Firenze 1940-1944: nuovi modi di raccontare l’esperienza di una città in guerra
Raccontare la guerra
L’obiettivo del progetto espositivo sotteso alla mostra Firenze in guerra 1940-1944* è stato triplice: il primo quello di proporre un’ampia documentazione sulle trasformazioni economiche, politiche, sociali e culturali della società fiorentina in tempo di guerra[1]. La ricerca si è inserita nel quadro della storiografia recente che ha da tempo intrapreso una revisione di schemi e interpretazioni prevalse nei primi trent’anni della Repubblica, e ha privilegiato l’approccio locale per analizzare le trasformazioni della società italiana in tempo di guerra[2]. In particolare, gli studi recenti focalizzano l’attenzione sulla fase 1940-1943, finora meno studiata del biennio 1943-1945, che invece risulta centrale non solo per comprendere gli esiti e le contraddizioni della politica fascista nel Ventennio, ma anche per rileggere la fase successiva all’8 settembre 1943[3].
Un secondo obiettivo del percorso espositivo è stato quello di mettere al centro la città e i suoi spazi, per cogliere le peculiarità del caso fiorentino nel suo essere luogo di rilievo di produzione e organizzazione della cultura, al fine di individuare gli snodi più rilevanti dell’esperienza della guerra: la questione della tutela (nonché delle razzie e delle distruzioni) del patrimonio artistico; le vicende dell’antifascismo e della Resistenza fiorentina con il suo carattere di pluralità di matrici ideologiche e culturali, il ruolo del capoluogo quale area strategica di passaggio fra il Centro e il Nord Italia durante l’occupazione. Un altro tema centrale ha riguardato il modo in cui gli spazi della città siano stati attraversati dalla guerra: dalle trasformazioni urbanistiche alla questione della “città aperta”, dalla distruzione dei ponti sull’Arno ai danni causati dai bombardamenti, fino ai “giorni dell’emergenza”, in cui Firenze ha vissuto esperienze diverse da quartiere a quartiere, diventando terreno di combattimenti nei giorni che precedono la Liberazione[4].
Il terzo obiettivo – una vera e propria sfida – è stato quello di riflettere sui linguaggi di trasmissione di conoscenza di saperi storici e della memoria su temi così centrali e rilevanti, in particolare rispetto alle generazioni più giovani; di proporre una storia, delle storie della guerra a Firenze che certamente fanno i conti e discutono codici narrativi consolidati e memorie fortemente strutturate, ma che si propongono di essere almeno in parte rinnovate. Una sfida che diventa sempre più necessaria in questo nuovo tornante celebrativo, quando a 70 anni dalla conclusione degli eventi i testimoni diventano sempre meno numerosi e gli storici sono obbligati a interrogarsi sul delicato passaggio che ci aspetta – per richiamare le riflessioni di David Bidussa – dopo l’ultimo testimone[5].
I modi del racconto
Al centro della nostro lavoro quindi si è posto non solo la necessità di organizzare in modo coerente un percorso di ricerca in archivi pubblici e privati che ci ha viste impegnate per tre anni, ma anche di provare a rinnovare, almeno in parte, i modi di comunicare i risultati della ricerca compiuta. A partire da alcune questioni poste dalla Public History, che di recente ha acquistato spazio anche in Italia – da come si può vedere anche da alcuni programmi universitari ad essa dedicati[6] -, per il 70° anniversario della Resistenza e della Liberazione ci siamo interrogati sulla modalità di mediazione temi relativi al secondo conflitto mondiale in un contesto molto modificato rispetto al decennio precedente[7].
Un obiettivo rilevante è stato pertanto tentare di interessare un pubblico più ampio di quello abitualmente attento alle proposte culturali su questi temi, coinvolgendo generazioni diverse, attraverso l’utilizzo di vari dispositivi narrativi e supporti per la presentazione dei documenti (audio, video, foto di grandi dimensioni, documenti ufficiali, diari e memorie, immagini di scene di vita quotidiana tratte dall’Archivio Foto Locchi).
