So.Stare: percorsi di arte e di memoria sul Lago Maggiore
Abstract
L’Olocausto del Lago Maggiore è un episodio poco conosciuto della storia della Shoah in Italia, consumatosi tra settembre e ottobre 1943 in nove comuni delle province di Novara e del Verbano Cusio Ossola: Arona, Baveno, Bée, Meina, Mergozzo, Novara, Orta, Stresa, Verbania. Le dinamiche dei diversi episodi non sono ancora del tutto chiare e la sua memoria, che per anni è stata trasmessa in modo frammentario, ha iniziato solo di recente a essere studiata e divulgata in modo organico[1].
Ancora una “strage dimenticata?”
Nel 2013, nel Settantesimo anniversario della strage, furono avviate dai nove comuni coinvolti numerose iniziative volte a rinnovare l’interesse sulla vicenda storica e a diffonderne la conoscenza. Tra esse si distingueva l’azione artistica promossa dall’artista Francesca Amat[2], che realizzò una performance-installazione[3] dedicata in quell’occasione alle vittime dell’episodio di Meina utilizzando simboli e gesti legati alla tradizione ebraica: sedie, sassi, legni dipinti di bianco. La spinta alla creazione artistica venne dalla volontà di utilizzare l’arte come medium per il coinvolgimento del pubblico non solo scolastico in una azione che consentisse una immersione totale da parte dello spettatore/fruitore nella vicenda storica.
La decisione di proporre un percorso multisensoriale guidato da un’artista fu presa anche in considerazione della difficile trasmissione che la storia della vicenda aveva incontrato fino ad allora e che è imputabile, oltre che alle difficoltà di ricostruzione da parte degli storici, ad un sentimento contrastato e ambivalente che essa ha spesso assunto per le comunità nelle quali si è consumata[4].
So.Stare a Meina
So.Stare nella sua prima realizzazione si svolse nel parco del Museo Chalet di Villa Faraggiana, uno spazio naturale prospiciente il lago quasi in corrispondenza della Casa Cantoniera che si trova sulla Statale del Sempione tra Arona e Meina. E’ in questo luogo, stando alle testimonianze, che gli israeliti che tra il 16 e il 22 settembre furono imprigionati all’Hotel Meina furono poi tradotti per essere uccisi e gettati nel lago. La fruizione del percorso artistico fu in quel caso individuale e organizzata a gruppi di sedici persone per volta, con un esplicito riferimento al numero delle vittime della strage meinese[5]. Sulla collina del parco erano state disposte da Amat sedici sedie e da un albero di caco partivano sedici sentieri che conducevano alle sedie. Dopo una breve introduzione sulla vicenda a cura di storici[6] in un punto del parco in cui non era possibile scorgere l’installazione, ogni visitatore era accolto dall’artista, che consegnava a ciascuno un lettore multimediale con un brano musicale individuato per le sue caratteristiche come idoneo al percorso artistico[7]. Il visitatore diventava a questo punto protagonista dall’azione artistica e seguiva un percorso guidato dalla musica, raggiungendo una sedia sulla quale trovava un legno raccolto sulle rive del lago, quindi levigato dall’acqua, che l’artista aveva verniciato di bianco. L’ascolto del brano musicale continuava per diversi minuti, poi ciascuno, trattenendo il bastone, raggiungeva il punto di partenza e qui deponeva il suo legno andando a formare un mandala collettivo ai piedi dell’albero di caco, concepito dall’artista come un omaggio alle vittime e un modo per ricordare il loro nome. I tempi di fruizione individuale erano differenti, ma si sono sempre conclusi entro i quindici minuti.
Il percorso di creazione artistica
Francesca Amat ha descritto così l’opera che ha immaginato: Questo lavoro trae origine da due forti ispirazioni; un luogo e una musica. Quando mi hanno mostrato lo spazio inizialmente deputato alla mia installazione sono rimasta fortemente colpita. Si trattava del pezzo di prato corrispondente a quello che negli anni 40 era stato il giardino dell’Hotel Meina, luogo dove nel ‘43 la persecuzione nazifascista ha compiuto una terribile strage causando sedici vittime. In quel prato ci sono due alberi grossi, certamente all’epoca c’erano già. Ho così sentito nella forza di questi alberi muti, la loro silenziosa testimonianza. Il luogo dell’installazione si è poi spostato in un altro parco, poco distante da quel luogo.
