Il Museo audiovisivo della Resistenza tra storia, memoria e avanguardia
Foto dell’esposizione del Museo tratta dal sito web istituzionale https://www.museodellaresistenza.it/home/.
Abstract
L’articolo descrive e analizza il Museo audiovisivo della Resistenza, che si trova a Fosdinovo (MS), in prossimità della Linea gotica: non un luogo di vecchi e polverosi cimeli, ma di conservazione ed elaborazione della memoria storica. Il Museo è infatti costituito da una moderna installazione audiovisiva e da supporti multimediali, che consentono organici percorsi di indagine storica e di approfondimento didattico sui temi della Resistenza e della costruzione della democrazia in Italia. L’asse portante del Museo è rappresentato dalla fusione di un’antica tradizione orale con le più moderne tecnologie audiovisive. È uno dei primi musei di narrazione realizzato in Italia, considerato un capostipite perché da esso molti altri musei hanno tratto ispirazione negli anni successivi.
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The article describes and analyses the Museo audiovisivo della Resistenza (Audiovisual Museum of the Resistance), located in Fosdinovo (MS), close to the Gothic Line: not a place of old and dusty relics, but of preservation and elaboration of historical memory. The Museum is in fact made up of a modern audiovisual installation and multimedia supports, which allow organic paths of historical investigation and didactic in-depth study on the themes of the Resistance and the construction of democracy in Italy. The backbone of the Museum is represented by the fusion of an ancient oral tradition with the most modern audiovisual technologies. It is one of the first narrative museums created in Italy, considered a progenitor because many other museums were inspired by it in subsequent years.
Fra i castagni dell’Appennino, a Fosdinovo, in Lunigiana, c’è un gioiello: il Museo audiovisivo della Resistenza, inaugurato nel 2000. Un museo che non espone oggetti, ma mette in mostra persone,[1] volti, narrazioni, storie di una Resistenza intesa non solo in senso militare, come lotta armata contro i tedeschi e i fascisti, ma nella più ampia accezione di lotta contro la guerra e per la vita, in condizioni difficilissime.
La sua storia
Il museo è ospitato in un’ex colonia per figli di operai, realizzata nel dopoguerra dai partigiani della Brigata Garibaldi “Ugo Muccini”. Nel 1948 infatti, su una proprietà ceduta da un privato al Comune di Sarzana, fu edificata, con il lavoro volontario di ex partigiani e di cittadini, una colonia montana estiva che dal periodo dell’immediato dopoguerra fino all’estate del 1971 ha ospitato migliaia di bambini. In seguito, per la mancanza di adeguata manutenzione, l’edificio andò incontro a un grave deterioramento. Nel 1994, per iniziativa dell’ANPI di Sarzana in accordo con l’amministrazione comunale, si è deciso di destinarlo a Museo della Resistenza delle province della Spezia e di Massa Carrara, decorate con la medaglia d’oro al Valore Militare per il contributo dato dalle popolazioni alla lotta di liberazione.
Così l’antica colonia si è trasformata in un monumento alla Resistenza e ai suoi ideali in una zona che è stata teatro di violenti scontri tra partigiani, tedeschi e fascisti e che ha subito distruzioni e stragi di popolazioni inermi, di cui ricorrono in questi mesi gli ottanta anni.
A desiderare fortemente, costantemente e caparbiamente questo museo è stato Paolino Ranieri, importante capo partigiano della zona, dirigente del partito comunista e a lungo sindaco di Sarzana.
La struttura edilizia è stata completata nel 1999 ed il Museo è stato inaugurato il 2 giugno 2000[2].
La genesi del Museo audiovisivo della Resistenza
Il museo è stato progettato da Studio Azzurro di Milano (https://www.studioazzurro.com) con la consulenza scientifica di Giovanni Contini per quanto riguarda la storia orale, di Francesca Pelini e Paolo Pezzino per la Resistenza lungo la linea gotica e le stragi di civili. È gestito dall’Associazione Archivi della Resistenza – Circolo Edoardo Bassignani, formata da un collettivo di ricerca che riunisce diverse generazioni: dai ricercatori e insegnanti ai professionisti nel campo degli audiovisivi e delle produzioni musicali, dai militanti di base dell’associazionismo antifascista fino agli studenti delle scuole superiori e universitari. Fin dalla sua nascita, l’associazione si è posta come obiettivo fondamentale quello della divulgazione del materiale raccolto utilizzando diversi canali, come ad esempio la realizzazione di film-intervista e documentari; una particolare attenzione è stata data alla realizzazione di iniziative culturali.