Firenze in guerra: un workshop
Dal punto di vista della ricerca storica, il nostro proposito è stato quello di offrire una prospettiva diversa sugli eventi relativi alla Resistenza e alla Liberazione di Firenze, in modo da aggiungere complessità e sfumature alla narrazione consolidata su questi avvenimenti ormai da 70 anni. Per questo, l’intenzione è stata quella di allargare la visione per includere l’esperienza quotidiana dei cittadini fiorentini durante la guerra. Il progetto finale, che è stato il risultato di un continuo scambio fra noi storiche, gli architetti progettisti e i responsabili del progetto multimediale, si è compiuto in una sorta di workshop, di mostra-laboratorio, innanzitutto dal punto di vista metodologico. Il nostro gruppo di lavoro ha costruito una modalità di collaborazione costante e fruttuosa, che ha prodotto un progetto interdisciplinare e condiviso, a partire da un’idea forte e dalla scelta di allestimento proposta dagli architetti Giacomo Pirazzoli e Francesco Collotti, docenti del Dipartimento di Architettura dell’Università di Firenze e da anni impegnati nella riflessione e nella progettazione di mostre e musei in Italia e all’estero[8].
Uomini e donne negli spazi della città
Il progetto espositivo si è articolato in due elementi principali: il primo è stato un muro-patchwork, ricoperto da immagini fotografiche di Firenze predisposte in ordine cronologico, in modo da costituire una sorte di “timeline” che ha sottolineato le trasformazioni della città durante gli anni di guerra. Il secondo è stato costituito dalle sagome di uomini e donne, tratte dal ricco archivio fotografico degli anni ’30 e ’40 dell’Istituto Storico della Resistenza in Toscana, selezionate per costituire una “faccia” dei pannelli che hanno riprodotto nel retro i materiali documentari, presentati in tre ampie sale, seguendo una scansione cronologica: la città della guerra, la città dell’occupazione e la città della Liberazione. Ad aprire la mostra, una sala dedicata a Firenze negli anni del fascismo, dove abbiamo presentato in un tavolo di grandi dimensioni una selezione di materiali propagandistici relativi agli anni ’30 (per lo più materiali a stampa e materiali scolastici dell’Archivio Indire), affiancati da video, che mettevano a fuoco alcune questioni: lo “spirito pubblico” e le prime fasi della guerra; la riorganizzazione della politica e della cultura per il “fronte interno”; la questione degli approvvigionamenti e della protezione antiaerea; la protezione del patrimonio artistico sono solo alcuni temi inerenti la prima fase 1940-1943.
Abbiamo infine allocato circa il 25% del nostro budget per un progetto multimediale, perfettamente integrato al percorso espositivo e presente nelle due sedi[9]. Tutto lungo il percorso sono state inserite delle postazioni multimediali che riproducevano una selezione di video dell’epoca fascista, volti ad illustrare per immagini la vita a Firenze durante i primi anni del conflitto (in particolare la visita di Mussolini e Hitler nel 1938, la mobilitazione delle industrie cittadine, la propaganda contro il nemico ecc.), e una serie di interviste a persone che hanno raccontato le loro esperienze durante gli anni del conflitto in città.
La raccolta delle memorie
Questo percorso ha visto al centro la stanza dedicata al MemorySharing (www.memorysharing.it), promosso dall’associazione Acquario della memoria e in particolare da due documentaristi e registi, Filippo Macelloni e Lorenzo Garzella. Con il MemorySharing, abbiamo chiesto ai cittadini di aprire i loro cassetti e di portarci foto e ricordi familiari, scritti inediti e privati e di raccontarci storie che hanno riguardato eventi succedutisi a Firenze fra gli anni del fascismo e la fine del conflitto. Abbiamo raccolto questi materiali nei locali della mostra, durante gli orari di apertura, dove c’era una postazione sempre attiva per la riproduzione della documentazione che ci veniva via via portata.