Circa otto anni fa ho avuto la fortuna di testimoniare la nascita di un progetto musicale […] Sentire nascere quei forti e commoventi brani è stata un’esperienza indimenticabile. L’intera opera è in memoria dei sedici ebrei uccisi nella strage dell’Hotel Meina. Riascoltando uno di quei brani in lingua yiddish, “Unter mayn kind’s vigele”, si è completata la visione del lavoro “So stare”. Quel germoglio di canto antico è ora un albero, posto al centro della mia installazione, da cui partono i sedici sentieri. Poco dopo aver concepito l’idea di sedici sedie riemerse dal tempo e poste di fronte al lago, Corrado [Fantoni, il compositore n.d.r.] mi parla del libro di un maestro chassidico, allievo del Baal shem tov. Il libro s’intitola “La Sedia Vuota”. Eccone un estratto…La sedia su cui stai seduto è vuota? «Che domanda! Come può essere vuota?». Hai ragione, non può essere vuota, perché ci sei seduto sopra.Tuttavia, può darsi che una persona seduta su quella sedia si senta vuota. Allora la sedia è vuota, pur essendo occupata! […]
Si è così andata costruendo l’installazione, che prevedeva alcune sedie bianche, diverse tra loro, su cui sedersi e “sostare”, di fronte al grande e pacifico lago. Insieme agli alberi in ascolto e all’abbraccio del lago che leviga i rami rendendoli bianchi, i visitatori potranno diventare come quegli alberi muti, testimoni di un luogo, parte integrante dell’installazione e attori di un gesto. Ciascun ospite esplorerà lo spazio per giungere ad un cerchio il cui centro è un giovane albero, dal cerchio partono sedici sentieri. […]. Le sedie saranno luoghi di memoria, come alberi. Terminato il momento contemplativo, ognuno potrà prendere il proprio legno e poi tornare lungo il sentiero da cui è venuto e posare il proprio legno all’interno del grande cerchio dove sorge l’albero e da cui si diramano i sentieri. Si formerà così un’installazione in work in progress, legno su legno, nome su nome, all’interno del grande cerchio. Questo grande cerchio conterrà simbolicamente tanti nomi avvolti nei legni scolpiti e restituiti dal lago, scelti e donati da tutti coloro che in questo tempo hanno contemplato questo luogo con lo stesso profondo silenzio degli alberi. L’installazione è accompagnata da un brano musicale comune a tutte le sedie, ascoltabile attraverso appositi auricolari. La comunità dei visitatori parteciperà di un comune ascolto[8].
Importanti la presenza dell’artista e il dialogo continuo con il pubblico, elementi che hanno consentito la realizzazione di tutti i significati già insiti nel titolo “So stare” e che hanno permesso un adattamento continuo del percorso alle sensibilità dei partecipanti.
La risposta del pubblico
Nel settembre 2013, in occasione delle giornate delle Celebrazioni Ufficiali, parteciparono al percorso, che fu poi proposto alle classi della secondaria di primo grado cittadina alla riapertura dell’anno scolastico[9], oltre cento persone, mentre un altro centinaio avevano partecipato nel luglio dello stesso anno. L’installazione è stata anche successivamente supportata dall’Istituto Storico Piero Fornara, che giudicatolo un utile strumento, lo ha riproposto in collaborazione con l’artista alle scuole di Venegono Inferiore e Superiore (VA), sempre facendo riferimento all’episodio meinese. A Venegono, non essendo possibile utilizzare uno spazio naturale, la performance si è svolta in un ampio salone, rispettando però la ritualità dell’ascolto della musica e della creazione del mandala collettivo.