La responsabile del Museo e delle attività didattiche è Simona Mussini.
Il museo audiovisivo della Resistenza conta tra i suoi soci due province (Massa Carrara e La Spezia), dieci comuni (Massa, Carrara, Fosdinovo, Sarzana, La Spezia, Lerici, Castelnuovo Magra, Arcola, Ortonovo e Tresana), l’Istituto Spezzino per la Storia della Resistenza e dell’Età Contemporanea, l’Istituto Storico della Resistenza Apuana e le ANPI delle due province e di ogni comune socio, il Comitato Provinciale Unitario della Resistenza della Spezia e la SPI CGIL della Liguria e della Toscana.
Il Comitato Scientifico dell’Associazione, già presieduto dal Prof. Paolo Pezzino (già Università di Pisa, attualmente Presidente dell’Istituto Nazionale Ferruccio Parri), rinnovato di recente, è composto da: Paolo Pezzino, Giovanni Contini, Maurizio Fiorillo, Luca Madrignani, Andrea Ventura, Anna Rosa Vatteroni e Paolo Ranieri.
I documenti visivi sono stato forniti dall’archivio audiovisivo del movimento operaio, quelli fotografici dall’Istituto storico della Resistenza di La Spezia, dalle ANPI di Carrara, di Massa e di Sarzana.
La filosofia del Museo audiovisivo della Resistenza
Nello statuto si legge:
Il Museo ha lo scopo di promuovere quotidiana testimonianza dei valori di libertà, democrazia e giustizia sociale che hanno ispirato la Resistenza e che stanno alla base della Costituzione della Repubblica italiana […] gli scopi del Museo sono perseguiti attraverso l’attivazione di percorsi didattico-culturali, d’indagine e di approfondimento storico della Resistenza caratterizzati dalla scientificità dei contenuti quale conseguenza della collaborazione continuativa con istituti scolastici ed universitari, con istituti storici e associazioni culturali. L’Associazione favorisce l’arricchimento culturale e storico delle giovani generazioni.[3]
Così dichiara Paolo Pezzino, intervistato in occasione della scrittura di questo testo:
È stata una scelta avveniristica: creare un museo completamente senza oggetti, affidandone la realizzazione a un gruppo di video artisti. Questo ha comunque garantito la validità scientifica dei contenuti. Tuttora, a quasi 25 anni di distanza, il Museo riesce ancora ad emozionare soprattutto attraverso i volti dei testimoni, che sono i primi a venirti incontro quando entri nella stanza buia della installazione. Il nostro sforzo è stato quello di riuscire a trasmettere la varietà e la differenza di interpretazioni storiografiche attraverso un montaggio molto attento di spezzoni di testimonianze (si veda ad esempio la diversa posizione rispetto al tema delle rappresaglie tedesche da parte di Paolino Ranieri, commissario politico di una formazione garibaldina, e di Pietro del Giudice, comandante della formazione autonoma patrioti apuani). In linea di massima, credo che siamo riusciti, e il museo non solo produce emozioni, ma anche restituisce interpretazioni critiche di quella storia.
La scelta di un più moderno codice per comunicare la storia ha determinato l’unicità a livello nazionale del Museo audiovisivo della Resistenza di Fosdinovo e contemporaneamente sottolinea la necessità primaria di parlare con le più giovani generazioni attraverso strumenti interattivi che facilitino la ricezione di un periodo storico così importante e fondamentale per la nascita della nostra democrazia. L’allestimento utilizza le tecnologie digitali, proiettori, libri interattivi, interviste, video, mappe: tutto progettato per catturare l’attenzione di bambini, giovani e adulti e rendere ogni visita accattivante e dinamica, portando la conoscenza e l’esperienza su un piano multisensoriale.
Grazie a questa tipologia di museo, la più classica delle visite si trasforma in un’esperienza che genera emozioni e quindi stimola la curiosità e la passione per la conoscenza.
