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Public Brickstory: la storia fatta con i mattoncini, dalla divulgazione ai laboratori partecipativi

Public Brickstory: la storia fatta con i mattoncini, dalla divulgazione ai laboratori partecipativi

Foto tratta da Pixabay – No copyright

Abstract

Partendo da un’analisi del fenomeno noto come “Lego History” e dall’approccio di The LEGO Group alla storia, l’articolo esplora il potenziale dei giochi di costruzioni, i mattoncini (bricks), come strumento di Public History. Ci concentreremo sulle pratiche utilizzate nel nostro progetto “Italian BrickHistory”, focalizzando l’attenzione sulla pratica laboratoriale, in cui i partecipanti (giovani o adulti), attraverso la costruzione di diorami, sono coinvolti attivamente nella rappresentazione e narrazione di eventi storici. Questa metodologia promuove un apprendimento attivo e un confronto aperto sul passato e mette in luce gli elementi di conoscenza storica, il senso comune e la “memoria pubblica” presenti nei partecipanti, restituendo interessanti spunti di riflessione per gli storici.

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Starting from an analysis of the phenomenon known as ‘Lego History’ and The LEGO Group’s approach to history, the article explores the potential of building games, bricks, as a tool for public history. We will focus on the practices used in our project ‘Italian BrickHistory’, focusing on workshop practice, in which participants (young people or adults), through the construction of dioramas, are actively involved in the representation and narration of historical events. This methodology promotes active learning and open discussion on the past and highlights the elements of historical knowledge, common sense and ‘public memory’ present in the participants, providing interesting food for thought for historians.

Introduzione

In questo articolo, dopo aver presentato un quadro di riferimento di come la storia sta incrociando i mattoncini lego, illustreremo quella che viene anche chiamata “Public Brickstory”, insieme al      progetto “Italian BrickHistory”, nato nel 2021, soffermandoci in particolare sui “laboratori partecipativi”, sia dal punto di vista concettuale sia per quanto attiene ai loro primi risultati dal 2022 ad oggi.

Prima di entrare nel vivo dell’argomento, è fondamentale chiarire l’utilizzo di alcuni termini. Innanzitutto quello, molto in uso, di “Lego History”, che porta con sé un’intrinseca ambiguità potendosi riferire tanto alla storia dei mattoncini Lego e dell’omonima azienda con sede in Danimarca quanto alla pratica, ormai diffusa globalmente nel mondo degli appassionati di lego, di realizzare costruzioni e ambientazioni a tema storico.

Il termine “Public Brickstory” si riferisce invece ai progetti ragionati che utilizzano i mattoncini per raccontare la storia e implementare percorsi di Public History, con un gioco di parole volto a evidenziarne la peculiarità. Questa nuova pratica muove dall’idea che i mattoncini lego possano essere un potente strumento per insegnare e diffondere la storia. Il potenziale narrativo e partecipativo di questo “gioco” è evidente: i lego sono un fenomeno intergenerazionale con milioni di fan e, pur mantenendo la loro natura ludica, sono assurti a media – come i fumetti, la televisione, il cinema – che consente di veicolare concetti e informazioni, grazie alla loro modificabilità, immediatezza e riconoscibilità, divenendo uno strumento espressivo. Oltre a rompere le barriere generazionali, i mattoncini permettono una rappresentazione visiva pressoché istantanea di fatti storici, temi, personaggi. Ed è in questa seconda declinazione, come “media ludiforme”, che sono declinate  le attività di seguito descritte.

Converrà qui anche approfondire rapidamente la vaghezza della parola “lego”, che designa l’azienda danese e i suoi mattoncini, ma anche, nel linguaggio comune, tutti i giocattoli di costruzione in plastica aventi tali forme e non necessariamente prodotti dall’odierna multinazionale nata dall’intuizione del falegname Ole Kirk Kristiansen nel 1932. Questa seconda ambiguità rappresenta un elemento di confusione discorsiva e genera – tra le altre cose – problemi di copyright. Infatti, da quando l’ultimo brevetto significativo per i mattoncini Lego è scaduto nel 1989, molte aziende indipendenti (cinesi, tedesche, nordamericane…) hanno iniziato a produrre mattoncini compatibili con quelli prodotti dalla casa madre nonché parti personalizzate oppure nuove stampe sulle minifigures antropomorfe. Di conseguenza, nel testo viene utilizzata la parola “lego” in minuscolo per riferirsi a tutti i giocattoli in mattoncini con le ben note forme “lego” e la dizione “The LEGO Group” (TLG) o la versione tutta in maiuscolo di LEGO per riferirci alla multinazionale danese.

