Perché non sono nata coniglio?
dida
N23 (Autore), C. Jampaglia (a cura di)
Perché non sono nata coniglio
Edizioni Alegre, 2020, 284 pagg.
Lydia Franceschi ha una storia incredibile, romanzesca, tragica. Nel volume di recente pubblicazione, Perché non sono nata coniglio, possiamo ripercorrere la sua vita e, insieme, la storia del secolo che abbiamo alle spalle, grazie alla scrittura collettiva di 23 autori (N23) – insegnanti, avvocati, giornalisti, drammaturghi, musicisti, amici – che hanno lavorato su documenti d’archivio e sui suoi ricordi.
Ne emerge il racconto corale di persone che l’hanno incontrata, conosciuta, che continuano a starle vicino, desiderose di restituire alle presenti e future generazioni i frammenti di una lunga e generosa esistenza. Nel testo sono presenti scritti della stessa Lydia e di personalità significative del mondo culturale e politico: Camilla Cederna, Joyce Lussu, Umberto Terracini, Franco Fortini.
Costruito attorno a capitoli che hanno nomi evocativi – a cominciare dal titolo dell’opera –: l’orologio, il posacenere, la punta del naso, lo straccio, la bocciatura, le pantofole, ecc… questo libro è come un fiume carsico, che a tratti diventa impetuosa corrente, e trascina con sé affetti, luoghi, memorie, che si fa sangue e dolore, ma poi riprende a scorrere.
Ma chi è Lydia Franceschi, che ha oggi 97 anni?
Lydia nasce il 1° maggio 1923 a Odessa sul Mar Nero, dove il padre Amedeo Buticchi, comunista, aveva cercato rifugio per sfuggire ad una condanna a diciotto mesi di prigione, per aver arringato gli operai dei cantieri navali a Vado Ligure: «Affilate i coltelli, impugnate i fucili, compagni, per la grande battaglia del proletariato». Arrivato a Odessa insieme al fratello Antonio, si innamora di una donna italo russa, Lidia Pavani, figlia di abbienti commercianti di origini ligure, che aveva aderito con fervore alla rivoluzione bolscevica, dando il suo aiuto come interprete per i tanti esuli che approdavano in URSS, attirati dalle sirene del nuovo stato sovietico. Ella però muore misteriosamente, in preda ad una forte febbre, pochi giorni dopo la nascita di Lydia. Amedeo è convinto che sia stata uccisa, forse da un misterioso medico che l’aveva visitata giorni prima.
La rivoluzione stava iniziando a divorare sé stessa, Amedeo e suo fratello finiscono addirittura alla Lubjanka. Il cappio si stringe, la Direzione Politica di Stato (GPU), pretende che lui denunci i compagni sospetti di deviazionismo e, al tempo stesso, lo accusano di contrabbando e di aver tradito la rivoluzione e il partito. Buticchi chiede aiuto a Terracini, che ha sostituito Gramsci a capo dell’Internazionale in URSS, ma viene lo stesso processato e, per sua fortuna, assolto.[1] Per lasciare definitivamente l’URSS, Amedeo decide dunque di sposare una donna russa, Maria Chovanskaja e torna con la famiglia a Milano, consapevole che con la sua fedina di comunista avrebbe dovuto sopportare le angherie e i soprusi del regime fascista. L’unica donna vicina alla piccola Lydia negli anni dell’infanzia è Nina, la governante, colei che a un certo punto le racconterà chi era la sua vera madre. Per difendere l’amata figlia e isolarla da un ambiente ostile, Amedeo iscrive Lydia ad un collegio di suore a Salò, sul lago di Garda. La andrà a trovare ogni volta che gli sarà possibile.
Il 1° dicembre 1935, mentre è al suo banco di verdure nel mercato di Viale Umbria, Amedeo vede Torquato, il cognato, farglisi incontro, estrarre una rivoltella e fare fuoco. Era un fascista, Torquato, gli piaceva mettersi in camicia nera con fez e stemma dell’aquila sulla testa, un piccolo uomo da niente, probabilmente geloso del cognato. Amedeo muore lasciando la figlia orfana. Solo molti anni più tardi Lydia avrebbe appreso terribili aspetti sconosciuti dell’attività politica di suo padre in URSS, di sua madre e del loro rapporto, delle persecuzioni prima in Russia e poi in Italia, fino alla sua assurda uccisione.
Grazie a Francesca Tuscano, storica della Russia contemporanea e scrittrice, che ha rinvenuto documenti all’archivio di Stato di Milano, all’archivio Gramsci di Roma, all’archivio di Stato di Odessa, Lydia ha appreso brandelli di verità. Da lì ha preso avvio l’idea di scrivere la sua incredibile storia, partendo dai primi anni di vita, fino a quel momento avvolti nella nebbia. Quando arriva l’8 settembre e gli italiani devono decidere da che parte stare, Lydia ha vent’anni, frequenta la facoltà di Chimica di via Celoria e non ha dubbi: inforca la sua bici e inizia a portare messaggi e dispacci ai partigiani in clandestinità. Una staffetta, come le chiamavano allora, anche se quel termine molte ex partigiane lo hanno ritenuto sempre riduttivo.