L’installazione
Attorno a un tavolo si sono decisi i destini di uomini, su di un tavolo si è sviluppato e scritto della cultura dell’umanità; la convivialità nata da un incontro a un tavolo ha fatto nascere – oltre naturalmente a ottima cucina – anche forti passioni e violenti conflitti; ci si riunisce infine a un tavolo per ricordare; ci si appoggia sopra a un tavolo con un libro per leggere testi e anche per vedere immagini. Sfiorando con un gesto la superficie dei libri interattivi posati sul tavolo, con un sol movimento e in sintonia con le immagini proiettate sui modelli di libri e raccoglitori che il tavolo espone, i volti degli uomini e delle donne sullo schermo si animano: e, attraverso le rughe, il candore dei capelli, i segni del tempo e dell’età, ci narrano di altre storie ancora, parallele e simultanee a quelle che stiamo udendo e che vengono completate da immagini storiche di repertorio proiettate sul tavolo.
Tante storie, tanti volti, tante immagini che possono essere visionate in una sequenza o random dal pubblico, per il quale costituiscono una sorta di narrazione corale, un racconto collettivo. Nel Museo convivono dunque antiche forme narrative, come la tradizione del racconto orale, e nuove tecnologie, come videoproiezioni sincronizzate e interattive.
Le testimonianze
Vite, volti, tragedie e speranze, miserie e virtù: il Museo della Resistenza a Fosdinovo a questo aspira, ripercorrere le tappe di quella storia lasciando che siano i testimoni a narrare le loro vicende individuali, senza rinunciare a dare conto della complessità di quegli eventi e dei vari punti di vista che su di essi si confrontano.
La memoria della Resistenza non è solo dei partigiani, ma anche dei contadini, dei deportati, degli internati, delle donne, dei sacerdoti, delle vittime delle rappresaglie, della popolazione tutta in lotta per la sopravvivenza. Non solo quindi la Resistenza armata e l’opposizione politica contro i tedeschi occupanti e i loro alleati fascisti, ma anche la Resistenza delle popolazioni civili contro la guerra, i bombardamenti, la fame, le stragi. Il Museo propone un percorso che unisce alla narrazione di momenti tragici, ma decisivi per la libertà e la democrazia dell’Italia, le immagini che di quegli eventi ci sono rimaste: esso costituisce un luogo dove la memoria dei testimoni incontra il visitatore, invitandolo a interagire con racconti, fotografie, filmati.
I testimoni (diciotto in totale e tutti residenti nelle province di Massa e La Spezia) sviluppano un racconto corale della Resistenza. Le testimonianze dei protagonisti sono state organizzate per nuclei tematici, e seguono un calendario degli eventi più significativi, collocabili nel contesto locale e nazionale: dall’ascesa del Fascismo alla Liberazione; dal dramma della sopravvivenza in guerra alla Resistenza civile e armata di uomini e donne, passando per la realtà della deportazione politica e militare.
Ci sono i contadini, investiti improvvisamente dalla responsabilità di sfamare, con le loro povere terre, non solo le proprie famiglie, ma anche i partigiani:
noi abbiamo dato da mangiare a tutto l’universo, sono passati americani, francesi, tedeschi, tutti (…) Avevamo un piccolo mulino e mia madre era addetta a far da mangiare. ‘Sai oggi ho messo su i testi diciassette volte!’ Scaldava i testi per fare da mangiare (Giovanni Tognarelli, contadino di Zeri).
Nonostante la solidarietà, il pericolo era sempre incombente, e lutti e distruzioni ricorrenti rimandano alla minacciosa presenza dei fascisti, alla spietata occupazione tedesca, all’incubo dei rastrellamenti:
Il guaio nostro è che quando i partigiani dovevano ritirarsi arrivavano i tedeschi e i fascisti, ci portavano via anche loro la roba che avevamo in casa. Eravamo in mezzo ai due fuochi […] La prima volta sono venuti il 3, 4 agosto del ’44. Hanno bruciato il paese di Godano […] Noi siamo scappati, siamo andati nei boschi di fronte, abbiamo assistito, vecchi, giovani, bambini, andati nel bosco, nascosti…bruciato tutto: Godano, quasi tutte le case, chiesa, tutto. […] I morti sono stati l’11 novembre, la puntata dell’11 novembre, che hanno cominciato a bruciare Scogna […] Più drammatico è stato il 20 gennaio, quando è stato quel grande rastrellamento, che poi è stato l’ultimo, nel ’45 […] Come arrivavano nei paesi, piccole frazioni come eravamo noi, ammazzavano, bruciavano e via, prendevano quello che gli serviva e via, maltrattavano gente, prendevano questa gente (Carlo Tareni, contadino di Sesta Godano).
