Storia della (propria) scuola tra didattica, public history e citizen history
Foto tratta dall’archivio della scuola Fortuzzi, risalente agli anni Sessanta.
Abstract
Il testo riferisce dell’esperienza di costruzione ex novo dell’archivio scolastico (virtuale) di una scuola elementare bolognese, la scuola Fortuzzi. Il racconto diviene l’occasione per riflettere sui percorsi che si possono seguire in questo tipo di ricerche, sulle tipologie di documentazione che possono affiorare e sulle diverse forme di coinvolgimento degli studenti e dei “testimoni”, tra didattica e storia pubblica. Al termine un “breviario” suggerisce alcune piste per colleghe e colleghi volenterosi.
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The article reports on the experience of building ex novo the (virtual) school archive of a primary school in Bologna, the Fortuzzi school. The story becomes an opportunity to reflect on the paths that can be followed in this type of research, on the types of documentation that can surface and on the different forms of involvement of students and ‘witnesses’, between didactics and public history. At the end a ‘breviary’ suggests some paths for willing colleagues.
Scrivi 900 volte: «Non devo…»
Insomma, io ero un po’ disordinato, sempre; è entrata la preside, la direttrice della scuola, è entrata e tutti in piedi, sull’attenti. Io alzandomi in piedi, coi talloni, ho urtato la sedia che è caduta all’indietro. [Carla ride] Uscita la preside, o forse la direttrice, la maestra ha detto “vieni qua un attimo” e mi ha detto “scrivi 250 volte ‘non devo far cadere la seggiola’ ed era una cosa lunghissima, tre quaderni, forse… Piangevo disperatamente alle tre e mezza del pomeriggio, prima dell’uscita delle quattro, per farmi ridurre il numero… [risate dei bambini] perché lei partiva da mille: “scrivi 900 volte NON DEVO FARE QUESTO”, poi io contrattavo, tiravamo fino a arrivare fino a 2, 3, 400 volte.
Questo ricordo è di Alberto Manzoni, ex scolaro della maestra Martelli alla scuola elementare Fortuzzi di Bologna tra il 1964 e il 1968. È stato registrato con un’audiocassetta durante l’anno scolastico 1999-2000 direttamente in classe (vedi le risate della maestra Carla e poi dei bambini) e poi sbobinato dalla quinta che faceva un lavoro di storia del Novecento, provando a esplorare il passato della scuola da diversi punti di vista. Per una felice congiuntura fu possibile intervistare quell’anno anche la maestra Martelli e un altro allievo di quella classe, mettendo in azione una specie di macchina del tempo che permise ai bambini (e un po’ anche a noi, lettori di oggi) di immaginarci seduti ai banchi di quella classe del passato.[1]
Già, perché quelle tracce di passato oggi non esisterebbero se non ci fosse stata da una parte la curiosità di chi organizzò le interviste e dall’altra la cura di chi le ha conservate in una raccolta – chiamiamola “archivio” – che rimanesse a disposizione. Quelle tracce di passato possono tornare utili agli storici che volessero ricostruire la vita quotidiana a scuola negli anni Sessanta del secolo scorso o occuparsi dell’argomento sempre delicato delle punizioni; allo stesso tempo però possono essere utili anche a una classe di oggi che volesse semplicemente curiosare nella quotidianità scolastica antropologicamente diversa di quell’epoca che però si svolgeva tra le stesse pareti in cui si svolge ora.
Ma non è solo questo. I ricordi di Alberto possono sollecitare altri ricordi in altri allievi e allieve, contribuire all’emergere di quaderni, pagelle, fotografie ancora sconosciuti, essere l’appiglio per far riaffiorare dall’oblio frammenti di passato altrimenti destinati a dissolversi nel silenzio.
Gli archivi scolastici
Nei numeri precedenti di «Novecento.org» si è aperta un’interessante riflessione sugli archivi scolastici e sugli usi didattici che se ne possono fare.[2] Una rivista che nasce per occuparsi di didattica della storia non può eludere la riflessione sulla dimensione storica dell’istituzione cui si rivolge e, a maggior ragione, deve dedicare a questa dimensione storica un’attenzione didattica.
D’altronde una delle finalità del curricolo di storia nei diversi gradi scolastici consiste proprio nell’avviare allievi e allieve (ma allargherei l’indicazione anche anche a insegnanti e familiari) ad assumere uno sguardo da storici sulla realtà che ci circonda, invitando a fare emergere il passato dal presente, a vedere nel presente il frutto dell’azione degli esseri umani nel tempo.
