Scolpire il tempo: cinema e storia, cinema è storia. Introduzione al Dossier
Fotogramma del film Rapito di Marco Bellocchio (2023).
Abstract
Introduzione al dossier “Scolpire il tempo: cinema e storia, cinema è storia”, in cui l’autrice tratteggia intenti e metodologia dei contributi raccolti, che offrono ciascuno una prospettiva diversa sul rapporto tra Cinema e Storia, permettendo uno sguardo sulla questione da diverse angolazioni e una riflessione sull’essenza stessa dell’arte cinematografica.
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Introduction to “Sculpting Time: Cinema and History, Cinema is History” dossier, in which the author outlines the intentions and methodology of the collected contributions, each offering a different perspective on the relationship between Cinema and History, allowing a look at the issue from different angles and a reflection on the very essence of film art.
Il titolo del dossier riprende una citazione di Andrej Tarkovskij che rimanda in realtà a un complesso rapporto tra cinema e tempo, laddove per il cineasta russo il secondo è a fondamento del primo.[1] Lo “scolpire” restituisce un’idea cruciale, quella del farsi, plasmarsi in arte del tempo: il tempo scolpito dall’inquadratura è così fissato, senza mai perdere al suo interno il movimento, grazie all’essenza stessa del cinema, che vive di immagini nel loro fluire. Proprio questo aspetto pensiamo che possa avvicinare il cinema all’idea stessa di Storia.
Viene allora da chiedersi: il Cinema quale tempo della Storia mette in atto? Se la temporalità per il regista russo è autonomamente significante, capace di interagire con la profondità psichica di chi guarda, che possiede sempre un passato e una memoria personali, allora osservare alcune questioni attraverso questa lente può aiutare a comprenderne la complessità e senza dubbio la profondità. Colpisce l’idea di Tarkovskij dell’immagine cinematografica come vita stessa che si svolge sotto i nostri occhi, per sottolineare come questa sia in grado di rendere visibile il tempo e insieme ciò che non è visibile.[2]
Rendere visibile il tempo storico non è quello che si realizza con i film? E cosa fa di diverso la Storia? Si tratta di altro? Esiste un rapporto?[3] Questi alcuni degli interrogativi posti nel redigere il Dossier che presentiamo in questa sede.
Del resto il fattore “tempo” ricorre sempre in chi ha riflettuto sul cinema sin dalla sua origine, così come il suo legame con la storia: da Balázs a Bazin, da Bergson a Deleuze, da Epstein a Bettatini, o Tarkovskij appunto.[4] Il tempo riprodotto, inventato, vissuto, immaginato, documentato, perduto, rappresentato è costitutivo del cinema e le immagini ne diventano i contenitori. La materia significante dell’immagine in movimento si sviluppa in una ri-creazione di elementi visivi e sonori che insieme creano il processo comunicativo. Il film materializza così un progetto, che è anche una possibilità temporale: produce senso svolgendo se stesso come comunicazione. Il cinema è tempo. Sempre Tarkovskij scrive:
L’immagine diventa autenticamente cinematografica alla condizione inderogabile (tra l’altro) che non solo essa viva nel tempo, ma che anche il tempo viva in essa, a cominciare dalla singola inquadratura[5]
Se lo spazio è immediatamente percepibile da parte dello spettatore, il tempo rappresentato e quello dell’esperienza visiva racchiudono un senso profondo non sempre intelligibile. Con il Dossier proviamo a verificare quale rapporto esista tra cinema e storia, rivolgendoci con un’attenzione specifica, ma non esclusiva, verso il mondo della scuola;[6] attraverso i diversi contributi si è inteso offrire una metodologia rinnovata, utile in sede didattica, che tenga conto anche degli studi degli ultimi decenni in campo nazionale e internazionale, al fine di fiaccare una certa pratica scolastica distorta e manchevole che privilegia ancora un utilizzo del film in sede didattica per il solo contenuto, e al contrario rafforzare un’analisi semantica delle opere.[7] I film da proporre in aula (o visti in sala) li si deve saper scegliere per poi trattarli come artefatti da decodificare e leggere in relazione a contesti e rapporti, in grado, dunque, di tessere la storia in maniera speciale e sempre originale, in nome dell’arte più che della ‘verità’, non tanto per una fedeltà alla realtà, quanto sempre per l’interpretazione che di essa è proposta. Il cinema parte sempre da dubbi e incertezze, curiosità che prendono espressione.[8] Anche nel caso di un film storico non si tratta certo di riprodurre fedelmente il passato, quanto di interrogarlo, comprenderlo e riproporlo secondo una certa interpretazione creatrice, in virtù dell’essere il cinema arte e, in quanto tale, sempre un po’ rivoluzionario.[9]