Morte e distruzione sono esperienze comuni per le popolazioni a ridosso della Linea Gotica, e a volte si concretizzano in stragi di proporzioni spaventose, innestate dalla «guerra ai civili»[4] che i tedeschi combattono come momento della lotta alle bande di «ribelli». Si tratta di una politica del terrore voluta dagli alti comandi, come ricorda Pietro Del Giudice, comandante dei «Patrioti Apuani».
Nelle storie si coglie il tentativo di comunicare l’indicibile, di trasmettere oggi l’orrore provato allora, raccontando, in tono piano e apparentemente distaccato, con particolari di una violenza inaudita, le tragedie vissute:
C’era un ometto, basso come me […] era sotto un piccolo riparo di una grotta […] Io con la coda dell’occhio lo guardavo così, ho visto che c’aveva una bacchettina in mano così, no. Dico: ‘Quello deve essere il comandante che dà il via al plotone d’esecuzione’. Detto e fatto. Quando ha alzato la bacchettina, mi sono buttato giù, ho fatto la capriola, sono andato addosso a qualche morto, ce n’era già qualcuno giù. Allora lì sono stato fermo, fermo, basta, finito. Dopo ogni plotone, ogni squadra che veniva giù, fucilati, fucilati… (Franco Del Sarto, partigiano di Forno).
Hanno cominciato a sparare, hanno buttato una bomba, l’ho vista proprio tirare la bomba dalla finestra, l’ho vista io. E m’hanno preso un piede, ho fatto per chinarmi perché ho sentito il dolore, m’hanno preso qui (indica il braccio) con una pallottola […] lì hanno ammazzato la mamma, la sorella, ferita io e un’altra sorella, un’altra signora che si trovava lì […] Avevamo avuto paura, non si parlava più. Poi con tutta questa roba che veniva giù, c’avevo sete, non potevo parlare, mi ricordo che ho preso un lenzuolo, l’ho strappato per pulirmi la bocca. Quello che era alla finestra ha detto: ‘Andiamo sono tutti morti’. L’ho sentito con le mie orecchie, questo non me lo dimentico più! Finché non muoio! Ma era un italiano! (Alessandra Pavoli, contadina di Bergiola Foscalina).
Le stragi colpiscono indifferentemente donne, vecchi e bambini, creano contrasti fra le popolazioni ed i partigiani, innestano un dibattito all’interno dello stesso movimento partigiano:
Si dice, qui da noi, che la responsabilità [sia dei partigiani] a Bergiola sì, ma perché voi alla Foce avete sparato ai tedeschi e loro hanno fatto la rappresaglia. Che non è vero, perché è vero che abbiamo sparato, ma è stato ammazzato un tedesco, e lassù ne hanno ammazzato un’ottantina [di civili] Non si fucila per rappresaglia un bimbo di sei mesi, o sua madre, che ha 20 anni (Lino Rovetti, partigiano di Carrara).
Facciamo subito uno statuto della nuova formazione (…) in cui la difesa della popolazione va al primo posto di tutta la nostra attività: non si può combattere dove la popolazione porta le conseguenze eventuali del combattimento (Pietro Del Giudice).
Noi per fare un’azione militare, per colpire […] le forze tedesche o fasciste bisognava che andassimo su quel ponte, che aspettassimo che passi quel treno, ed avremmo buttato giù le bombe. Se noi ci fossimo preoccupati che intorno o vicino questo ponte c’erano delle case, vivevano delle famiglie che potevano subire la rappresaglia, questa azione non l’avremmo fatta (Paolino Ranieri, partigiano di Sarzana).