La LEGO, la storia e la comunità dei lego historical builder

Chiariti questi aspetti terminologici, è importante ora soffermarsi sull’approccio di TLG ai temi storici. Nel 1978, il gruppo LEGO lanciò il suo primo set storico, il “castello giallo” medievale (set 375-2)[1], continuando poi a produrre nei decenni successivi set a tema storico. A partire dal 2000, la multinazionale di Billund ha avviato la produzione di set storici sempre più dettagliati e realistici, nell’ambito di una ridefinizione delle sue politiche di mercato che puntavano a un nuovo target di acquirenti, i cosiddetti Adult Fans of Lego (AFOL), che ha permesso all’azienda di risollevarsi dalla profonda crisi economica in cui era sprofondata negli anni Novanta con l’avvento delle console domestiche di videogames di nuova generazione. Tuttavia, a partire dal 1978 i modi in cui TLG ha inserito la storia nei propri prodotti si sono rivelati significativi e non privi di elementi problematici. Visto che per la multinazionale danese la storia costituisce una delle possibili branche di mercato, la sua rappresentazione nei set è da sempre strettamente correlata a politiche di marketing e di immagine della stessa TLG, che tengono in considerazione aspetti come la violenza, i conflitti, le tematiche militari, oltre a intersecarsi con il punto di vista sulla storia di cui è portatrice un’azienda di origini occidentali. Dall’osservazione dei prodotti LEGO a tema storico traspare infatti un approccio al passato che nel corso del tempo ha avuto alcune costanti. I set di TLG non escludono scenari in qualche modo bellici, purché riferibili a epoche remote, già mitizzate o comunque mitizzabili.[2] Sono state quindi lanciate linee di prodotti sul Medioevo europeo – riproposti in svariate versioni –, sull’epopea dei pirati caraibici, sul Far West, sull’antico Egitto, sull’Era precolombiana, con tanto di elementi riconducibili ai Conquistadores. La storia è la base essenziale su cui si costruisce anche tutto l’immaginario – di chiara derivazione “orientalista” nel senso attribuito al termine da Edward W. Said nel suo famoso libro[3] – della serie di set Adventures, a sua volta ispirata alla saga cinematografica Indiana Jones (già di per sé portatore di una visione del passato particolarmente radicata nella cultura occidentale, nonché di una visione distorta del lavoro dell’archeologo, come ricordato da Andrea Augenti).[4]

Figura 1: Il set LEGO 5976 River Expedition (1999). Crediti: sito Bricker.info, https://it.bricker.info/sets/5976.

Ai set nel corso del tempo si sono aggiunte le minifigures di personaggi storici – singoli o collettivi – prodotte e vendute singolarmente (il soldato romano, il rivoluzionario americano, il presidente Lincoln ecc…) o all’interno di set. TLG si è invece tenuta alla larga dalla storia del XX secolo e dai conflitti contemporanei, salvo alcune eccezioni particolari, quali i soldati tedeschi in tenuta da Afrikakorps e i sovietici dell’armata rossa, ma nell’ambito dei prodotti su Indiana Jones, o il biplano Sopwith Camel (set 10226) e il triplano Fokker del Barone rosso (set 10024) della prima guerra mondiale, probabilmente accettabili in quanto mezzi meccanici iconici associati a un’idea di guerra cavalleresca o comunque non immediatamente legata agli aspetti più crudi e tragici del Novecento. Inoltre, nei set non sono comprese esplicitamente scene di violenza e le poche armi presenti hanno una forma approssimativa, evocativa (le armi invece proliferano in serie di ispirazione fantascientifica come la gettonatissima Star Wars). Anche la serie City, una delle più longeve ancora in produzione con continui aggiornamenti e che si situa storicamente nel tempo presente, raffigura una società dove alla pluralità degli attori sociali (dal medico all’operaio al poliziotto al giardiniere) non corrispondono increspature, con una città pacificata e del tutto priva di conflitti interni. Il discorso si può legare anche alle scelte di TLG in materia di genere ed etnie, per il quale rimandiamo qui al contributo Costruire la storia, mattoncino su mattoncino.[5]

Figura 2: Il set LEGO 7622 Race for the Stolen Treasure (2008). Crediti: sito Bricker.info, https://it.bricker.info/sets/7622.