Già nei racconti dei primi vent’anni di vita, si trovano molteplici spunti che possono favorire negli studenti discussioni e approfondimenti didattici: il nesso tra biografia e storia (differenze, contaminazioni); il tema della rivoluzione che divora sé stessa («Per la tattica morì la rivoluzione. Per la tattica i comunisti arrestarono i comunisti, li esiliarono, li giustiziarono»); la Resistenza in Italia, sia armata sia civile, e il ruolo delle donne partigiane.
In classe è possibile riaggregare le storie nella forma di un racconto a più voci, intrecciando vicende e vissuti che più colpiscono la sensibilità degli studenti e delle studentesse. Tale percorso può essere arricchito con letture, visioni di film o documentari, ascolto di canzoni.[2]
Dopo la fine della guerra, Lydia incontra l’amore della sua vita, Mario Franceschi. Sceglie di insegnare matematica e scienze alle scuole medie con dedizione e passione, è felice di crescere i suoi due amati figli, Roberto e Cristina. Sono anni lieti e spensierati. Poi arrivano gli anni Sessanta e Lydia combatte insieme ai figli e ai suoi studenti per l’attuazione dei principi costituzionali, per l’emancipazione femminile, per l’uguaglianza delle opportunità. Dietro l’insistenza di suo figlio, diviene Preside proprio per poter contribuire in modo più deciso a democratizzare la scuola, a difendere i diritti dei disabili e degli studenti più poveri e disagiati. Sono gli anni dell’impegno giovanile che Guccini canterà nella bellissima Eskimo (1978): «Bisogna saper scegliere in tempo […] scoppiava finalmente la rivolta», un testo prezioso per un’intera generazione, che potrebbe essere ascoltato anche oggi dagli studenti, «…perché a vent’anni è tutto ancora intero, perché a vent’anni tutto chi lo sa…».[3]
Roberto Franceschi, liceale al Vittorio Veneto di Milano, milita nei collettivi studenteschi. Vuole cambiare il mondo. Si iscrive alla Bocconi, per continuare la sua lotta «nel cuore della contraddizione». Ma il 23 gennaio 1973 la sua giovane vita se la prendono quelli d’altra parte della barricata. Quella sera alla Bocconi era stata convocata un’assemblea degli studenti di tutte le università milanesi, aperta anche ai lavoratori, ma il Rettore aveva dato ordine di far entrare solo gli studenti iscritti che mostrassero il libretto universitario, creando le premesse per uno scontro tra manifestanti e forze dell’ordine. La polizia spara ad altezza uomo e colpisce alla nuca Roberto, che muore dopo una settimana di coma. Le parole di Lydia sono struggenti: «Era morto mio figlio, l’amico più buono, sincero, premuroso che mente umana può pensare: era morto il maestro, il compagno politico; era morta la vita, l’essenza e il perché». Ai funerali partecipa una folla immensa di giovani. Il Movimento Studentesco Milanese nei mesi seguenti scrive la canzone «Compagno Franceschi».[4] Come in molti altri casi giudiziari in cui sono stati coinvolti apparati dello Stato, iniziano fin da subito distrazioni di prove, depistaggi, avvicendamenti nelle indagini. Lydia non si arrende, segue tutte le fasi del processo, scrive articoli affermando che «la paura della verità è già fascismo».[5] Non ci sarà niente da fare, il 22 aprile 1985 arriva la sentenza finale di assoluzione “perché il fatto non sussiste”. Nessuno è Stato, si potrebbe aggiungere, riprendendo il titolo di un importante volume dedicato alla strage di Piazza Fontana.[6]
La pluralità di voci e di punti di vista, la ricchezza dei documenti utilizzati (stralci di sentenze, estratti da articoli, poesie, testimonianze, materiali di archivio, fino a inchieste recenti sullo sfruttamento del lavoro dei migranti nelle campagne del Sud; e proprio la varietà di tipologie permette un approfondimento sulla specificità dei linguaggi di ognuna) offrono la possibilità agli studenti di approfondire, magari lavorando in piccoli gruppi, temi quali la violenza politica, l’impegno e le lotte politiche per la giustizia, per l’affermazione concreta dei principi costituzionali sociali ed economici presenti nella nostra Costituzione, le battaglie per l’emancipazione femminile e la parità di genere. Sul sito della Fondazione Franceschi è disponibile uno strumento utilissimo per lavorare in quest’ottica: la Costituzione commentata. A partire da casi reali e riferimenti alle sentenze della Corte costituzionale si spiega come possono essere interpretati e applicati i singoli articoli (https://www.fondfranceschi.it/costituzione/) .