Oltre alla raccolta di nuova documentazione, che si è andata ad aggiungere alla ricerca archivistica condotta da noi curatrici, la seconda fase è stata quella della “condivisione”, il momento forte del progetto, e che ci ha stimolato a riflettere sui modi diversi in cui è possibile mettere a disposizione dei visitatori il nuovo materiale raccolto[10].
In questo quadro, in linea con il carattere di work in progress dell’esposizione, abbiamo promosso ad esempio la creazione di una mappa della città, nella quale, grazie all’uso della piattaforma Historypin (che globalmente consente di “geolocalizzare” immagini, su google maps) sono state aggiunte foto portate dai visitatori[11]. In tal modo la stanza dedicata al Memorysharing è divenuta nel corso dei mesi un laboratorio che si è modificato attraverso la partecipazione di un numero assai consistente di visitatori: anziani testimoni dell’epoca che hanno portato foto e materiali personali, studenti delle scuole superiori, visitatori che, mossi dall’interesse ad approfondire alcuni temi, hanno chiesto informazioni supplementari ai borsisti dell’Isrt, responsabili in loco del progetto.
La condivisione
Abbiamo così creato uno spazio per invitare i cittadini a prendere parte attiva al racconto della storia della propria città durante il conflitto, sia attraverso la partecipazione diretta alla mostra, sia attraverso il sito web, che ha organizzato e mostrato il materiale documentario in una apposita sezione dedicata (http://www.firenzeinguerra.com/storie/).
L’afflusso di pubblico è stato il risultato di una grande attenzione posta alla comunicazione dell’evento: grazie al lavoro di un piccolo ufficio stampa, sono stati utilizzati molto i social network, in particolare una pagina facebook molto seguita (https://www.facebook.com/Firenzeinguerra); a ciò si è aggiunta una “finestra” settimanale sull’edizione locale on-line del quotidiano «La Repubblica», nonché una partnership con l’emittente radiofonica Controradio del gruppo di Popolare Network. Molte testate di stampa locale e tv presenti al momento dell’inaugurazione hanno favorito la circolazione della notizia della presenza della mostra in città fuori dai circuiti delle persone interessate e vicine alle attività dell’Isrt; tutto ciò ha richiamato diverse migliaia di visitatori – fra cui un numero consistente di turisti[12].
Senza dubbio il progetto MemorySharing ha posto a noi curatrici una serie di preoccupazioni metodologiche. Con l’espansione di internet e dei social network, insieme ai canali televisivi tematici, si è diffusa l’idea che la “storia 2.0” non solo è di fatto accessibile e fruibile da un pubblico sempre più vasto, ma sia anche “fattibile” da chi ha qualcosa da raccontare attraverso la molteplicità degli strumenti offerti dal web. In questo contesto, abbiamo considerato MemorySharing non tanto un progetto in competizione con il nostro lavoro, ma anzi una vera opportunità per rinnovare il nostro linguaggio e le nostre modalità di comunicazione, ma al tempo stesso un’occasione per orientare tale processo secondo criteri rigorosi, al fine di non compromettere le regole proprie del mestiere dello storico nel trattare questa documentazione.
Voci sulla guerra
La collaborazione fra noi curatrici e i responsabili del percorso multimediale ha riguardato innanzitutto la concezione e la costruzione del percorso sonoro che abbiamo offerto ai visitatori in entrambe le sedi[13]. A Palazzo MediciRiccardi il dialogo fra professionalità diverse ha consentito di trovare alcune soluzioni originali per esporre fonti certamente non facili da trattare, come ad esempio quelle relative allo “spirito pubblico”, le note dei fiduciari del regime fascista che riportavano gli umori della popolazione in tempo di guerra[14]. Abbiamo scelto di renderle “voci” della popolazione sulla guerra, lette ad alta voce da attori, in modo da restituire un ritratto sfaccettato della società fiorentina durante gli anni del conflitto.