L’esperienza dei partigiani del resto è varia, e le storie riescono a rendere conto di quello che Giuseppe Antonini, partigiano di Viareggio, definisce: «un grande fatto unitario, ma nella diversità».
E non c’è solo la resistenza armata, ci sono anche gli IMI. Orlando Lecchini, ufficiale dell’esercito internato in Germania, dopo l’8 settembre, si rifiuta di scambiare la propria libertà con l’adesione alla Repubblica sociale, nonostante le durissime condizioni della prigionia:
Vennero almeno tre volte, vennero prima in Polonia e due volte nei campi tedeschi […] Va detto che qualcuno aderì proprio perché non ce la faceva più nella speranza di avere una razione […] Quindi l’adesione fu anche per necessità, qualcuno non se l’è sentita più, la fame voleva dire un giorno o l’altro tocca a me andarmene, qualcuno aderì proprio nella speranza di tornare in Italia.
Nella lotta armata confluiscono «vecchi» antifascisti, condannati dal Tribunale Speciale fascista, e quelli della nuova generazione, uomini ma anche donne, come Laura Seghettini, comunista, vicecommissario della 12ª Brigata Garibaldi «Fermo Ognibene»[5].
Per altre donne, come Anna Maria Vignolini, l’8 settembre è l’inizio di un percorso che la porterà ad operare in stretto contatto con le formazioni partigiane. L’armistizio segna la vita anche di Bianca Paganini, di La Spezia, per la quale il ritorno a casa dopo l’8 settembre del fratello, ufficiale degli alpini, ed il suo impegno antifascista, supportato da lei e dalla sorella, è stata la causa della deportazione a Ravensbruck, esperienza sconvolgente che segnerà tutta la sua vita.
Ma c’è anche il ruolo delle donne, in prima linea nella lotta per la «manutenzione della vita[6]» e per la sopravvivenza:
La farina di Carrara arrivava dal sale delle donne di Marina di Massa e la farina arrivava anche dalle donne di Carrara che partivano a piedi o con i carretti per andare nel Parmense a prendere la farina e quasi tutte portavano il sale […] e molte tornavano senza niente perché c’erano i fascisti. C’erano i fascisti ad aspettare lassù nelle zone dove c’era la farina e quando sentivano che erano di Carrara oltre malmenarle ed offenderle con epiteti proprio triviali e inconcepibili portavano via tutto quello che avevano (Anna Maria Vignolini).
La Resistenza civile è anche quella dei sacerdoti. Don Marco Mori, sacerdote di Pontremoli, narra la fine piena di dignità di Ubaldo Cheirasco e di altri giovani partigiani, fucilati il 17 marzo 1944 dalla X Mas nonostante i tentativi di salvataggio messi in opera dal vescovo di Pontremoli:
Il vescovo parlò più che poté, […] voleva spostarsi a Massa poi trovare la maniera di comunicare telefonicamente, disperato. ‘Questi non possono essere fucilati!’ Perché ormai correva la voce, l’avevano fatta trapelare loro, dovevano essere fucilati, […] e il vescovo uscì con questa frase che la sentirono tutti lungo le scale, eravamo a metà scale: ‘Ma ricordatevi che domani potete essere voi a domandare quella grazia che adesso il vescovo domanda per gli altri!’ […] E ricordo alla fine poi io ingenuamente accompagnando un pochino giù il vescovo, ero l’ultimo ad aver lasciato lì quei bravi ragazzi e dissi: ‘Coraggio! Coraggio! Mi guardò Cheirasco, mi guardò e disse: ‘Ma le pare proprio che non abbiamo coraggio! Domandai scusa, e allora: ‘Noi moriamo per una patria libera e migliore’.
C’è la Resistenza all’ordine tedesco di sfollamento delle donne di Carrara, che, al mercato di Piazza delle Erbe il 7 luglio 1944, tirano frutta e verdura contro i tedeschi:
ma ci pensate andare al mercato, rovesciare le ceste di patate, pomodori eccetera, prenderle e andare a buttarle contro i tedeschi e i tedeschi avevano i mitragliatori ed erano puntati e loro (le donne) con quei pomodori e patate, ma erano tante, erano tutte unite. Insomma sono riuscite a vincere la loro battaglia (Anna Maria Vignolini).