L’installazione, tra il 2013 e il 2014 è stata “vissuta” da circa 400 tra adulti e ragazzi, cui fu chiesto di seguire il percorso secondo le indicazioni fornite dall’artista stessa. In tutte le occasioni di riproposizione, il percorso artistico è stato provato dopo una breve introduzione storica e al termine dell’esperienza è stato consegnato un “foglio bianco” in cui il partecipante all’esperienza era invitato a una immediata considerazione su quanto provato/vissuto[10].
Attraverso le reazioni dei partecipanti e l’analisi degli scritti, si è potuto constatare come questa modalità di trasmissione del contenuto storico ottenga apprezzamento trasversale per genere, età, conoscenza specifica della storia della shoah e dell’Olocausto del Lago Maggiore: la musica, la ritualità sono linguaggi universali che hanno permesso a ragazzi, adulti, stranieri, testimoni, sopravvissuti e figli di sopravvissuti della strage[11] di “entrare” nella narrazione proposta e superare quello scoglio emotivo che talvolta si frappone nella trattazione di questo argomento.
So.stare a Intra
Nell’ottobre 2016, in corrispondenza dell’anniversario della strage, si è aperta per l’artista, la direttrice artistica di LIS LAB Antonella Cirigliano e la sezione didattica dell’Istituto Fornara, la possibilità di realizzare la commemorazione dell’episodio di Intra (VB), molto diverso da quello di Meina nella sua dinamica. I soggetti coinvolti hanno ritenuto che indagarlo con questa modalità artistica avrebbe potuto essere un utile contributo al rilancio della stessa ricerca storica e per questo, dopo avere ampiamente riflettuto, si è deciso di accettare la proposta e di riaprire il lavoro di ricerca storica e artistica sul tema in occasione dell’imminente anniversario dell’8-11 ottobre 1943/2016. Le caratteristiche del lavoro di Francesca Amat, in costante dialogo con l’ambiente naturale e le ricerche storiche sui diversi episodi, permettono di realizzare installazioni site specific e human specific. Come spazio di realizzazione della performance è stato individuato il cortile dell’Hotel “Il Chiostro”, molto vicino a quella che nell’ottobre 1943 era la sede delle scuole femminili di Intra, utilizzata come comando dalle SS: il luogo in cui le quattro vittime sono state portate per essere uccise per via della loro appartenenza alla religione ebraica. L’intento comune è stato subito quello di sottolineare il legame familiare che univa le vittime (padre, madre e due figli), con modifiche alla installazione concepita nel 2013 che non ne hanno comunque alterato il significato complessivo. Si sono disposte all’interno del giardino quattro sole sedie, sempre cercando la corrispondenza sedia-vittima e su di esse, anche in questo caso, sono stati poggiati i legni lavorati dall’acqua de lago e dipinti di bianco. L’elemento acqua non è però in questo episodio centrale, contrariamente a quanto avvenuto in quello precedentemente indagato. I legni non sono stati quindi consegnati ai partecipanti, che hanno contribuito all’evolversi dello spazio rappresentativo con un altro simbolo. Chi ha partecipato a questa sessione di performance, (circa duecento studenti e una cinquantina di adulti nei venti turni di riproposizione dell’esperienza), ha ricevuto dall’artista una frase e un sasso come quelli utilizzati nei cimiteri ebraici. La frase e il sasso venivano consegnati in un ambiente chiuso adiacente il giardino, nel quale, dopo l’introduzione storica alla vicenda, era possibile ascoltare una musica appositamente composta dal musicista Manuel Consigli[12]. Il gruppo arrivava poi nel giardino in cui erano collocate le sedie, disposte in cerchio, e veniva invitato a posare il sasso in modo libero nello spazio. Si è preferito sottolineare con l’installazione la ritrovata unità del nucleo familiare (i quattro componenti sono stati catturati e uccisi in momenti differenti) e non insistere sull’elemento fuoco, legato al massacro: i corpi delle vittime vennero, secondo le testimonianze e le ricostruzioni, fatti a pezzi e bruciati nella caldaia della scuola accesa allo scopo. Anche in questo caso “testimoni muti” del massacro sono gli alberi, da cui Francesca Amat è partita per disegnare lo spazio della rappresentazione, mentre il lago, che si intuisce vicino, è escluso dalla vista.