Sembra ragionevole supporre che la compagnia preferisca eventi storici mitizzati e confondibili con la fantasia, evitando quelli più prossimi a noi per non incorrere in controversie che potrebbero danneggiarne l’immagine e il mercato, anche se non sono mancati scivoloni, come nell’estate del 2020, quando è uscito sugli scaffali un set dedicato al Bell Boeing V-22 Osprey, un convertiplano delle forze armate statunitensi e giapponesi. La German Peace Society – United War Resisters, un’associazione pacifista tedesca, ha immediatamente protestato, accusando l’azienda di aver commercializzato la riproduzione di un mezzo impiegato nei conflitti mediorientali. TLG ha quindi ritirato il modello, ma i pochi set immessi sul mercato sono stati rapidamente acquistati dagli appassionati.[6]

In ogni caso, questa rapida panoramica dimostra come l’approccio della multinazionale danese al passato sia problematico anche al di là delle (rare) controversie politiche che ha generato. Infatti, come detto, i set affondano le loro radici nella cultura di massa occidentale e mostrano tracce di stereotipi occidentali-colonialisti: ad esempio, gli archeologi bianchi, gli eroi, contro gli indigeni incivili e crudeli, i cattivi e non bianchi.

Nonostante la non dichiarata politica aziendale, molti fan dei lego hanno iniziato a dedicarsi a costruzioni a tema storico, dando vita a una community transnazionale e intergenerazionale, attiva soprattutto sui social network ma rintracciabile anche nelle numerose fiere promosse dal mondo associazionistico sorto intorno ai lego o in alcune esposizioni in istituzioni culturali museali dove vengono esibite opere in lego chiamate MOC (My Own Creations). Questa tendenza, a cui spesso si fa riferimento come “Lego History”, alimenta un mercato di aziende definite “terze parti” (Third Parts) produttrici di set storici e parti personalizzate. Brickmania Toys, azienda statunitense leader in questo campo e che ha festeggiato nel 2024 il suo venticinquesimo anno di attività, movimenta settimanalmente mattoncini per un giro di decine di migliaia di dollari. Il fenomeno è sorto in parallelo al mercato dei lego e in maniera del tutto autonoma, senza nessun collegamento con TLG, che lo tollera ma lo ignora ufficialmente. Tale fermento, nato in maniera spontanea tra gli appassionati e alimentato al tempo stesso da intuizioni come quella di Daniel Siskind, fondatore e proprietario di Brickmania, può essere inserito a pieno titolo in quella presenza pubblica della storia sempre più evidente, non mediata né promossa dagli storici di mestiere, che dà vita a un vero e proprio “consumo culturale di massa” della storia.

 

Public Brickstory

Il progetto “Italian BrickHistory”[7] ha preso le mosse proprio dalla scoperta di questi ambienti tra la fine del 2019 e i primi mesi del 2020, mentre il mondo sprofondava nella pandemia globale e di conseguenza attività come queste – che si nutrono in un mercato che viaggia attraverso le poste e i corrieri – esplodevano sui social network, come conseguenza dei lockdown prolungati e della necessità di impiegare il tempo da passare tra le mura domestiche.

Praticando quella che in antropologia è nota come la pratica dell’osservazione partecipante,[8] siamo entrati a far parte della community transnazionale dei lego historical builder, proponendo le nostre creazioni, cercando di capire le caratteristiche del fenomeno e chi lo anima e iniziando a ragionare su come poter declinare in progetti di Public History compiuti. Lo studio di questa comunità fornisce infatti informazioni interessanti sulle influenze e sui modi di percepire, rielaborare e immaginare il passato da parte di un pubblico eterogeneo.

In questa subcultura, come spesso avviene tra gli appassionati di giochi a tema storico, prevale l’interesse per la storia militare.[9] I fan, influenzati dall’immaginario storico creato dai media più popolari (soprattutto il cinema e videogiochi), sembrano preferire la Seconda guerra mondiale, ma anche la Grande Guerra, i conflitti medievali, l’epopea napoleonica, il Modern Warfare e la guerra del Vietnam, ecc. In particolare, tra gli adolescenti è chiara l’influenza dei prodotti videoludici a tema storico. In un certo senso, le creazioni che si incontrano sembrano una declinazione del modellismo in scala e della passione per la militaria. Molti appassionati prestano grande attenzione alla fedeltà delle uniformi e degli equipaggiamenti, e rappresentano le minifigures dei soldati in pose plastiche ed eroiche. Tuttavia, in diversi casi ignorano – o omettono consapevolmente – le problematiche legate agli attori rappresentati e al contesto storico in cui operavano. Molti builders, ad esempio, raffigurano senza troppa preoccupazione, ma anzi prestando una particolare cura alle effigi presenti sulle divise, i soldati tedeschi della Seconda guerra mondiale (comprese le SS), indubbiamente le minifigures storiche più vendute e prodotte dalle aziende “terze parti”;[10] una tendenza che può essere ritenuta una spia del fascino che le armate naziste ancora esercitano.[11] In diverse circostanze, gli appassionati definiscono le loro creazioni come “apolitiche” per evitare di incorrere in critiche rispetto all’epoca e agli attori storici prescelti o nella censura delle piattaforme. Di conseguenza, e paradossalmente, potenziali elementi conflittuali vengono rimossi da ricostruzioni che hanno per oggetto conflitti. Tematiche delicate – come la Shoah, le stragi di civili, gli stupri – non vengono raffigurate[12], finendo per riproporre l’approccio tipico di TLG alla storia, pur avendone apparentemente abbattuto il recinto.