Riflettere e invitare a riflettere sulla dimensione collettiva e storica della scuola in cui si insegna e si impara significa divenire consapevoli – come studenti e docenti – di essere storia in fieri, di essere attori di un contesto che è ricco di vicende passate nascoste, silenti, ma potenzialmente a disposizione di chi voglia lavorare per ricostruirle, riportarne alla luce i tratti, farle uscire dalla bolla di presentismo in cui le viviamo quotidianamente. Una dimensione che travalica l’ora di storia occupando tutto il campo delle esperienze che si sono accumulate – momento per momento – nella vita passata dell’istituzione e delle persone che la animano e che è a disposizione di chiunque decida di approcciarvisi.
Ma cos’è una scuola?
La scuola dal punto di vista storico è un oggetto di studio molto complesso. Da una parte è un’istituzione finalizzata all’istruzione delle giovani generazioni e alla loro socializzazione; assume forme diverse in base all’età degli studenti, alle diverse linee pedagogiche e politiche (esplicite e implicite) che la connotano e – in ultima istanza – alle diverse visioni della società. Ma allo stesso tempo è un sistema complesso, attraversato e vissuto quotidianamente da giovani in età di apprendimento, insegnanti, personale impiegatizio addetto agli aspetti burocratici, personale dirigente, con prolungamenti significativi in direzione dei familiari dei giovani (genitori, nonni). Da questo secondo punto di vista le scuole sono organismi viventi, plurali, vivono nell’epoca contemporanea e assumono caratteristiche differenti a seconda delle classi di età delle alunne e degli alunni: le relazioni che si producono in una scuola dell’infanzia sono molto diverse da quelle di scuola primaria o secondaria.
Nella loro vita queste istituzioni-organismi lasciano tracce: da quelle burocratiche e documentarie classiche: architettoniche, amministrative, del territorio; a quelle pedagogiche e didattiche legate ai materiali, alle disposizioni, alle relazioni tra i soggetti, ai contenuti disciplinari e ai supporti che li veicolano in offerta e in ricezione (libri, quaderni, giornalini scolastici). Infine lasciano tracce nella vita delle persone che le attraversano, che vi passano parte della loro esistenza per apprendere, per insegnare, per pulire, cucinare, dirigere: ricordi che si modificano nel tempo, ma anche immagini, foto, oggetti…
Quindi le scuole sono istituzioni-organismi carichi di vita e produttori di grandi quantità di informazioni utilizzabili dal punto di vista storico. Ovviamente dipende in quale direzione lo sguardo della storica e dello storico si pone nell’approcciarsi a questi sedimenti del passato di vita di una scuola. Interessa l’aspetto istituzionale? La relazione con il territorio? I vissuti delle studentesse degli studenti? L’evoluzione delle modalità di insegnamento? Il rapporto più o meno conflittuale tra docenti e dirigenze?
Un plesso scolastico quindi, come organismo collettivo che funziona quotidianamente, produce un’enormità di elementi suscettibili di divenire oggetto di un approccio storico. Più ci allontaniamo nel tempo e più le possibili fonti per questo scavo si riducono in quantità e divengono più complesse da raggiungere, ma in una buona misura sono rintracciabili e recuperabili. In virtù di questa loro disponibilità, è sempre possibile aprire i cantieri per lo scavo e la costruzione di una storia del proprio plesso scolastico.[3]
Ce lo ha mostrato bene l’esperienza – ancora in corso – che si è sviluppata al Liceo Amaldi di
Roma ed è stata raccontata in questa rivista da Danilo Corradi:[4] un liceo giovane senza un archivio storico che attraverso il lavoro dei docenti e degli studenti ha non solo fatto riemergere memorie e documenti, ma che attraverso questi elementi ha saputo scavare negli aspetti sociali del territorio su cui l’istituto insisteva gettando, attraverso questi molteplici percorsi di ricerca, le basi di un vero archivio storico. Ora all’Amaldi è disponibile una raccolta di fonti per chi si porrà domande di tipo storiografico e per chi vorrà trovare materiali e spunti per una didattica attiva della storia.
Qualcuno però potrebbe obiettare: “Certo, l’Amaldi è un liceo; ma una scuola primaria?”