Infine Perchè non sono nata coniglio permette di ragionare attorno al senso stesso dello stare – bene o male – a scuola. Nel volume si tratta a lungo del valore dell’educazione nella società, delle difficoltà della scuola italiana e della necessità, ieri come oggi, di una scuola più inclusiva, in un’ottica cooperativa piuttosto che competitiva.
«La scuola come organismo costituzionale», l’aula «come il paese intero», o come confida Lydia a un suo amico insegnante un po’ scoraggiato: «I tuoi ragazzi saranno buoni studenti e si fideranno di te non perché imponi le regole, ma perché li fai partecipare alla vita che quelle regole permettono».
In conclusione, Perché non sono nata coniglio è un viaggio nelle pieghe del secolo passato che arriva fino al tempo presente. È un libro che permette di approfondire momenti importanti della nostra storia, ma soprattutto di comprendere come una lotta personale possa farsi collettiva, come lo sforzo di ciascuno a favore dei diritti e della giustizia abbia senso solo insieme agli altri. Come dice Lydia, bisogna considerare «la vita come un dono immenso che vale la pena di vivere nella sua interezza. Perché il tempo fa invecchiare i sogni, ma non cancella i ricordi».
Note:
[1] Cominciava a profilarsi quella tragica distorsione della storia, quella degenerazione rivoluzionaria che porterà dritti al terrore staliniano e ai milioni di “controrivoluzionari” uccisi o inviati nei Gulag. Si pensi, solo a titolo di esempio, a Edmondo Peluso, uno dei fondatori del Partito Comunista Italiano che fu ucciso con un colpo di pistola alla nuca nella prigione di Krasnojarsk, in Siberia, nel 1942 (D. Gnocchi, Odissea rossa. La storia dimenticata di uno dei fondatori del Pci, Einaudi, Torino, 2001).
[2] Per approfondire il dramma dei tanti italiani finiti nei campi del sistema concentrazionario sovietico, soprattutto nella seconda metà degli anni Trenta, è utile E. Dundovich, F. Gori, E. Guercetti, L’emigrazione italiana in URSS: storia di una repressione, disponibile al link https://it.gariwo.net/dl/Saggio%20Gulag%20Du-Go.pdf (consultato 26.5.2020). Sulla Resistenza – oltre l’ormai “classico” testo di Calvino I sentieri dei nidi di ragno, consiglierei I ventitre giorni della citta di Alba, di Beppe Fenoglio che lo stesso Calvino definì fatto di «racconti pieni di fatti, con un’evidenza cinematografica, con una penetrazione tutta oggettiva» della vita partigiana (entrambi adatti anche per la secondaria di primo grado). Per la secondaria di secondo grado un altro grande classico di Fenoglio, Una questione privata, tra le cui righe ancora Calvino leggeva «la Resistenza proprio com’era, di dentro e di fuori, vera come mai era stata scritta», è un testo che permette di lavorare in continuità con la produzione cinematografica e con il film omonimo dei fratelli Taviani (2017). Più datato, ma imprescindibile resta La notte di San Lorenzo (1982). Per il ruolo delle donne nella Resistenza: Diario partigiano di Ada Gobetti e L’Agnese va a morire di Renata Viganò (quest’ultimo trasposto su pellicola da Giuliano Montaldo nel 1976, in un intenso e riuscito film, che oggi è finalmente possibile vedere in versione restaurata). Per orientarsi sulle molte canzoni di lotta della Resistenza, sempre utile P. Cuzzani, Viva l’Italia, l’Italia che resiste (http://www.percorsistorici.it/component/content/article/20-numeri-rivista/numero-2/124-patrizia-cuzzani-viva-l-italia.html). Per impostare un lavoro didattico sulle canzoni di lotta, è ricchissimo il sito Canzoni contro la guerra, https://www.antiwarsongs.org/chisiamo.php?lang=it: un lavoro corale di raccolta di testi relativi a canti di tutto il mondo e di tutte le epoche a contenuto pacifista ed antimilitarista, in forma di database e strutturato su contributi liberi da parte di lettori e collaboratori.
[3] https://www.youtube.com/watch?v=_YDKxJcgPEE
[4] https://www.antiwarsongs.org/canzone.php?id=4041&lang=en
[5] Con una raccomandata inviata direttamente all’allora Ministro della Pubblica Istruzione, Franca Falcucci, in data 3 giugno 1985, Lydia rimette il suo incarico di preside, asserendo che in questo Stato non è più capace di tornare a scuola dai suoi ragazzi e continuare a educarli alla dignità di cittadini.
[6] F. Zinni, Piazza Fontana. Nessuno è Stato, Maingraf Editore, Bresso, 2008.
Per un approfondimento delle tormentate vicende giudiziarie relative all’omicidio di Roberto, che dimostrano ancora una volta come sia difficile coniugare verità storica e giustizia penale nel nostro paese, si rimanda a D. Biacchessi (a cura di), Roberto Franceschi. Processo di polizia, Baldini e Castoldi Dalai, Milano, 2004