In questo quadro, tuttavia, molti costruttori storici di lego – mediamente più adulti – hanno sviluppato anche altri approcci, dando spazio a questioni storico-sociali e di genere, realizzando ad esempio creazioni su lotte sociali e per i diritti civili. A volte costoro sembrano mossi da scopi divulgativi. Alcuni costruttori, spesso senza studi storici professionali alle spalle, hanno avviato progetti strutturati anche di tipo educativo, divenendo a pieno titolo public historian.

Questi progetti sono generalmente costruiti attorno a un blog in cui vengono condivise le foto delle creazioni accompagnate da un testo storico e informativo. I più strutturati arrivano a organizzare installazioni lego in mostre e musei storici. Il progetto più longevo e di maggiore interesse è  senz’altro Brick to the Past,[13] che può vantare partnership con importanti media e istituzioni culturali britanniche. Brick to the Past propone grandi ricostruzioni dedicate a temi afferenti alla storia britannica che spaziano in epoche lontane tra loro – dai villaggi celti al vallo di Adriano ai moti giacobiti fino alla guerra delle Falkland – e prestano attenzione anche alla Labour history, con diorami dedicati al massacro di Peterloo (1819) o alla Londra capitale dell’Impero (1875), con il suo stridente contrasto tra quartieri ricchi e poveri. Che agiscano sui social o fisicamente in un museo, lo stile è quello della ricostruzione a fini divulgativi, finalizzata a essere spiegata a voce o per iscritto.

Non è mancato chi ha colto anche l’opportunità di pubblicare manuali di istruzioni lego per gli appassionati di ricostruzioni storiche, come Warren Elsemore, autore di un volume patinato, interamente a colori, Brick History,[14] che si apre con un Welcome to Brick History! dove l’autore chiarisce subito:

When we started to plan Brick History, we were a little concerned that it might turn into one long book full of battles and wars. Sometimes when we think of history, it’s the really big events that stand out in our minds. Looking more closely, though, it soon became apparent that some of the most significant moments in our history started out very small. Take the discovery of the vaccination against smallpox, for instance. This ‘small’ discovery changed the world more (and saved more lives) than any war prior – or since. In Brick History, we’ve identified about 70 key moments in our history.[15]

Tuttavia, con la sola eccezione di Benjamin Franz, storico tedesco e già fondatore del progetto History’s Bricks[16] e di Bricks Krieg, il mondo degli storici e degli educatori storici in questi primi anni Venti non conosceva ancora il fenomeno, che non rientrava infatti tra gli oggetti di discussione nelle conferenze italiane e mondiali di Public History né negli ambienti che si occupavano di storia ludica. Anche per sviluppare il dibattito in materia si è deciso di dare vita a “Italian BrickHistory”, progetto presentato alla Conferenza nazionale di Public History a Firenze nel 2022 e alla World Conferenze of Public History in Lussemburgo nel 2024.

La pratica divulgativa

L’uso dei mattoncini lego in funzione della Public History può prendere due strade, molto distanti tra loro, che separiamo convenzionalmente tra quella “classica” e quella “partecipativa”.

La linea “classica”, o “tradizionale”, si basa sulla caratteristica accattivante dei mattoncini, che ne hanno anche determinato il successo commerciale nel mondo nel corso degli ultimi 90 anni. Una capacità di catturare l’attenzione e coinvolgere il pubblico di ogni età e genere che facilità di per sé il lavoro dei public historian e anche dei docenti, nel caso di progetti didattici.

In questi casi si parte da ricostruzioni puntuali, verosimili o fedeli nel dettaglio rispetto alle ambientazioni spaziali del fenomeno storico oggetto di interesse, che vengono poi raccontate      sui social,[17] attraverso fotografie corredate da didascalie più o meno articolate, o dal vivo, in musei, scuole, esposizioni temporanee, fiere ecc. attraverso la classica spiegazione frontale. Questa attività ricalca le tradizionali pratiche divulgative, di nuovo c’è solo il medium, ovvero i mattoncini lego. Questo non implica quindi un cambiamento nelle forme della divulgazione dei contenuti.

