Giocare la Storia: potenzialità e criticità. Twilight Struggle e il problema del “what if”
Twilight Struggle: Optional Space Race Track. Foto tratta dal profilo Flickr di yoppy
(Il saggio nasce da una riflessione dell’autore alla conferenza AIPH di Ravenna del 2017, nell’ambito del panel “La storia in gioco”, realizzato dall’Associazione PopHistory)
Abbiamo provato a confrontare due giochi da tavolo sulla Guerra fredda per valutarne le potenzialità didattiche e le problematiche dal punto di vista di Public History: Twilight Struggle (2005) e Wir Sind Das Volk (2015) [1]. Quest’ultimo è un gioco da tavolo per due persone ambientato nel periodo che va tra la fine della Seconda Guerra Mondiale e la caduta del Muro di Berlino. Da un lato c’è la Germania Ovest e dall’altro c’è la Germania Est. Due blocchi, due economie, due ideologie e un solo popolo diviso; il gioco è ricco di finezze storiche a partire, ad esempio, dalle frasi che si compongono man mano che le proteste si diffondono. Wir Sind Das Volk (2015) significa noi siamo il popolo, lo slogan che imperava oltre cortina. Ad Ovest invece appare il titolo di una canzone del genere punk molto in voga tra i giovani della Germania Occidentale[2].
Twilight Struggle: oltre il semplice war game
Twilight Struggle (2005) è caratterizzato da un’accurata ricostruzione storica, nella quale i due giocatori rivestono i panni delle superpotenze Usa e Urss durante la Guerra Fredda. Siamo in presenza di un gioco di simulazione che miscela la meccanica del gioco da tavolo (board game), la cui plancia riproduce una carta geopolitica del mondo, con quella del gioco di carte (card-driven), dove rivestono un ruolo importante le carte evento, in grado di produrre effetti multipli e combinati in diversi ambiti del gioco. La sua dinamica va oltre il semplice gioco di guerra (war game) perché simula diversi aspetti del periodo storico dalla diplomazia all’evoluzione tecnologica, dal ruolo dell’intelligence a quello dell’ideologia, sino all’equilibro del terrore nucleare rappresentato dall’andamento del DEFCON cioè della tensione nucleare fino ad un punto di non ritorno (la distruzione del pianeta) che comporta la sconfitta di tutti i giocatori. Questo sistema, oltre ad essere uno dei motori narrativi del gioco, obbliga i giocatori a non limitarsi a una strategia volta alla vittoria totale ma anche a collaborare con l’avversario per scongiurare l’olocausto nucleare facendosi guidare dal dialogo e da un confronto tra i costi e i benefici di lungo periodo. È soprattutto questo aspetto a rendere bene il clima e le contraddizioni della Guerra Fredda.
Veicolare la conoscenza dei contenuti storici
Le carte evento sono il veicolo che gli autori di Twilight Struggle hanno utilizzato per veicolare la conoscenza dei contenuti storici, evocando con precisione alcuni eventi della guerra fredda (si va dal Piano Marshall al Movimento Pacifista, dalla Guerra di Corea – che può avvenire una sola volta nel gioco – a quella tra Israele e Palestina – che giustamente può essere giocata quante volte si vuole). Ogni evento ha un’applicazione in termini di gioco estremamente precisa rispetto a ciò che significò dal punto di vista storico, ma perfettamente integrata e funzionale nelle meccaniche.
Il ruolo dei movimenti della massa: marginale o centrale?
Questo fattore aumenta notevolmente il coinvolgimento, tenendo anche conto del fatto che la maggior parte degli eventi sono stati vissuti dai giocatori stessi. Il gioco ha un approccio macrostorico, riproduce lo spirito dello scontro politico Usa-Urss anche attraverso delle sottomeccaniche quali, oltre al pericolo nucleare, la corsa alla conquista dello spazio, l’organizzazione di colpi di stato e altre intuizioni molto interessanti. Viene invece mantenuto sullo sfondo il ruolo dei movimenti di popolo, che sono uno dei perni intorno al quale ruota al contrario Wir Sind Das Volk. Uscito dieci anni dopo, nel 2015, il gioco riprende alcuni moderni orientamenti della storiografia, sempre più attenta al ruolo delle masse negli avvenimenti politici[3].