Il percorso prevedeva l’attraversamento, fisico o metaforico, di diverse porte: una per entrare nell’ambiente performativo, una per accedere alla stanza in cui si formava il gruppo e venivano consegnati “gli strumenti” che permettevano ai partecipanti di interagire, una per entrare nel luogo della memoria costituito dalle ex scuole femminili. Questa porta, che pare non essere stata modificata nel corso degli oltre settanta anni che ci separano dai fatti rievocati, ha ricevuto i fogli bianchi con i commenti dei partecipanti nei due giorni della azione performativa, senza essere oltrepassata. Sappiamo infatti che i locali hanno cambiato destinazione d’uso e che all’interno dell’edificio, a parte una lapide spesso ignorata da chi lo frequenta, non si conserva testimonianza dei fatti, ma si è voluto immaginare di concludere il percorso “sostando” davanti all’ultimo passaggio effettuato in vita dai quattro componenti della famiglia Ovazza, un passaggio che è facile immaginare sia stato da loro percorso in una sola direzione.
L’arte aiuta nella costruzione dei percorsi sulla memoria?
Come nelle realizzazioni precedenti riferite all’episodio di Meina, la lettura dei commenti scritti, il dialogo che si è instaurato con molti dei partecipanti, hanno convinto della valenza del progetto artistico sul piano della trasmissione dei contenuti, ragione per cui si vorrebbe rielaborare la performance-installazione anche per gli altri sette episodi che compongono la strage, mantenendo i punti fermi individuati da Amat nella concezione iniziale, ossia la rievocazione del fatto storico attraverso un’esperienza multisensoriale che prende avvio da uno stimolo sonoro e gestuale fornito dall’artista, tenendo presente:
- la specificità di ogni episodio dell’Olocausto del Lago Maggiore, sia nelle sue dinamiche di svolgimento, che nei tempi di attuazione e nei legami che esistono tra i gruppi di vittime
- la specificità del luogo che verrà individuato per lo svolgimento e il suo legame con l’episodio indagato
- la sensibilità dei singoli utenti ai temi evocati dal luogo e dalla performance
Si desidera in questo modo giungere ad una ulteriore diffusione della conoscenza sul territorio di questa vicenda storica, che spesso si è constatato nei quattro anni di realizzazione di So.stare essere poco nota o conosciuta in modo impreciso e frammentato anche da chi abita nei luoghi in cui si sono svolti i fatti.
Note:
[1] Nell’articolo si utilizza il termine “Olocausto del Lago Maggiore”, mutuandolo da titolo del testo di Aldo Toscano, soprattutto facendo riferimento alla definizione appena enunciata, che prende in considerazione la vicenda nella sua estensione completa e le ricerche ad essa correlate. Il termine strage è utilizzato per indicarne singoli episodi, shoah viene utilizzato quando si rimanda al tema dello sterminio ebraico sotto i nazifascismi nel suo complesso.
[2] Francesca Amat è artista poliedrica che affianca la ricerca all’attività pedagogica e ha all’attivo collaborazioni con altri artisti, tra cui Alberto Casiraghi, Alda Merini, Corrado Fantoni, Giovanni Mancuso, Manuel Consigli, Bruno Tognolini.
[3] Quest’opera è stata realizzata dall’artista su commissione dell’Associazione Lis Lab, diretta dalla regista e curatrice di percorsi sensoriali Antonella Cirigliano in occasione di Villaggio d’artista, svoltosi a Meina (NO) dal 24 al 27 luglio 2013, uno dei momenti del progetto PerCorpi Visionari (www.percorpivisionari.eu). Fu poi inserita, in virtù dell’argomento trattato e dell’apprezzamento ricevuto, nel cartellone delle celebrazioni del Settantesimo anniversario della strage del Lago Maggiore coordinate dall’Istituto Storico della Resistenza Piero Fornara cui parteciparono i nove comuni coinvolti nella strage, l’Istituto comprensivo del Vergante, l ‘Associazione per l’Ebraismo Progressivo – Sinagoga Lev Chadash – Milano, la Comunità ebraica di Vercelli, l’Istituto comprensivo di Trecate con il patrocino del Comitato resistenza e costituzione della regione Piemonte e il CDEC di Milano.