C’è la lotta degli operai nelle fabbriche spezzine, di cui narra Soresio Montaresi, operaio di Sarzana:
Ma noi in cantiere avevamo sempre avuto un’organizzazione, sia prima della liberazione, durante la guerra, e anche dopo. Perché tutte le categorie…in ogni categoria c’erano le cellule, si chiamavano le cellule.
E c’è l’esperienza tragica dei bombardamenti alleati, stigmatizzati anche dai partigiani:
loro (gli Alleati) sono veramente deprecabili, hanno ammazzato più gente loro a Massa e Montignoso con i loro bombardamenti inutili, e nemmeno un tedesco, perché i tedeschi avevano spostato il loro comando in una galleria sotto il monte di Pasta, quindi in giro c’era solo la popolazione (Pietro Del Giudice).
La fine della guerra viene perciò accolta come «liberazione», come l’inizio di una nuova vita:
non c’erano più né brigate nere né tedeschi. […] Io credo che neanche subito allora si poteva descrivere un entusiasmo così enorme, non esisteva persona che non veniva ad abbracciarti, che non veniva… era la fine della vera guerra insomma, la liberazione non era tanto la liberazione della città quanto la liberazione di quelli che erano a militare che rientravano alle loro case, la ricomposizione dei nuclei familiari, era un insieme di cose, la fine dei bombardamenti (Amelio Guerrieri, partigiano di La Spezia).
Altri spazi del Museo
In una sala laterale è stato ricavato uno spazio, dove possono essere visionate immagini e consultati testi per un ulteriore approfondimento degli argomenti trattati nei materiali audiovisivi del Museo.
Nel prato adiacente e sotto le fronde dei castagni, dal 2005, nella prima metà di agosto, si tiene il Festival della Resistenza Fino al cuore della rivolta (il titolo è tratto da una poesia di Paolo Bertolani[7]), che questo anno è giunto alla ventesima edizione. Il Festival, che si articola in più giorni coinvolgendo studiosi e artisti di fama nazionale, prevede un programma pomeridiano di presentazione di libri e dibattiti, e serate di concerti, spettacoli teatrali, proiezioni. L’accesso è del tutto gratuito per il pubblico.
Gli ospiti del Festival sono scelti da Archivi della Resistenza. Questo anno, in dodici giorni intensi, vi sono stati 18 dibattiti con 57 fra studiosi e testimoni, fra cui Marco De Paolis, Paolo Pezzino, Santo Peli, Mirco Carrattieri, Chiara Nencioni, Luca Bravi, Angelo D’Orsi, Iuliano Lucas, Maurizio Maggiani, Marco Palla, Eric Gobetti, Marco Ferrari, Stefano Gallo, Davide Conti, Agnese Pini, Tano D’Amico, e tanti altri, e 34 spettacoli (fra gli artisti, Moni Ovadia, Marco Rovelli, Lella Costa, gli Skiantos, Alessio Lega, Neri Marcorè, Africa unite, David Riondino, gli Yo Yo Mundi, Giancane, Casa del vento, Bobo Rondelli). Studiosi e artisti di varie età per catturare un pubblico eterogeneo, in particolare attraendo i giovani con ottimo cibo locale a prezzi modici e musica fino alle due di notte, gratis, ovviamente.
Didattica
Ogni anno l’offerta didattica del Museo si rinnova. Informazioni al sito https://www.archividellaresistenza.it/offerta-didattica-mar.
Il tempo previsto per la sola visita è compreso tra un minimo di 40 minuti e un massimo di 2 ore.
Il Museo è un di piccole dimensioni, pertanto la visita è limitata alla singola classe (max 30 persone). In presenza di più classi il gruppo viene diviso: mentre una parte visita il Museo, l’altra svolge un laboratorio, la cui durata è di circa un’ora, per poi darsi il cambio.
Tutte le attività laboratoriali sono svolte mediante una partecipazione attiva del gruppo, un coinvolgimento inclusivo e interattivo, nel rispetto delle differenze di ognuno. Si predilige il lavoro in piccoli gruppi o sottogruppi per dare la possibilità a tutti di esprimersi con più libertà e si utilizzano spesso modalità didattiche proprie dell’educazione non formale, come giochi, attività spacca-ghiaccio o del learning by doing.