Emozioni durante il conflitto
Un altro obiettivo – nel quadro dell’interazione fra storia collettiva e vicissitudini individuali che volevamo presentare – è stato quello di proporre uno spettro universale di emozioni provocate dalla guerra: a tale scopo abbiamo selezionato diari, lettere e testimonianze, e creato un percorso sonoro di brani rappresentativi di quattro emozioni primarie (rabbia, paura, tristezza e speranza), in modo da aiutare l’audience a identificarsi con le storie che stavamo narrando (http://www.firenzeinguerra.com/project_post/le-emozioni-della-guerra/).
Racconti sonori dello sfollamento a Palazzo Pitti
Infine, Palazzo Pitti è stato uno straordinario scenario degli eventi dell’estate del 1944, allorché divenne un rifugio per migliaia di sfollati dalle vie del centro storico fiorentino, evacuate per ordine degli occupanti tedeschi nei giorni della ritirata, il 29 luglio 1944. Nei locali a nostra disposizione, ovvero il foyer e il teatro del Rondò di Bacco, abbiamo usato la testimonianza di Nello Baroni, architetto e docente dell’università di Firenze (fra le altre cose, ha partecipato al gruppo dell’architetto Giovanni Michelucci, progettista della stazione Santa Maria Novella del capoluogo toscano). Questi, residente nell’area del centro storico evacuata per ordine tedesco nel luglio 1944, fu costretto insieme alla sua famiglia a lasciare la sua casa e trovò rifugio, insieme ad altre migliaia di sfollati, a Palazzo Pitti. Di quei giorni l’architetto Baroni ha scattato circa un centinaio di foto e ha descritto la sua esperienza in un diario. Questa “doppia” testimonianza ha avuto un riflesso sul nostro modo di raccontare queste vicende: nel foyer del teatro, infatti, abbiamo presentato la sequenza completa, in ordine cronologico, delle fotografie dell’architetto Baroni, mentre all’interno un audiofilm ha consentito agli spettatori di immergersi negli eventi di quei giorni, grazie alle parole del diario di Baroni – recitate da un attore –, alla riproduzione di annunci alla radio e ai suoni e ai rumori della guerra: sirene, bombardamenti e passi di soldati.
L’audience di Firenze in guerra
In conclusione, è utile proporre alcune riflessioni che è possibile trarre da questo lavoro. Si è trattato di una mostra storico-documentaria di tipo tradizionale, ma la scelta di usare nuovi media e prestare un’attenzione particolare al superamento dei canali consueti di comunicazione ci ha consentito di raggiungere una diversa e più ampia audience. Alcune migliaia di persone hanno visitato la mostra– talvolta più volte – accompagnati spesso da parenti, nonni, figli, genitori, nipoti; e quando i genitori o i nonni hanno accompagnato figli e nipoti abbiamo osservato quasi un’azione pedagogica diretta alle generazioni più giovani.
Uno dei temi ricorrenti del nostro guest book è stata l’espressione di quante emozioni la visita alla mostra suscitava nel pubblico, non solo per la presenza del muro di foto, di forte impatto dal punto di vista estetico, ma anche per le installazioni sonore. In particolare l’audiofilm proposto a Palazzo Pitti, dove gli ascoltatori disponevano di mascherine per potersi immergere nel buio completo, ha permesso ai visitatori di trovarsi nell’oscurità come accadeva in tempo di guerra nei rifugi. Molte persone fra il pubblico ci hanno riferito di aver trovato talvolta l’ascolto di questi suoni di guerra assai disturbante, poiché non sempre è stato facile gestire il vissuto emotivo che suscitava.
In aggiunta alla dimensione emotiva, che è il focus delle proposte più recenti per mostre storiche e musei, l’altro filo rosso è stata la centralità del testimone, da come emerge dal successo del progetto Memorysharing.