La scuola Fortuzzi di Bologna
La nostra esperienza è stata costruita nella scuola elementare dove lavoravamo, una scuola nata nel 1917 come scuola all’aperto ma priva di archivio storico. Alla fine degli anni N ovanta (insegnavamo nella stessa classe) abbiamo provato a costruire un percorso didattico mettendo insieme vari stimoli. Da una parte alcuni documenti relativi alla fondazione e alle ristrutturazioni della scuola trovati nell’Archivio storico comunale con l’aiuto di una archivista. Parallelamente abbiamo fatto intervistare da gruppi di bambini alcuni ex allievi ed ex insegnanti della scuola con cui eravamo venuti in contatto (Alberto e la maestra Martelli tra gli altri). Il terzo filone è consistito nel valorizzare alcuni materiali trovati dai bambini nel giardino della scuola (alcune ossa, dei piccoli fossili, un bossolo di fucile, uno pseudo-chopper) spediti alle varie istituzioni della città con domande e ipotesi formulate dai bambini sulla loro origine e identificazione. Sulla base dei documenti, della trascrizione delle interviste e delle risposte dei musei abbiamo costruito una prima mostra, senza troppe pretese, che narrava la storia della scuola, aprendo l’evento al pubblico con la guida dei bambini. Avevamo in mente soprattutto di valorizzare il lavoro didattico degli allievi al cospetto dei genitori, ma la segnalazione dell’evento rilanciata dai giornali cittadini ha fatto circolare l’informazione al di fuori della cerchia ristretta, producendo una specie di megafono nel quartiere e facendo sì che alcuni ex allievi della scuola venissero in visita alla mostra e portassero foto, pagelle o quaderni. Fu in quell’occasione che conoscemmo, tra gli altri, Roberto Camera, allievo tra il 1952 e il 1955 della maestra Zona e scrupoloso nel conservare tutti i quaderni della sua esperienza. Quasi senza accorgercene aveva preso forma una prima sezione dell’archivio virtuale della scuola.[5]
Un secondo blocco, più ampio, fu aggiunto una quindicina di anni dopo, in occasione del centenario della scuola, quando decidemmo come insegnanti di festeggiarlo con una nuova mostra, accompagnandone la preparazione con un gruppo Facebook intitolato “Centenario della scuola Fortuzzi – Bologna”.[6] Il gruppo era finalizzato sia a divulgare regolarmente le informazioni man mano che venivano prodotte, ma soprattutto a contattare i possibili interessati che facevano uso di questo social. La cosa funzionò ancora una volta molto bene, la mostra divenne l’occasione per far girare l’informazione e il collettore per nuovi contatti con ex allievi ed ex insegnanti. Questa volta la sorpresa più gradita ce la diede un collezionista di materiali fotografici, Marzio Govoni, che ci contattò perché aveva riconosciuto nella nostra scuola l’origine di un giornalino manoscritto di circa 500 pagine redatto tra il 1948 e il 1953 di cui era venuto in possesso: una vera miniera di episodi, nomi, aneddoti di vita scolastica e cittadina. La scansione delle pagine ha permesso alla scuola di “possedere” nell’archivio il prezioso documento senza bisogno di acquisirlo materialmente.[7]
A quel punto il nostro Archivio virtuale era già cresciuto notevolmente, ma soprattutto la crescita non sembra destinata a interrompersi. L’ultimo episodio, nello scorso mese di aprile, ha coinvolto Gastone, un ex ragazzo del quartiere degli anni cinquanta che è venuto a rivedere la sua scuola e a farsi intervistare. È arrivato insieme ad un amico di infanzia; una classe quarta lo ha sottoposto a un fuoco di fila di domande e le sue risposte e i racconti hanno arricchito un catalogo ormai carico di video-interviste. Oggi ogni classe che vuole gettare uno sguardo didattico al passato della scuola ha a disposizione un’abbondante raccolta di materiali, una nutrita rubrica telefonica degli ex allievi e insegnanti disponibili, un archivio di interviste, una serie di percorsi didattici dettagliati o solo abbozzati. Gli insegnanti possono scegliere se ripetere esperienze già fatte, oppure possono decidere di proseguire la ricerca aggiungendo un piccolo tassello, sottoponendo vecchi e nuovi testimoni ad interviste in cui alle vecchie domande si aggiungono le nuove che emergono dalle curiosità inedite delle ultime generazioni di alunni.[8]
Citizen history e public history