I temi trattati riguardano la storia dell’Antifascismo e della Resistenza, della Costituzione, la storia del paesaggio e l’educazione ambientale, la multimedialità, ma anche argomenti di attualità inerenti l’ambito dei diritti di cittadinanza, l’educazione civica, la cittadinanza attiva e digitale, il fact checking e il linguaggio non ostile, le pari opportunità e l’educazione alle differenze.
Inoltre presso il Museo è possibile svolgere percorsi PCTO, con progetti ad hoc, in particolare nell’ambito storico e archivistico, della multimedialità e dell’organizzazione eventi.
Durante l’anno scolastico, l’Associazione Archivi della Resistenza, in collaborazione con l’Istituto storico della Resistenza Apuana, organizza corsi di formazione rivolti ai docenti, avvalendosi del contributo dei più importanti studiosi della Costituzione e della Resistenza italiana.
Inoltre il Museo aderisce a «Museando. In viaggio tra i musei», progetto didattico della rete museale della provincia di Massa Carrara, assieme agli altri 15 musei del territorio e cofinanziato dalla Regione Toscana. Creato nel 2018, ha come obiettivo principale quello di unire le forze per offrire un’immagine più ampia e stratificata della cultura di un territorio. I percorsi previsti non solo offrono l’opportunità di visitare più Musei all’interno della Provincia ma sono strutturati in maniera che lo stesso tema possa essere analizzato da punti di vista diversi utilizzando trasversalmente gli strumenti propri delle differenti discipline: storia, scienza, arte, archeologia.
Conclusioni
Malgrado l’allestimento del Museo sia tutt’oggi estremamente efficace, soprattutto grazie al fatto di essere stato molto all’avanguardia al momento della realizzazione, è inevitabile riflettere dopo oltre 20 anni su un possibile aggiornamento, anche soltanto cambiando il contenuto di uno o più libri che innescano il meccanismo interattivo. Ciò tuttavia comporta un notevole impegno economico perché le interviste ai testimoni correlate ai libri nuovi, che andrebbero a sostituire quelli vecchi, dovrebbero necessariamente essere condotte con gli stessi alti livelli di professionalità di quelle originali. Poiché non vi è mai stata una politica di stanziamento di fondi da parte degli enti fondatori del Museo, tanto il contenuto quanto la struttura sono rimaste immutate.
Ovviamente cambia e si aggiorna l’offerta didattica che gli operatori museali mettono in atto a partire dalla visita al Museo, che non ha solo lo scopo di far conoscere le storie di partigiani e gente comune che si sono ritrovati a vivere quella che Pavone[8] ha volutamente chiamato “una guerra civile”, ma anche quello di insegnare ad utilizzare il Museo come strumento di conoscenza, come luogo in cui trovare risposte ad interrogativi sulle origini della nostra democrazia e aprire numerose finestre sulla storia passata e la realtà odierna.
Note:
[1] P. E. Boccalatte, Le parole che non ti ho detto: musei diffusi e persone, in “Novecento.org”, n. 21, giugno 2024. DOI: 10.52056/9791254696965/17
[2] Il Museo audiovisivo della Resistenza è dedicato alla memoria dei comandanti partigiani Alessandro Brucellaria «Memo» e Flavio Bertone «Walter» e di tutti coloro che hanno combattuto per la libertà.
[3] https://www.museodellaresistenza.it/home/chi-siamo-lassociazione-e-lo-statuto/
[4] M. Battini, P. Pezzino, Guerra ai civili. Occupazione tedesca e politica del massacro (Toscana, 1944), Marsilio, Venezia 1997.
[5] Laura Seghettini è autrice, tra l’altro, del libro Al vento del Nord, a cura di Caterina Rapetti, Pisa, ETS 2018.
[6] Anna Bravo, Anna Maria Bruzzone, In guerra senza armi. Storie di donne 1940-1945, Bari, Laterza, 1995.
[7] Paolo Bertolani, Staffetta, in Piccolo cabotaggio, Bergamo, ConTatto edizioni, 2004.
[8] C. Pavone, Una guerra civile. Saggio storico sulla moralità nella Resistenza, Torino, Bollati Boringhieri, 1991.