile esito, evitando la calamità ferale in cui sarebbe precipitata la Germania.[25]
Sono pagine di grande interesse, anche metodologico, che possono introdurre gli studenti a una migliore comprensione delle fasi e degli sviluppi della Seconda guerra mondiale. Ma anche avviarli, per esempio, a un debate in cui, indossati i panni dello storico, si confrontino su quanto ci sia di realmente inevitabile nella Storia, e su quanto le decisioni di alcuni uomini – Hitler, in questo caso– possano influenzare il suo corso.
Insomma, l’insegnamento di alcuni momenti della Storia in chiave controfattuale può davvero rappresentare un’arma vincente per incuriosire e coinvolgere i ragazzi; per indurli a ragionare in modo meno meccanico, deterministico sulle dinamiche dei fatti e spingerli, così, a superare l’idea della Storia come arida concatenazione di date e di fatti; per stimolare, infine, la loro immaginazione. Senza contare che il paradigma controfattuale, cui fanno così spesso ricorso gli autori di videogiochi, serie TV e romanzi, può costituire un ponte gettato tra la scuola e alcuni dei media più vicini alle giovani generazioni.
Un’ultima considerazione. Se il docente di Storia è destinato ad essere – e forse, di fatto, già è, anche se non lo sa o non lo vuole – un public historian, l’uso da parte sua del «controfattuale scientifico» può rivelarsi un formidabile antidoto contro i veleni inoculati, nel senso comune, da verità storiche “alternative”, o peggio, da pericolosi negazionismi.
BIBLIOGRAFIA
- E.H. Carr, Sei lezioni sulla storia. IV. La causalità storica, Seconda edizione a cura di R. W. Davies, Einaudi, Torino 2000.
- P. Chessa, Se Garibaldi avesse perso. Storia controfattuale dell’Unità d’Italia, I libri di Reset, Marsilio, Venezia 2011.
- R. Cowley, What If? The World’s Most Foremost Military Historians Imagine, Putnam, New York 1999 (edizione italiana: R. Cowley, La Storia fatta con i Se. Se Napoleone avesse vinto a Waterloo e altri eventi che avrebbero potuto cambiare il mondo, BUR, Milano 2001).
- R.J. Evans, Altered Pasts: Counterfactuals in History, Little, Brown, London 2016
- N. Ferguson, Virtual History. Alternative and Counterfactual, Basic Books, New York 1997 (ristampa Penguin Books, Londra 2011).
- L. Fezzi, Roma in bilico. Svolte e scenari alternativi di una storia millenaria, Mondadori, Milano 2022
- I. Kershaw, Scelte fatali. Le decisioni che hanno cambiato il mondo. 1940-41, Bompiani, Milano 2012.
Note:
[1] «Storia controfattuale» traduce l’espressione inglese «Counterfactual History». Sempre in ambito anglosassone, ricorrono altre denominazioni vicine o equivalenti, come «Speculative History», «Alternate History».
[2] T. Livio, Storia di Roma dalla fondazione, Libro IX, Grandi Tascabili Economici Newton, Milano 1997 p. 245.
[3] L’autore del Principe sintetizza alla sua maniera il What If? liviano: «Discorrendo se Alessandro Magno fussi venuto in Italia, s’egli avesse vinto i Romani, mostra essere tre cose necessarie nella guerra: assai soldati e buoni, capitani prudenti e buona fortuna » (Discorsi sopra la prima deca di Tito Livio, II, X). Cfr. N. Machiavelli, Il Principe e le opere politiche, Garzanti, Milano 1976 p. 273.
[4] In questa sede, non è possibile ripercorrere le tappe dell’evoluzione del pensiero storico controfattuale, i cui veri (consapevoli!) inizi sono da collocarsi nel XIX secolo. Per un approfondimento di questo tema, rinviamo a R.J. Evans, Altered Pasts: Counterfactuals in History, Little, Brown, London 2016, in particolare le pp. 5-47. Nel suo libro Evans evidenzia puntualmente i limiti dei controfattualismi in Storia, illustrandone però nel contempo, con competenza e equilibrio, le potenzialità e le ragioni d’interesse.
[5] Evans, nel volume di cui sopra, definisce «i controfattuali» in modo incisivo: «Alternative version of the past in which one alteration in the timeline leads to a different outcome from the one we know actually occurred». Evans, 2016, p. 4.
[6] Cfr. E.H. Carr, Sei lezioni sulla storia. IV. La causalità storica, Seconda edizione a cura di R. W. Davies, Einaudi, Torino 2000 p. 145. Nella lezione, Carr afferma che «studiare la storia vuol dire studiarne le cause… Lo storico si pone continuamente la domanda ‘Perché?’ E non sa placarsi finché spera di giungere a una risposta».
[7] Carr, 2000, p. 146. Carr dedica poi alcune pagine alla questione del naso di Cleopatra, già posta a suo tempo con ironia da Pascal quando (nei Pensieri) si chiedeva cosa sarebbe potuto accadere se Cleopatra avesse avuto un naso più piccolo, cioè non fosse stata così bella: l’Impero Romano sarebbe mai stato creato? È il problema, enorme, del ruolo del Caso, degli accidenti, nella storia, che Carr si guarda bene dal sottovalutare.