La “ricerca” è cresciuta non programmando un percorso preciso ma seguendo canovacci che mutavano continuamente. Nel tempo le esperienze sono cresciute e nuove attività si sono aggiunte cogliendo di volta in volta le occasioni che si presentavano e cercando di aprire nuovi spazi di scambio e raccolta da vivere pubblicamente, aperti al quartiere, ai nuovi genitori degli alunni, ai sempre nuovi “ex” sopraggiunti. Per provare a «collegare i fili della ricostruzione storica e della memoria collettiva in un processo unitario» era indispensabiletentare di coinvolgere un mondo estremamente vasto e composito di operatori culturali, insegnanti, bambini e genitori, ex insegnanti ed ex alunni. Tutti questi soggetti potenzialmente avevano a che fare con la storia della scuola, tutti potevano contribuire a renderla più ricca e produttiva di nuove informazioni e conoscenze, e allo stesso tempo tutti potevano godere di questa ricchezza.[9]
Quando nel 2019 abbiamo provato a fare un primo bilancio del percorso seguito ovviamente abbiamo fatto riferimento alle riflessioni che si venivano moltiplicando attorno alla categoria di public history, nel cui ambito certamente ci collocavamo.[10] Eppure anche le esperienze di public history ci pareva non dessero pienamente conto di ciò che si era andato facendo.[11] Nella nostra esperienza ci eravamo invece trovati continuamente a fare da registi di una ricerca che poteva procedere solamente attraverso l’attivazione di soggetti che di volta in volta venivano coinvolti nel percorso. Si partiva dalle bambine e dai bambini che analizzavano e davano la loro lettura dei reperti trovati in giardino o che formulavano le “loro” domande ai testimoni; si passava per i tanti “ex” che contribuivano con i loro ricordi, oggetti, fotografie e recapiti di altri possibili testimoni; si arrivava fino agli archivisti delle istituzioni cittadine che ci segnalavano piste e documenti o ci aiutavano ad interpretarli. Il coinvolgimento di tutti questi soggetti non era rappresentabile secondo una formula unidirezionale (noi chiediamo e loro danno, poi noi raccontiamo e loro ascoltano) ma costituiva un complesso intreccio di attori-fruitori che a diverso titolo costruivano con noi pezzi del passato di questa scuola.
In questa formula chi si percepisce “cittadino” interessato al tema può farsi coinvolgere nella ricerca e contribuirvi dalla sua prospettiva, partecipando alla sua riuscita. Come incasellare l’ex alunna che nella pagina facebook, stimolata indirettamente dalla discussione sulle maestre e sulle classi degli anni sessanta, decide di registrarsi mentre canta l’inno della scuola per poi caricare il file e condividerlo con il gruppo?[12] Anche lei partecipa attivamente a scrivere parte di questo passato e lo fa decidendo lei stessa che quel ricordo è significativo e va restituito nella forma originale, offre quella fonte sonora agli altri compagni di viaggio che compartecipano a quel progetto invitandoli implicitamente all’analisi, all’interpretazione e al confronto con una comunità provvisoria che nel frattempo ha raccolto altri inni, più antichi e più recenti, e che magari in una classe decide – seguendo questo stimolo – di scrivere insieme ai bambini un nuovo inno del presente.
Per descrivere meglio questo intreccio allora è stato utile fare tesoro delle pratiche di citizen science, che «fa riferimento all’impegno attivo di un pubblico non formato scientificamente e/o non specializzato, in attività inerenti la ricerca scientifica». Secondo il Consiglio nazionale delle ricerche, i presupposti necessari per definire un’attività in questo modo sono: la base volontaria della partecipazione, un progetto scientifico definito, l’accuratezza dei dati, l’adesione a standard di descrizione e conservazione per garantire il riuso delle informazioni da parte di altri cittadini e da parte di altri scienziati.[13]
Provando a mettere a confronto questi elementi e la nostra esperienza abbiamo visto che il primo punto sulla partecipazione a base volontaria corrisponde perfettamente; il terzo punto sull’accuratezza dei dati chiama in causa – per una ricerca storica dallo spettro così ampio – la capacità di esercitare la critica delle fonti di chi organizza e segue il progetto; il quarto punto, sul riuso delle informazioni, dipende dalla capacità di organizzare un archivio virtuale compendiando la sua fruibilità a diversi livelli con il diritto alla privacy. Il secondo punto, il “progetto scientifico definito», deve forzatamente essere adattato alle caratteristiche di una esperienza storiografica di questo tipo che è nata aperta e multiforme, dai confini mobili, che quindi è molto distante dalle esigenze di protocolli rigidi necessari per le ricerche di tipo scientifico, ma non per questo non può seguire un disegno flessibile ma coerente.