Tuttavia la novità del medium di per sé ha destato interesse, portando le nostre ricostruzioni storiche con i mattoncini ad avere le prime occasioni di visibilità pubblica. Nel 2022, nell’ambito della mostra La città del lavoro in occasione del 120° anniversario della Camera del lavoro di  Pistoia, abbiamo potuto realizzare due installazioni sul Biennio rosso 1919-20, una sull’occupazione delle fabbriche e una sugli scioperi mezzadrili nelle campagne. Presso un museo locale del mondo rurale, Casa di Zela, nello stesso anno abbiamo realizzato un diorama che rappresentava il casale mezzadrile e la vita quotidiana che si svolgeva attorno a esso, raccontando attraverso la ricostruzione il lavoro nelle campagne ma anche, con l’ausilio di minifigures afferenti a momenti diversi, i passaggi della storia nel paesaggio del casale. Per il museo nazionale M9 di Mestre (Venezia), abbiamo creato un’installazione virtuale sui social sul 2 giugno 1946, ricreando un seggio elettorale in occasione del referendum istituzionale, con le donne che per la prima volta si recavano al voto. Successivamente, tra il 2022 e il 2023, la rivista online HistoryLab Magazine ci ha chiesto di realizzare alcune installazioni virtuali (la Prima guerra mondiale sul fronte italiano, le deportazioni fasciste dalla Jugoslavia occupata, gli scontri del G8 a Genova nel 2001) per un numero dedicato a gioco e storia.[18]

Figura 3: Il diorama “Gli scioperi nelle campagne toscane durante il ‘Biennio rosso’, 1919-20”, all’interno della mostra La città del lavoro (Pistoia, 2022). Crediti: proprietà degli autori.

I laboratori partecipativi

Tuttavia, è sulla seconda linea, quella “partecipativa”, che il nostro lavoro sta producendo i risultati apparentemente più interessanti. Il metodo si basa sulla realizzazione di laboratori, per adulti o per classi scolastiche di ogni ordine e grado, che combinano la didattica con un approccio derivato dai metodi della Public History e della storia orale, ovvero dai concetti combinati assieme di “partecipazione” e di “Shared Authority” che coinvolgono le persone nel “fare la storia”[19], lasciandole libere di costruire una rappresentazione prima e di raccontare poi la storia che hanno rappresentato nelle loro costruzioni, confrontandosi con gli storici. La metodologia dei laboratori riprende in parte anche le tecniche collaborativo-competitive sperimentate da Pat Cullum e Samuel Kawahara nei loro laboratori didattici con i lego sul concetto di gender nella storia o come tecnica educativa.[20]

Ad oggi sono stati realizzati cinque laboratori tematici:

  1. la fabbrica tessile di inizio Novecento;
  2. il mondo rurale;
  3. la prima guerra mondiale;
  4. lo squadrismo fascista;
  5. la lotta partigiana.

È in corso di progettazione un laboratorio sulle mondine e uno studio sulle forme per declinare il laboratorio sulle fabbriche anche nella direzione di evidenziare gli aspetti relativi a salute e sicurezza sul luogo di lavoro in un dato momento storico. Gli interlocutori sono stati e sono di diversa natura. Oltre alle scuole pubbliche si possono elencare:

  • l’Università di Siena, nel corso di laurea in Scienze della formazione primaria con il prof. Emanuele Ertola;
  • l’Istituto storico della Resistenza di Pistoia;
  • il Museo del tessuto e la Fondazione CDSE di Prato;
  • l’ANPI di Empoli;
  • il Festival Un mare di archeologia di Trieste;
  • la CGIL di Biella con il suo Centro di documentazione sindacale per il proprio Festival di storia La città del lavoro nel 2024;
  • la CGIL Toscana con la Fondazione Valore Lavoro per attività declinate verso la formazione sindacale e verso la trasmissione della memoria storica tra nonni e nipoti insieme al sindacato dei pensionati SPI.

I laboratori partecipativi si basano su “kit” (da non confondere con i “set” lego), ovvero scatole da      preparate in anticipo contenenti pezzi lego sfusi, tra cui alcune minifigures che variano a seconda del tema storico oggetto del laboratorio (nel caso della lotta partigiana la figura del soldato italiano si presta a essere utilizzata in tre modi che vengono illustrati: collaborazionista fascista; partigiano; sbandato). I pezzi presenti nelle scatole sono selezionati in maniera tale da facilitare i/le partecipanti nel costruire qualcosa che alla fine, in qualche modo, richiami sempre visivamente il paesaggio storico oggetto del laboratorio. Questi sono gli unici due elementi che declinano a priori il laboratorio, per il resto i partecipanti procedono liberamente. L’elemento centrale da sottolineare è che i kit, a differenze dei set, non hanno istruzioni. Non c’è niente di predeterminato da costruire, i partecipanti non sono quindi indirizzati verso una ricostruzione già pensata da altri, più o meno precisa dal punto di vista storico-modellistico, ma sono chiamati a pensare, ragionare, immaginare e costruire una rappresentazione in maniera del tutto libera e non indirizzata.