[8] L’intervista, comparsa sulla New Left Review nel 1978 con il titolo La sinistra oggi, è stata tradotta e ripubblicata qualche anno fa: cfr. M. Krul, Edward Hallett Carr, storia e rivoluzione, in “Traduzioni marxiste”, 16 gennaio 2017, https://traduzionimarxiste.wordpress.com/2017/01/16/edward-hallett-carr-storia-e-rivoluzione/. Ricordiamo che Carr è noto soprattutto come autore di una fondamentale storia della rivoluzione bolscevica e dei suoi sviluppi in 3 volumi, pubblicata da Einaudi negli anni ’60.
[9] Lenin, secondo Carr «era perfettamente consapevole che un’agricoltura meccanizzata su larga scala era la prima condizione di qualsiasi progresso economico. Non credo avrebbe trovato soddisfacente “l’industrializzazione a passo di lumaca” prefigurata da Bucharin. E non credo avrebbe fatto troppe concessioni al mercato (si tenga a mente la sua insistenza sul mantenimento del monopolio del commercio con l’estero)», in Krul, 2017.
[10] Krul, 2017.
[11] Ne è prova lo sprezzante giudizio – citatissimo – che della Storia controfattuale dava nel 1978 E. P. Thompson: unhistorical shit («merda antistorica»). Cfr E. P. Thompson, The poverty of theory and other essays, Merlin Press, London 1978, pp. 107-108. In realtà, la colorita espressione, avverte lo stesso Thompson, traduce il tedesco Geschichtenscheissenschloph, categoria che ricorre spesso nel carteggio tra Marx e Engels.
[12] Si vedano le considerazioni di Evans sul perché la storia controfattuale continui tuttora a esercitare grande fascino sul pubblico e a influenzare il dibattito nell’arena mediatica (cfr. Altered Pasts, cit., p. 40 e ss.). Considerazioni che lo portano a affermare che «there is a new potential here for a more serious development of counterfactual history». A prova dell’attuale stato di salute della storia controfattuale, almeno in ambito statunitense, segnaliamo il blog di successo di Gavriel D. Rosenfeld: https://thecounterfactualhistoryreview.blogspot.com/ .
[13] R. Cowley, What If? The World’s Most Foremost Military Historians Imagine, Putnam, New York 1999. In Italia il volume esce in traduzione per Rizzoli nel 2001. Tra i saggi presentati: Thomas Fleming, Improbabile vittoria. Tredici modi con cui gli americani [tra il 1775 e il 1783, n.d.r.] avrebbero potuto uscire perdenti dalla Rivoluzione; Robert Cowley, Gli «e se…» del 1914. La guerra mondiale che non avrebbe mai dovuto scoppiare; John Keegan, Come Hitler avrebbe potuto vincere la guerra. La puntata verso il Medio Oriente, 1941; Stephen E. Ambrose, L’insuccesso del giorno più lungo. Alternative atomiche in Europa [ovvero: che cosa sarebbe successo se lo sbarco alleato in Normandia, il 6 giugno 1944, fosse stato respinto?].
[14] N. Ferguson, Virtual History. Alternative and Counterfactual, Basic Books, New York 1997 (poi ristampato nel 2011 per Penguin Books).
[15] Il saggio, uscito sulle Annales nel 1935, è rintracciabile in M. Bloch, Lavoro e tecnica nel Medioevo, Laterza, Bari 1969 (prima edizione 1959), pp. 73-110.
[16] F. Cardini, S. Valzania, Le radici perdute dell’Europa. Da Carlo V ai conflitti mondiali. Postfazione di Luciano Canfora, Mondadori, Milano 2006. La citazione viene dal risvolto di copertina.
[17] P. Chessa (a cura di), Se Garibaldi avesse perso. Storia controfattuale dell’Unità d’Italia,I libri di Reset, Marsilio, Venezia 2011.
[18] La domanda iniziale, in realtà, si trasforma in una ancor più radicale: «Che cosa sarebbe successo se Garibaldi non fosse esistito?» E in una seconda, forse più stimolante, perché innestata direttamente su un fatto preciso: «Che cosa sarebbe successo se Garibaldi fosse morto sull’Aspromonte?». Per Isnenghi, il ferimento di Garibaldi, che puntava su Roma, nello scontro in Calabria tra volontari in camicia rossa e soldati dell’esercito italiano (29 agosto 1862) – episodio circoscritto, ma comunque significativo di guerra civile – rappresenta «la rivelazione della quintessenza de Risorgimento, il disvelamento di come sono davvero andate le cose».
[19] Isnenghi precisa: «La storia dei libri, diciamo la vulgata consolidata in funzione di una nuova religione della patria, si è imperniata sulla convenienza di un racconto aggiustato che non vede nel Risorgimento il conflitto interno, ma lo ricostruisce come semplice guerra di liberazione dallo straniero. Fu, invece, uno scontro di italiani fra idee diverse di Italia, unita e non unita, fra chi voleva conservare gli Stati preunitari, conservare o non conservare le monarchie, e chi voleva invece farne una repubblica» (Ivi, pp. 82-83).
[20] L. Fezzi, Roma in bilico. Svolte e scenari alternativi di una storia millenaria, Mondadori, Milano 2022, p. 6.
[21] Fezzi, 2022, p. 318.
[22] Cfr. A. Brusa, E se Alessandro avesse combattuto contro i romani?, in “Historia Ludens”,
[23] G.E. Rusconi, L’azzardo del 1915. Come l’Italia decide la sua guerra, Il Mulino, Bologna 2005 (nuova ed. 2009) p. 7.
[24] Rusconi, 2005, p. 8.
[25] I. Kershaw, Scelte fatali. Le decisioni che hanno cambiato il mondo. 1940-41, Bompiani, Milano 2012 p. 114.