Breviario per volenterosi
Questo ultimo paragrafo, pensato per colleghe e colleghi della scuola primaria, ma in parte generalizzabile, intende fornire dei consigli per orientare i primi passi di chi volesse intraprendere una raccolta di fonti per costruire e raccontare la storia della propria scuola. Nessuna pretesa di esaustività o di organicità, solo un insieme di suggerimenti da declinare nelle situazioni concrete.
Una prima direzione in cui muoversi è certamente quella classica, istituzionale.
Magari la scuola è rinomata, è già stata studiata ed esistono uno o più libri, in questo caso probabilmente molte informazioni sugli aspetti istituzionali risultano reperibili e molte delle piste archivistiche sono già indicate. Non resta che proseguire in quella direzione e parallelamente rivolgersi al versante delle soggettività, mettendo sotto la lente gli aspetti relazionali della vita scolastica.
Nella maggior parte dei casi però non esistono studi, quindi i primi luoghi da esplorare sono gli archivi. Esiste un archivio storico della propria scuola? Esiste una raccolta di documenti, di liste di insegnanti, di registri da reperire in segreteria? I verbali di esame a quali anni risalgono indietro nel tempo? Se la scuola ha una vita che supera i quarant’anni questa dimensione va subito verificata, poiché disporre dei vecchi registri significa avere a disposizione materiali interessanti ed evocativi del passato della scuola.
Inoltre, le segreterie scolastiche dialogano con altre istituzioni cittadine che accumulano a loro volta carteggi non sempre conservati a scuola: potrebbero custodire materiali gli archivi storici comunali, oppure gli archivi territoriali dei provveditorati agli studi i cui fondi a volte sono “versati” negli archivi di stato cittadini e lì consultabili con l’aiuto degli archivisti.
A volte i momenti salienti della vita della scuola sono registrati nei giornali delle istituzioni comunali, nelle edizioni locali dei quotidiani, in archivi particolari di associazioni o personalità che hanno avuto a che fare in passato con la scuola e che al termine della loro esistenza depositano i loro materiali in archivi pubblici o li rendono disponibili alla consultazione anche se privati.
Accanto a questa dimensione istituzionale nella vita scolastica esiste – all’opposto – una dimensione memoriale informale, legata agli individui che hanno avuto a che fare con la scuola nelle varie vesti di studenti, insegnanti, genitori. Qui il caleidoscopio delle esperienze si moltiplica all’infinito; attraverso questa pista chi ricostruisce la storia di una istituzione collettiva come la scuola ha l’occasione di passare da un’immagine protocollare, ingessata, spesso limitata ad aspetti ufficiali della vita scolastica, ad un’immagine molto più ricca, forse anche caotica ma stimolante, densa di opinioni, ricordi più o meno precisi o anche inventati, esperienze, aspetti di una vita quotidiana che spesso sfuggono alla documentazione ufficiale.
Disporre delle valutazioni del registro di una terza classe elementare del 1970 può essere interessante, ma avere il racconto, da valutare con il beneficio d’inventario, di alcuni studenti e di alcune insegnanti di quella classe arricchisce il nostro sguardo in maniera potente. Se poi una di queste studentesse rivela che ha conservato tutti i quaderni prodotti in quei cinque anni di scuola, allora capite bene che l’avventura della ricerca compie un salto di qualità e permette ai ricercatori – insegnanti e studenti – di entrare virtualmente in quelle classi e immaginare in maniera concreta la vita didattica e relazionale che vi si svolgeva.
All’inizio si può partire da scarne liste di ex insegnanti o ex allievi chiamati a raccontare la loro esperienza, parte in classe (come attività didattica) e parte con i docenti per raccogliere altri elementi che non rientrano negli interessi diretti dei bambini. Da qui i contatti possono crescere e il passaparola può ampliare ancora di più la platea degli e delle “ex” disponibili.
Ma il vero salto di qualità spesso è legato alle iniziative pubbliche, come le feste della scuola o l’allestimento di piccole mostre, che combinate all’uso dei social possono allargare potentemente i contatti di cui si dispone in partenza e fare emergere collaboratori e collaboratrici preziosi di questa ricerca diffusa.