È idea sempre più condivisa che la narrazione delle storie individuali rappresenti un regalo per la posterità. E infatti, da quando si è diffusa la convinzione che anche le storie “narrate” a Firenze in guerra sarebbero state accessibili grazie ai social network e al sito web, il flusso dei visitatori che volevano raccontare e consegnarci materiali è cresciuto in modo considerevole. Lo si è visto in modo particolare in occasione della campagna di stampa organizzata a partire da una foto della collezione Baroni raffigurante una bambina dentro i cortili di Palazzo Pitti, nel luglio 1944, al momento dello sfollamento del centro storico dei cittadini nelle settimane che precedettero la liberazione della città. Ai lettori dell’edizione fiorentina de «La Repubblica» è stato chiesto se avessero notizie o informazioni al riguardo. Una signora ha risposto al nostro appello per dirci che sua madre aveva una storia interessante da raccontarci. Questa storia è stata oggetto di una nostra intervista (http://www.firenzeinguerra.com/project_post/fiorenza-stagi/), mentre «La Repubblica» ha dedicato una pagina intera a questa vicenda (anche se con il titolo fuorviante: «Questa bambina sono io!»).
Per quanto riguarda il pubblico, la fascia di età che è stato più difficile attrarre sono stati i più giovani, e in generale la fascia di età dei 30-40enni, che non erano legati alla generazione che ha vissuto gli eventi di guerra. Per riuscire ad intercettarli forse avrebbe aiutato un periodo di apertura più lungo: accanto all’utilizzo dei social network, ha svolto un ruolo importante la stampa cartacea e, in una città di medie dimensioni come Firenze, anche il passaparola; nondimeno l’uso di nuovi media ha certamente contribuito a rendere più apprezzabile l’esperienza di “vivere” Firenze in guerra da parte di gruppi appartenenti a diverse fasce generazionali.
Note
* Discuto qui il lavoro di ricerca e cura (svolto con Francesca Cavarocchi) della mostra Firenze in guerra 1940-1944, promossa dall’Istituto storico della Resistenza in Toscana per il 70° della Resistenza e della Liberazione, allestita nel capoluogo toscano in due sedi, a Palazzo-Medici Riccardi e nel foyer del teatro del Rondò di Bacco di Palazzo Pitti (ottobre 2014-gennaio 2015). Una sua versione più compatta negli spazi e nei contenuti ha riaperto da aprile a giugno 2015. Ho presentato una versione di questo intervento (Memory sharing and the new Media in Exhibiting Florence 1940-1944) al Workshop internazionale Public History and the Media, febbraio 2015, Dipartimento di storia e civiltà, Istituto Universitario Europeo di Fiesole. Ringrazio i colleghi presenti e in particolare Serge Noiret – fra i promotori dell’incontro – per la discussione e gli scambi utili e fruttuosi.
[1] Cfr. il sito www.firenzeinguerra.com a cui sono stati aggiunti nel corso dell’apertura della mostra nuovi materiali provenienti dal progetto Memorysharing. Il catalogo della mostra è F. Cavarocchi, V. Galimi (a cura di), Firenze in guerra. Catalogo della mostra storico-documentaria (Palazzo Medici Riccardi, ottobre 2014-gennaio 2015), Firenze, Firenze University Press, 2014 (link http://www.fupress.com/catalogo/firenze-in-guerra-1940-1944/2856).
[2] Cfr. il panel coordinato da Valeria Galimi e Francesca Cavarocchi, La società italiana al tempo di guerra ai Cantieri di storia della Sissco, Forlì, 2011 (con interventi di Alessio Gagliardi, Tommaso Baris, Dianella Gagliani), e i lavori della giornata di studio organizzata dall’Isrt, Città in guerra 1940-1943 (Firenze, febbraio 2012), occasioni nelle quali il caso di Firenze è stato messo a confronto e discusso in una prospettiva nazionale. Per un bilancio della storiografia recente sulla guerra fascista (1940-1943) si veda il contributo di Gianluca Fiocco, Guerra fascista e guerra italiana (1943-1945), nel numero speciale, a cura di L. Rapone, di «Studi storici», I, 2014, pp. 271-285.