What if? Problema o opportunità
Narrazione passiva: il romanzo storico
Il gioco è una forma di narrazione che, però, si fruisce in maniera diversa da quello che avviene con un libro. Un lettore tradizionale si può definire passivo, nel senso che legge la storia che l’autore ha scritto e non può intervenire sul testo. Subisce la storia, la vive, soffre per essa, la può interpretare ma non può modificarla[4]. In un romanzo “il testo raggiunge tutta la sua capacità di significare solamente attraverso la lettura[5]”; la lettura avviene, di solito, in solitudine e in silenzio, si tratta di un’esperienza che il lettore vive con se stesso: Nella lettura efficace si crea dunque una relazione forte tra lettore e libro, nella quale il lettore non domina le pagine, ma piuttosto vi si muove all’interno: “il vero libro non è quello che si legge, ma quello che ci legge[6].” Esistono libri interattivi, come i Librogame che permettono al lettore di operare scelte ma, appunto, sono libri con una componente ludica, non romanzi in senso stretto. Anche il cinema e il teatro sono forme di narrazione che, semplificando al massimo, hanno un’analoga fruizione passiva da parte dello spettatore[7].
Narrazione attiva: il gioco e la “possibilità di vincere”
Il gioco, al contrario, è una forma di narrazione attiva dove i giocatori partecipano al flusso della storia e la loro condotta influisce sul risultato del gioco. In un gioco, i partecipanti devono poter vincere e, soprattutto, quando si pone loro davanti un ostacolo devono avere una reale possibilità di superarlo. Altrimenti il gioco non funziona, diventa una recita a copione che snatura la natura dell’esperienza ludica. Questa caratteristica ha una importante conseguenza quando si progetta un gioco di ambientazione storica: occorre che i partecipanti abbiano la facoltà di cambiare il corso degli eventi. Una rievocazione della battaglia di Waterloo, ad esempio, non potrebbe finire mai con la vittoria di Napoleone, perché altrimenti perderebbe ogni credibilità storica. Al contrario, in un Wargame – cioè un gioco strategico – sulla battaglia di Waterloo, chi vorrebbe impersonare i Francesi se non avesse la possibilità di vincere? Chi impersonerebbe i Sovietici nella Guerra Fredda in un gioco come Twilight Struggle, se non potesse trionfare? Allo stesso modo è necessario che i giocatori possano perdere, anche se impersonano i vincitori, perché altrimenti si tratterebbe di un gioco davvero poco affascinante.
La storia controfattuale: un esercizio utile per insegnanti e studenti?
Il gioco a sfondo storico, quindi, ha insita nel proprio DNA la possibilità di creare delle cesure nella narrazione reale dei fatti (i cosiddetti what if?, cioè la domanda cosa sarebbe successo se?) e di costruire delle ucronie, cioè delle storie parallele. Cosa sarebbe successo se qualcuno avesse apprezzato i quadri di Adolf Hitler? Questa domanda provocatoria è stata posta da Rebecca Onion, giornalista culturale di The Boston Globe in un articolo pubblicato nel 2015 sulla rivista Aeon. Nell’articolo, Onion nota come gli storici guardino con sospetto alla cosiddetta Counterfactual history, cioè la storia basata sulla domanda cosa sarebbe successo se? Queste ricostruzioni storiche non tengono conto delle fonti e, una volta accettato il presupposto si muovono in un terreno nuovo e diverso da quello al quale si accede attraverso il metodo storico. Nonostante questi presupposti, però, alcuni storici cominciano a considerare utile la Counterfactual history per gli studenti e i lettori perché permette interessanti speculazioni sul metodo storico e creano empatia verso la storia. Interessante a questo proposito il blog http://thecounterfactualhistoryreview.blogspot.it/ dello storico Gavriel Rosenfeld dell’Università del Connecticut[8]. Per contro uno storico come Richard J Evans (Università di Cambridge) ha pubblicato un articolo del 2014 dal titolo eloquente: What if’ is a waste of time (Il What if è una perdita di tempo) dove si pone la domanda “Perché siamo così inclini nel 21esimo secolo ad avvicinarsi alla storia in questo modo?” Una possibile risposta è che “viviamo in un’era postmoderna in cui l’idea del progresso è in gran parte scomparsa, da sostituire da incertezza e dubbio e dove le nozioni lineari del tempo sono diventate offuscate oppure Perché la verità e la finzione non sembrano più simili opposti polari come una volta”. La sua risposta è piuttosto scettica: “Occorrerebbe cominciare a cercare di comprendere il motivo per cui è avvenuta la prima guerra mondiale, non desiderare che non fosse avvenuta”[9].