[4] Proprio per questa ragione fu importante avere riunito in un unico comitato per le celebrazioni le amministrazioni di tutti i comuni coinvolti: significava affrontare la storia della strage nel suo svolgimento complessivo e renderne le effettive dimensioni. Ad oggi, come dimostrano gli ultimi studi, sono 57 le vittime accertate, tutte di religione ebraica. Un così alto numero di vittime mette questa strage, per numero di uccisi, tra le più rilevanti perpetrate dai nazifascisti in Italia ai danni degli israeliti. La strage comincia inoltre pochi giorni dopo l’8 settembre 1943. Il dibattito storiografico, come la ricerca volta anche alla definizione del numero preciso di vittime, quasi certamente destinato a salire, può essere ricostruita a partire dai più importanti studi pubblicati:
L. Picciotto Fargion, Il libro della memoria. Gli ebrei deportati dall’Italia (1943-1945), CEDEC-Mursia, Milano 1991
M. Nozza, Hotel Meina. La prima strage di ebrei in Italia, Mondadori, Milano 1993
A. Toscano, L’olocausto del Lago Maggiore (settembre-ottobre 1943), in “Bollettino Storico per la provincia di Novara” n. 1 anno 94 pp. 1-111, Società storica Novarese, Novara 1993. Ripubblicato in A. Toscano Io mi sono salvato. L’olocausto del Lago Maggiore e gli anni di internamento in Svizzera (1943-1945), Interlinea, Novara 2013, p. 276. La nuova edizione contiene anche il “Diario dell’internamento” in Svizzera e testi introduttivi di Alberto Toscano e Mauro Begozzi.
[5] L’episodio meinese dell’Olocausto del Lago Maggiore, che spesso viene ancora indicato come “strage di Meina” nel suo complesso, è di certo il più noto dei nove consumatosi nell’autunno 1943 nel territorio del novarese e del verbano cusio ossola e quello maggiormente studiato. Si veda in proposito La strage dimenticata. Meina Settembre 1943. Il primo eccidio di ebrei in Italia, Interlinea, Novara 2003, che raccoglie gli atti del convegno “Non c’è futuro senza memoria” organizzato dalla Comunità di Sant’Egidio e svoltosi a Novara il 18 novembre 2001
[6] La ricostruzione storica degli episodi indagati con il percorso artistico di Francesca Amat è stata condotta per il pubblico e le scolaresche in tutte le edizioni da Elena Mastretta per l’Istituto Piero Fornara.
[7] Il brano musicale utilizzato nell’installazione è: “Salmo Leviatanico n° 2”, di Corrado Fantoni e David Monacchi; tratto dall’opera “RDHEK”. Corrado Fantoni, symphonia e organo a canne – David Monacchi, flauto bansuri in Si b
[8] Sono state riportate le parole scritte da Amat per la conferenza stampa di luglio 2013.
[9] L’esperienza della secondaria di primo grado di Meina, intitolata ai Fratelli Fernandez Diaz, le tre più giovani vittime della strage, è in parte documentata in questo video https://www.youtube.com/watch?v=O4JfFZRAJVo.
[10] Alcuni commenti sono stati inseriti in questo video: https://www.youtube.com/watch?v=Tiwk-BaZoNA.
[11] Durante le giornate di Meina al parco di Villa Faraggiana parteciparono alla performance i discendenti di alcune delle vittime dell’episodio di Arona e la famiglia della testimone della strage di Meina Rachel Behar.
[12] In questa occasione il ruolo di “guida” è stato assunto oltre che da Francesca Amat anche da Raffaella Chillé