Del resto già nel 1980 Marc Ferro scriveva: «L’ipotesi? Che il film, immagine o no della realtà, documento o finzione, intreccio autentico o pura invenzione, è Storia».[10]
Anche per questo oltre la congiunzione – cinema e storia – sin dal titolo ci è interessato evidenziare che il cinema è storia. Il semplice binomio del resto pone dei rischi, come ha indicato e sottolineato bene Alain Bergala, secondo il quale non si fa che “misfatti” con la “e” (cinema e letteratura, cinema e arte, tv e cinema e così via), anche se la sua critica si è indirizzata soprattutto a rilevare i danni di “cinema e audiovisivo”.[11]
In Italia Giovanni De Luna ha saputo coniugare il sapere storico con l’interpretazione che il cinema ne fa, pensando quest’ultimo come «strumento per raccontare la storia» e «documento per conoscere la storia»,[12] oltre che come «sfida conoscitiva che gli storici sono in grado di affrontare vittoriosamente», in nome anche del riconoscimento della «concezione dinamica delle fonti».[13] Molto utile e da tener ben presente è la sua tripartizione che è alla base di qualsiasi approccio interpretativo della valenza storica dei film. Un’opera cinematografica parla del tempo che racconta nella narrazione con riferimento a vicende e personaggi che ha scelto di rappresentare, è così strumento per raccontare il passato; illumina il tempo in cui il film è stato creato, il contesto del tempo di realizzazione, è in questo fonte per la conoscenza storica; crea a sua volta storia, la «costruisce (…) incidendo sui comportamenti, sulle scelte, sulle abitudini di un pubblico vastissimo (…) modelli sui quali plasmare la propria quotidianità», ed è per questo agente di storia.[14]
Il cinema è così fonte e documento prezioso per lo storico e Andrea Sangiovanni, Emiliano Perra e Damiano Garofalo lo dimostrano con i loro tre saggi: il primo passa in rassegna la commistione di media diversi, in particolare la radio presente in alcune opere cinematografiche degli anni Trenta; il secondo e il terzo si soffermano sul cinema della Shoah da punti di vista diversi – Perra parte da un’esperienza del mondo britannico e Garofalo dal cinema dell’Europa dell’Est. Valentina Onesto e Bianca Maria Santi invece permettono l’analisi di opere documentarie interessanti, che rimandano a vicende internazionali – la Guerra del Vietnam e la Guerra civile spagnola –, ricostruendo in due articoli il ruolo di alcuni registi del tempo impegnati a documentare la realtà.[15] Attilio Coco invece offre un cortocircuito molto interessante tra luogo-storia-opera letteraria e opera cinematografica, fissando l’attenzione sul Museo dell’innocenza, strettamente collegato alla realtà, alla memoria e alla storia di Istanbul, nonché al suo ideatore-autore premio Nobel, Orhan Pamuk.
Ad aprire i lavori Bruno Zambardino offre un intervento di analisi su quanto realizzato negli ultimi anni nelle scuole di ogni ordine e grado in Italia in termini di approccio al cinema, grazie anche al sostegno che i due Ministeri della Cultura (MIC) e dell’Istruzione (MIM) hanno fornito anche finanziariamente ai diversi istituti scolastici. Il Piano nazionale del Cinema e Immagini per la Scuola (CIPS) punta del resto a rendere consapevole il mondo della scuola delle potenzialità offerte da un’educazione all’immagine e al cinema per formare le giovani generazioni che sono sempre più immerse nel mondo visivo sin dal momento della loro nascita. I cambiamenti in atto, ma anche la necessità di salvare un patrimonio culturale di inestimabile valore, hanno sollecitato una particolare attenzione verso il cinema come linguaggio e arte, permettendo la valorizzazione del sapere trasversale e del pensiero critico-visuale.