[3] Sul tornante rappresentato dal 1943 si vedano i contributi recenti raccolti nei volumi a cura dell’Istituto Nazionale per la storia del movimento di Liberazione: Monica Fioravanzo e Carlo Fumian (a cura di), 1943. Strategie militari, collaborazionismi, Resistenze; Francesco Soverina (a cura di), 1943. Mediterraneo e Mezzogiorno d’Italia; Luca Alessandrini e Matteo Pasetti (a cura di), 1943. Guerra e società, pubblicati da Viella nel 2015.
[4] Cfr. Bibliografia orientativa, in F. Cavarocchi-V. Galimi (a cura di), Firenze in guerra 1940-1944 cit., pp. 227-231.
[5] D. Bidussa, Dopo l’ultimo testimone, Einaudi, Torino, 2009.
[6] La bibliografia sulla Public History è molto ampia; mi limito a segnalare S. Noiret, «Public History» e «storia pubblica» nella rete, «Ricerche storiche», XXXIX/2-3 (2009), pp. 275-327 e la rivista on-line Public History Weekly (http://public-history-weekly.oldenbourg-verlag.de). Si veda anche il numero di «Zapruder», Di chi è la storia. Narrazioni pubbliche del passato, n. 36, gennaio-aprile 2015.
[7] Per un primo bilancio della storiografia in occasione del 70° si vedano i contributi di Philip Cooke e Luca Baldissara, inclusi nella sezione Attorno alla storiografia della Resistenza nel suo Settantesimo, «Italia contemporanea», n. 277, aprile 2015, pp. 121-156. Cfr. anche Philip Cooke, L’eredità della Resistenza. Storia, cultura, politiche dal dopoguerra a oggi, Roma, Viella, 2015.
[8] Si veda V. Galimi, A. Minerbi, L. Picciotto, M. Sarfatti (a cura di), Dalle leggi antiebraiche alla Shoah. Sette anni di storia italiana 1938-1945, Milano, Skirà, 2004, catalogo della mostra storico-documentaria, Roma, Complesso del Vittoriano, ottobre 2004-gennaio 2005, progetto espositivo F. Collotti-G. Pirazzoli; cfr. anche http://www.gpspace.org e http://www.fc-site.com
[9] La mostra è stata resa possibile grazie al sostegno delle amministrazioni locali, in particolare la Regione Toscana e la Provincia di Firenze. Il budget a disposizione, pur impegnando molto l’Isrt, è stato nettamente inferiore a quelli a disposizione soprattutto all’estero per mostre storico-documentarie con sezioni multimediali.
[10] Sui laboratori didattici rinvio a C. Albanese, Un’esperienza di didattica laboratoriale: la mostra Firenze in guerra 1940-1944.
[11] http://www.firenzeinguerra.com/mappa/ Si veda anche https://www.historypin.org. In merito cfr. le osservazioni Serge Noiret, Digital Public History Narratives with», Public History Weekly, 22 ottobre 2015 (http://public-history-weekly.oldenbourg-verlag.de/3-2015-31/digital-public-history-narratives-with-photographs/) che tratta anche del progetto di Firenze in guerra.
[12] http://www.firenzeinguerra.com/stampa.
[13] Si rinvia a Raccontare storie, riprendersi la storia. “Firenze in guerra 1940-1944”, intervista a V. Galimi e F. Macelloni, novembre 2014 (http://www.lavoroculturale.org/firenze-in-guerra-1940-1944).
[14] Cfr. in merito V. Galimi, La città di fronte alla guerra: lo “spirito pubblico” a Firenze, in F. Cavarocchi, V. Galimi (a cura di), Firenze in guerra 1940-1944 cit., pp. 21-26.