Nella prima parte, il “mediatore” (il docente o il public historian) introduce l’argomento storico trattato e l’utilizzo dei lego da un punto di vista meramente tecnico. Se la lezione di preparazione si tiene qualche giorno prima del laboratorio, possono essere distribuite fonti e letture ai/alle partecipanti, evitando però di fornire loro apparati iconografici (foto, immagini, ecc.) che potrebbero influenzarli e orientarli nella costruzione del diorama.

Nella seconda fase, i partecipanti al workshop vengono divisi in gruppi da 3 a 5 persone, misti per genere ma omogenei per fascia di età, i quali, ricevuti i kit dei mattoncini, hanno un’ora di tempo per realizzare una rappresentazione (i kit sono tarati in maniera tale da essere esauriti nell’arco di questo tempo). Durante l’ora a disposizione, i partecipanti decidono autonomamente quale storia rappresentare all’interno del tema oggetto del laboratorio, riunendo e rielaborando le informazioni storiche apprese, combinando diverse competenze. La possibilità di utilizzare minifigures apre le porte alla narrazione all’interno del diorama, come solitamente avviene quando si gioca. La funzione dei public historian o dei docenti in questo momento si limita dunque al supporto tecnico sull’uso dei mattoncini, senza entrare nel merito dei contenuti che vengono creati. Ovviamente possono essere dati consigli qualora richiesti, ma in maniera non indirizzante o invadente.

Infine, i partecipanti presentano/raccontano le proprie realizzazioni. In questa fase finale avviene il debriefing, ossia il momento in cui i partecipanti parlano delle proprie creazioni e danno ragione di come hanno affrontato il tema, motivando le proprie scelte, con l’intervento interlocutorio del docente o del public historian. Attraverso il racconto di gruppo del diorama, e di quel che avviene all’interno di esso, prende forma il dialogo orizzontale e avviene lo scambio di informazioni tra partecipanti e storici, che è bidirezionale. Ovviamente, ai public historian spetta la responsabilità di chiedere, indagare, chiarire e discutere eventuali inesattezze, errori o distorsioni, tenendo sempre a mente che, come messo in luce da Alessandro Portelli, l’errore non è necessariamente un problema ma anzi spesso è spia di informazioni di grande interesse.[21]

Figura 4: Un diorama che mette in scena l’attentato di via Rasella, realizzato dai partecipanti a un laboratorio svolto presso l’Università di Siena (sezione di Arezzo) nel corso di laurea in Scienze della formazione primaria del prof. Emanuele Ertola. Sullo sfondo si può vedere la scatola contente un kit. Crediti: proprietà degli autori.

L’utilizzo nella pratica didattica scolastica

Un punto di forza da evidenziare di questo metodo è che può essere inserito in modo flessibile in progetti strutturati, ovvero può essere implementato dopo un ciclo di lezioni più o meno lungo, interagire con percorsi sulle fonti (tradizionali, orali, visuali, materiali…), con raccolte di testimonianze in famiglia o con esplorazioni storiche dei paesaggi come trekking, passeggiate, visite guidate. In questi casi, i partecipanti sono stimolati a documentarsi, studiare, pensare e immaginare con la prospettiva di realizzare una ricostruzione con i lego, un’attività che nel caso degli studenti e delle studentesse è percepita in maniera non “ostile” come la tradizionale verifica in classe. Di fatto, dato che le ricostruzioni poi non hanno un voto e non viene stilata una classifica, gli alunni si ritrovano a studiare senza percepirne il peso ma per “divertirsi”. Nondimeno, l’attività offre anche varie strade ai docenti, eventualmente interessati, per costruire un processo di valutazione delle competenze (disciplinari e trasversali), delle abilità e delle conoscenze dei partecipanti. In itinere, gli insegnanti possono osservare e valutare, ad esempio, le interazioni e la cooperazione tra gli studenti e, nella fase di debriefing, l’esposizione orale. In un momento successivo al workshop, i docenti potrebbero somministrare agli alunni più tradizionali verifiche scritte – ad es., comporre un elaborato in cui ripercorrono l’esperienza laboratoriale e descrivono il diorama, raccontando l’evento storico e la scena ricostruita – o chiedendo loro di realizzare una mostra virtuale con le foto delle loro creazioni, corredandole da una didascalia storica e narrativa.