L’importanza di “giocare dalla parte sbagliata”
Il what if? è uno strumento narrativo potentissimo, anzi è uno degli strumenti che muove ogni narrazione[10]. Per questo motivo è a mio avviso impossibile rinunciarvi e quindi occorre capire come si concilia questa caratteristica, per certi versi eversiva per uno storico, con la Public History. Credo che permettere ai giocatori di impersonare la fazione che nel mondo reale è uscita sconfitta da un avvenimento storico abbia una grande potenza narrativa perché consente loro di porsi delle domande. Soprattutto, il what-if mette in discussione la catena degli eventi che spesso viene data per scontata nella narrazione storica. È sufficiente, ad esempio, giocare il Patto di Varsavia in Twilight Struggle per rendersi conto quanto non fosse scontato, nel pieno della Guerra Fredda il suo esito e di come una serie di meccanismi storici e casualità hanno portato al risultato finale del conflitto. Questa consapevolezza conduce alla curiosità di approfondire quegli eventi il cui esito ha così tanto influito sull’evolversi della contesa. Consente, inoltre, di porsi nei panni del nemico o comunque della parte che la storia ha sconfitto e che, spesso, la propaganda del vincitore ha demonizzato. Provare interesse per le motivazioni, i sentimenti e gli obiettivi degli sconfitti – anche coloro che consideriamo più malvagi – è utile a capire come nello studio della storia nulla vada dato per scontato e come spesso l’appartenenza a un campo o all’altro è frutto di fattori non tutti controllabili.
Uscire dalla finzione e consolidare le conoscenze
Questi risultati si ottengono solo se viene effettuato un accurato debriefing. Si tratta di un momento fondamentale del gioco come strumento di insegnamento della storia cioè il momento di dialogo tra storico e pubblico che dovrebbe seguire sempre una sessione di gioco che abbia un fine didattico. È in questa fase che l’insegnante incontra i giocatori e con loro discute e analizza ciò che è accaduto durante la partita per attribuire a ciascun avvenimento un significato storico preciso. In questa fase si esce dalla finzione del gioco che viene utilizzato come esperienza utile a consolidare conoscenze[11].
Note:
[1] La Repubblica, Play la rivincita del gioco da tavolo 29.03.2016, http://www.repubblica.it/tecnologia/prodotti/2016/03/29/news/giochi_da_tavolo_e_boom_per_l_analogico-136478296/ (consultato il 25.07.2016). https://www.goblins.net/recensioni/twilight-struggle (consultato 6.5.2017)
[2] http://www.giochiegiocatori.it/2015/01/12/wir-sind-das-volk-recensione-ed-unboxing/ (consultato 25.07.2016)
[3] Su questo tema vedi ad esempio: Franca Bonichi, I “molti” in politica: le masse, in Societàmutamentopolitica, vol. 3, n. 6, pp. 155-189, 2012 che riporta una nutrita bibliografia.
[4] G. Alessandri, Dal Desktop a Second Life, Perugia 2008, pp. 223-224
[5] A. Spadaro, Abitare nella possibilità. L’esperienza della letteratura, Milano 2008, p. 162
[6] A. Spadaro, A che cosa «serve» la letteratura? in AA.VV, A che cosa «serve» la letteratura? Atti del Convegno, Reggio Calabria, 20-21 febbraio 2004, a cura dell’Associazione culturale “Pietre di scarto”, Reggio Calabria 2004, p. 71
[7] P. Bertetto, La Macchina del Cinema, Laterza, Bari-Roma 2010, p. 20.
[8] https://aeon.co/essays/what-if-historians-started-taking-the-what-if-seriously (consultato il 1.6.2017)
[9] Richard J Evans, What if’ is a waste of time, The Guardian History https://www.theguardian.com/books/2014/mar/13/counterfactual-history-what-if-waste-of-time (consultato il 1.5.2017)
[10] http://pennablu.it/architettura-narrativa/ (consultato il 1 maggio 2017)
[11] Su questo tema vedi ad esempio Elena Musci, Il laboratorio con i giochi di storia, in Paolo Bernardi, Francesco Monducci (a c. di), Insegnare storia, Guida didattica al laboratorio storico, Utet, Torino 2012. Si può vedere anche John L. Taylor, Rex Walford, (1972) I giochi di simulazione per l’apprendimento e l’addestramento, Mondadori, Milano 1979.