La riflessione oggi non può non considerare anche alcuni passaggi in atto come il digitale e la diversa fruizione cinematografica delle giovani generazioni – dallo smartphone al pc, dalle piattaforme ai social –, ma nel campo degli studi qualcosa si è fatto e sperimentato, quindi, non occorre ripartire da zero, come spesso si pensa. Lo stesso cambiamento da diversi anni sta avvenendo in sede didattica anche ad opera di molti insegnanti, che cambiano a poco a poco i «modi del proprio mestiere»,[16] perché – come scrive Bergala – «quel che è decisivo (…) non è nemmeno il ‘sapere’ dell’insegnante in materia di cinema, è il modo in cui questi si appropria del suo oggetto».[17] Si risponde così alla nota critica che sul finire degli anni Novanta Pasquale Iaccio mosse:
[…] non si capisce bene per quale ragione non si è pensato, in sede scolastica, di dotare gli alunni di un minimo di nozioni e di metodologie che li mettessero in grado di padroneggiare e decodificare il flusso sempre crescente delle immagini da cui sono sommersi quotidianamente.[18]
La varietà di sguardi offerto dal Dossier speriamo incuriosisca e aiuti a rafforzare pratiche metodologiche corrette: abbiamo prediletto il taglio inedito degli interventi e la scelta di soggetti d’indagine originali, considerando che sul tema specifico “cinema e storia” esistono già numerose monografie, studi e diversi contributi critico-storiografici.
Note:
[1] Si veda A. Tarkovskij, Scolpire il tempo. Riflessioni sul cinema, a cura di A. A. Tarkovskij, tr. it. di Vittorio Nadai, Istituto Internazionale Andrej Tarkovskij, Firenze 2015 (nuova ed.). A pag. 107 l’autore afferma: «ci si può facilmente immaginare un film senza attori, senza musica, senza scene e persino senza montaggio, ma non ci si può immaginare un’opera cinematografica senza la sensazione dello scorrere del tempo all’interno dell’inquadratura».
[2] Sulla questione interessante di M. Guerra, Il limite dello sguardo. Oltre i confini delle immagini, Raffaello Cortina editore, Milano 2020.
[3] Cfr. G. De Luna, Cinema Italia. I film che hanno fatto gli italiani, UTET, Torino 2021, p. 12, in cui lo storico sottolinea: «Fino a qualche decennio fa, la storia non aveva domande da rivolgere al cinema e agli altri media (…) oggi, il suo uso come fonte viene ritenuto invece una straordinaria opportunità».
[4] Cfr. https://www.treccani.it/enciclopedia/tempo_(Enciclopedia-del-Cinema)/
[5] Tarkovskij, 2015, p. 60.
[6] Cfr. S. Morganti, Il cinema a scuola: quale esperienza e quale metodologia? Riflessione sulla memoria della Shoah tra visibilità e invisibile, in “Novecento.org”, n.19, giugno 2023. DOI: 10.52056/9791254693872/07, in cui si anticipano alcune delle questioni qui menzionate.
[7] Cfr. A. Bergala, L’ipotesi cinema. Piccolo trattato di educazione al cinema nella scuola e non solo, Cineteca di Bologna, Bologna nuova ed. 2023.
[8] Bergala, 2023, p. 34, in cui si legge: «il vero cineasta è ‘attraversato’ da una domanda che il suo film a sua volta attraversa. È qualcuno per cui filmare non è cercare la traduzione in immagini di idee già assodate, ma qualcuno che cerca e pensa nell’atto stesso di fare il film».
[9] Bergala, 2023,, pp.23-24.
[10] M. Ferro, Cinema e storia. Linee per una ricerca, Feltrinelli, Milano, 1980, p. 101.
[11] Bergala, 2021, p. 37.
[12] De Luna, 2021, p. 12.
[13] De Luna, 2021, p. 13.
[14] De Luna, 2021, p. 13.
[15] I due interventi in particolare scegliendo punti di vista piuttosto inediti aprono su alcune considerazioni riguardanti l’importanza del documentario da analizzare come fonte e documento storico, nonché agente di storia.
[16] Bergala, 2021, p. 21.
[17] Bergala, 2021, p. 21.
[18] P. Iaccio, Cinema e storia. Percorsi, immagini, testimonianze, Liguori, Napoli, 1998, p. 15.