Al tempo stesso, però, i laboratori possono essere realizzati in maniera “espressa”, qualora non sia possibile effettuare lezioni a monte più approfondite, con una breve spiegazione storica iniziale senza incontri precedenti. Qui ovviamente l’attenzione alla comunicazione del tipo di attività proposta e alla preparazione della spiegazione storica deve essere più stringente da parte degli organizzatori, essendoci il rischio concreto che i laboratori vengano percepiti come un’attività ricreativa, di “animazione” nel caso di giovanissimi partecipanti, o che sia spinta verso pratiche di ricostruzione meramente modellistiche, con forti elementi di indirizzo da parte degli organizzatori, perdendo in entrambi i casi il valore educativo del laboratorio.

Memoria pubblica e senso comune storico

Il dato che non ci aspettavamo all’inizio è tuttavia un altro. Al di là delle spiegazioni preparatorie fornite in precedenza, la narrazione contenuta nei diorami mette in luce elementi di conoscenza storica o, meglio, di senso comune storico e di “memoria pubblica”, che i partecipanti hanno già inconsciamente introiettato dall’esterno (dai media, dalle famiglie, dal territorio che li circonda, dalla cultura diffusa). Qualche rapido esempio può rendere un’idea di quello a cui ci riferiamo: nei laboratori sulla guerra partigiana, ebrei o deportati sono stati quasi sempre inclusi – senza alcuna indicazione da parte nostra e senza minifigures dedicate, ma risignificando quelle consegnate – e molti gruppi hanno deviato il tema verso la Shoah, con cui oggi evidentemente identificano la Seconda guerra mondiale e l’antifascismo. Per quanto attiene alle truppe tedesche occupanti, queste sono quasi sempre raffigurate nell’atto di razziare e saccheggiare case e campagne. Nel laboratorio sulle fabbriche, un gruppo ha ricostruito una fabbrica semi-abbandonata in cui alcuni immigrati avevano ripreso forme di produzione (un riferimento esplicito a quanto avviene nel contesto territoriale in cui si è svolto il laboratorio dimostrando la capacità di situare storicamente il presente). Quanto all’ascesa del fascismo, la rappresentazione segue spesso stilemi cinematografici o, nel 2024, l’anniversario dell’omicidio Matteotti (1924). Nel caso della Prima guerra mondiale, alcune bambine di otto anni, hanno ricostruito il saccheggio di un paese delle retrovie da parte degli stessi soldati italiani, con tentativi di stupro e la fuga delle donne, dimostrando di avere già ben presente le loro specificità di genere e il portato della guerra sulle donne.

Conclusione

In sostanza, i laboratori si stanno rivelando non solo uno strumento partecipativo per la diffusione della conoscenza storica ma anche una pratica che, proprio attraverso l’uso dei mattoncini lego, permette di indagare e ricostruire le forme di conoscenza della “memoria pubblica” e del senso comune della storia presente nel pubblico, indipendentemente dalla sua età, facendo affiorare le distorsioni retoriche operate dalle mitologie nazionali, nonché le criticità e i limiti delle attuali politiche memoriali. Aspetti la cui indagine è spesso difficile, su cui non disponiamo di strumenti analitici dedicati, ma che possono per questa via essere indagati, sia dal punto di vista qualitativo che quantitativo nel corso del tempo, attraverso la realizzazio


Note:

[1] Per una rassegna dei set lego a tema medievale vedi l’URL: < https://www.ilmastrocostruttore.it/2025/02/14/lego-castle-vintage-fazioni-storia-completa/ > [consultato il 2 marzo 2025].

[2] Si veda I. Pizzirusso, Videogiocare la storia tra Public History, usi pubblici e didattica. Introduzione al dossier, in “Novecento.org”, n. 20, dicembre 2023. DOI: 10.52056/9791254695371/06

[3] Per Said l’Occidente nel corso del tempo e della sua avventura coloniale ha costruito artificialmente un’idea e un immaginario di “oriente” come forma di esercizio di potere e di dominio. E. W. Said, Orientalismo. L’immagine europea dell’Oriente, Feltrinelli, Milano 2012.

[4] A. Augenti, Il paesaggio come fonte storica e strumento didattico: l’archeologia dell’età contemporanea, in “Novecento.org”, n. 21, giugno 2024. DOI: 10.52056/9791254696965/13

[5] S. Bartolini e F. Cutolo, Costruire la storia, mattoncino su mattoncino. La “Public Brickstory”: i lego come strumento per raccontare la storia, in “Diacronie. Studi di Storia Contemporanea”, 46, 2, 2021. URL: https://www.studistorici.com/2021/06/29/bartolini_cutolo_numero_46/ [consultato il 17 ottobre 2024][6] Cfr. A. Tarquini, La scelta di Lego: niente più soldatini e carri armati, in “la Repubblica”, 15 dicembre 2020, URL: https://www.repubblica.it/esteri/2020/12/15/news/la_scelta_di_lego_niente_piu_soldatini_e_carri_armati-278416742/ [consultato il 27 ottobre 2024].