Nella nostra esperienza abbiamo visto come la pagina facebook del Centenario della scuola Fortuzzi costituisce tuttora (sono passati 8 anni) un collettore potente di contatti, di ricordi, di emozioni che non sempre riusciamo a valorizzare tanto eccedono le nostre capacità. D’altronde anche questa difficoltà a controllare interamente il percorso di riemersione del passato costituisce una caratteristica preziosa e pienamente nello spirito della citizen science … pardon: citizen history: uno spazio pubblico di raccolta di ricordi e di documenti che in parte rimanga patrimonio di chi vi partecipa, e in parte possa essere raccolto da altri partecipanti o da chi ha fatto lo sforzo di aprirlo e di mantenerlo attivo nel tempo.
Note:
[1] Qui le interviste https://www.istitutocomprensivo20bologna.edu.it/wp-content/uploads/2022/04/2000_-_La_storia_della_nostra_scuola.pdf
[2] E. Serafini, Gli archivi scolastici tra conservazione, ricerca e didattica, in “Novecento.org”, n.19, giugno 2023. DOI: 10.52056/9791254693872/09; D. Corradi, Gli archivi scolastici tra didattica e ricerca. Un esperimento di PCTO al Liceo Amaldi di Roma, in “Novecento.org”, n.19, giugno 2023. DOI: 10.52056/9791254693872/15
[3] È arduo anche delimitare con precisione fino a dove si estende – temporalmente e geograficamente – un oggetto di ricerca così multiforme come una scuola. Prendiamo ad esempio in considerazione le scuole che funzionano in quartieri ad alta densità migratoria, e pensiamo a quelle propaggini fondamentali delle bambine e dei bambini che sono le nonne e i nonni. Nel background di queste scuole i nonni e le nonne che vivono in tutte le parti del mondo entrano a pieno titolo come riferimenti familiari e affettivi degli alunni, trasmettendo attraverso le videochiamate ai loro nipoti esperienze accumulate in infanzie vissute 50 anni fa in ambiti sociali e culturali differenti. Senza dubbio i racconti di questi nonni di Dacca o di Lima entrano a pieno titolo nel background culturale ed affettivo delle allieve e degli allievi delle nostre classi, a disposizione anche essi di una ricerca storica che non volesse lasciare insondata questa regione inedita e ricchissima del territorio emotivo della ricca scuola presente.
[4] Corradi, 2023.
[5] Il libretto che raccoglie questa prima esperienza è scaricabile qui https://www.istitutocomprensivo20bologna.edu.it/wp-content/uploads/2022/04/2000_-_La_storia_della_nostra_scuola.pdf
[6] https://www.facebook.com/groups/1030611553695951/
[7] In questa pagina web i 4 link dei pdf della mostra del 2017 e il link del Percorso della storia e della memoria nel giardino della scuola del 2019 https://www.istitutocomprensivo20bologna.edu.it/istituto/plessi/primaria-fortuzzi/storia-della-scuola-primaria-fortuzzi/
[8] Nel 2020, in occasione della Festa della storia di Bologna, abbiamo montato un piccolo video in cui sono integrate notizie storiche e immagini di una teatralizzazione didattica lungo un Percorso di storia e memoria nel giardino della scuola, https://youtu.be/fDUOw7CRfgE
[9] C. Carpigiani, G. Gabrielli Tra ricerca storica, Citizen e Public History: il Centenario della scuola elementare Fortuzzi di Bologna, in Public History of Education: riflessioni, testimonianze, esperienze, G. Bandini, S. Oliviero (a cura di), Firenze, Firenze University Press, 2019, pp. 119-130: 121
[10] C. Carpigiani, G. Gabrielli Tra ricerca storica…, cit.; C. Carpigiani e G. Gabrielli, Renewing the Ties of a Century of History: an Experiment in Citizen History on the Occasion of the Centenary of the Fortuzzi School, «History of Education & Children’s Literature», XIV, 1, 2019, pp. 239-257.
[11] La nuova versione del Manifesto dell’AIPH (https://aiph.hypotheses.org/3193) parla in effetti più compiutamente di autorialità condivisa e di coinvolgimento dei soggetti del territorio. Per una riflessione più specifica e aggiornata sul rapporto tra Public history e didattica della storia cfr. (tra le altre cose) I. Orsini, I. Pizzirusso, A. G. Salassa, “Salva una storia” per salvare la Storia. Con la Didattica e la Public history, in “Novecento.org”, n.21, giugno 2024.
[12] https://www.facebook.com/groups/1030611553695951/permalink/1380561498700953/
[13] https://sibi.cnr.it/open-science-2/open-science-in-pratica/citizen-science-2/