[7] Vedi il sito web Italian Brickhistory: https://italianbrickhistory.wordpress.com/public-brickstory-blog/

[8] Per una definizione generale di questa pratica rimandiamo alla voce “Osservazione” contenuta nel dizionario online Treccani che la descrive in maniera efficace, URL: https://www.treccani.it/enciclopedia/osservazione/ [consultato il 2 marzo 2025][9] Diversi studi hanno rilevato la netta prevalenza del tema bellico, sovente a carattere militare, nei prodotti ludici a tema storico, come i giochi da tavolo. Cfr. G. Alonge, Playing the Nazis: Political Implications in Analog Wargames, in “Analog game studies”, 16 settembre 2019, URL: http://analoggamestudies.org/2019/09/playing-the-nazis-political-implications-in-analog-wargames/ [consultato il 3 marzo 2025].

[10] Lo si può constatare osservando i siti web delle aziende terze parti che commercializzano minifigures customizzate. Vedi ad es. l’URL: https://www.unitedbricks.com/ [consultato il 2 marzo 2025][11] Sulla questione, si rimanda a S. Sontag, Sotto il segno di Saturno. Interventi di letteratura e spettacolo, Torino, Einaudi, 1982 (ed. orig. 1980), pp. 82-84.

[12] Come rilevato da Giaime Alonge, nelle comunità di wargamer vi è una diffusa fascinazione per l’esercito nazista. G. Alonge, Playing the Nazis: Political Implications in Analog Wargames, in “Analog game studies”, 16 settembre 2019, URL: http://analoggamestudies.org/2019/09/playing-the-nazis-political-implications-in-analog-wargames/ [consultato il 3 marzo 2025].

[13] Vedi l’URL https://bricktothepastuk.weebly.com/ [consultato il 27 ottobre 2024].

[14] W. Elsemore, Brick History. Amazing historical scenes to build from LEGO®, Hove, Quintet Publishing Limited, 2016,

[15] Elsemore, 2016, p. 6.

[16] Vedi l’intervista di Danny Kringiel a Benjamin Franz per Der Spiegel del 20 dicembre 2019, URL:  https://www.spiegel.de/geschichte/geschichte-aus-lego-history-s-bricks-blogger-benjamin-franz-a-1300031.html [consultato 27 ottobre 2024].

[17] Vedi le pagine Facebook (https://www.facebook.com/italianbrickhistory) e Instagram (https://www.instagram.com/italian_brickhistory/).

[18] S. Bartolini, F. Cutolo, Fare storia con i mattoncini, in “History Lab Magazine”, ultimo aggiornamento 9 febbraio 2023. https://hl.museostorico.it/historylabmagazine/pop-culture/fare-storia-con-i-mattoncini/

[19] Per un inquadramento di questi temi e delle pratiche dei laboratori (workshop) partecipativi che stanno nelle radici della Public History e dell’Oral History rimandiamo alla rassegna contenuta in S. Bartolini, Labour Public History. Tracciare una rotta, in “Clionet. Per un senso del tempo e dei luoghi”, 3, 2019. URL: https://rivista.clionet.it/sito/wp-content/uploads/2020/01/LABOUR-PUBLIC-HISTORY.pdf [consultato il 2 marzo 2025][20] P. Cullum, Play as technique for History in Higher Education, in von Lünen A. et al. (a cura di), Historia Ludens. The playing historian, New York, Routledge, 2020; S. Kawahara, O uso de blocos de Lego: uma proposta para a construção de conhecimentos históricos, Monograph (Specialization in Innovation and Technologies in Education) – Federal Technological University of Paraná, Curitiba, 2019.

[21] A. Portelli, La memoria e l’evento. L’assassinio di Luigi Trastulli, in “Segno Critico”, II, 4, 1981.

Dati articolo

Autore: and
Titolo: Public Brickstory: la storia fatta con i mattoncini, dalla divulgazione ai laboratori partecipativi
DOI:
Parole chiave: , , , , , ,
Numero della rivista: n.23, giugno 2025
ISSN: ISSN 2283-6837

Come citarlo:
and , Public Brickstory: la storia fatta con i mattoncini, dalla divulgazione ai laboratori partecipativi, Novecento.org, n.23, giugno 2025.

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