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Terrorismi, stragi e violenza politica nell’Italia degli anni Settanta e Ottanta

Gli intrecci tra uso pubblico della storia, ricerca scientifica e didattica

I primi soccorsi dopo l’esplosione della bomba alla Stazione di Bologna, 2 agosto 1980.
Di sconosciuto – sconosciuta, Pubblico dominio, Collegamento

Abstract

È un luogo comune consolidato che la storiografia e gli studi storici abbiano affrontato con ritardo il tema del terrorismo, delle stragi e della violenza politica nell’Italia degli anni Settanta e Ottanta. In realtà da lungo tempo esiste un articolato dibattito scientifico che ha coinvolto diverse discipline delle scienze umane e sociali. Tuttavia, a fronte della mole di ricerche, si riscontrano ancora oggi non poche difficoltà nell’insegnamento: sia nelle università che nelle scuole medie superiori. Diversi fattori hanno contribuito a delineare questo ritardo. Innanzitutto, le diverse lacune di ricostruzione che riguardano non pochi passaggi di quella drammatica pagina della storia repubblicana. In secondo luogo, la difficoltà a legare i temi del terrorismo e della violenza politica alle grandi fratture politiche, culturali e sociali che hanno scandito la storia del ‘900. A questo si aggiungano la proliferazione di teorie del complotto, la cui portata è aumentata di pari passo all’implementazione delle tecnologie digitali, e la prevalenza, nel dibattito pubblico, di una letteratura grigia le cui chiavi interpretative e le cui ipotesi di ricostruzione sono schiacciate su una prospettiva prevalentemente giudiziaria.

In realtà è oggi possibile fruire non solo di una storiografia matura che offre diversi possibili percorsi d’approfondimento, ma esiste anche l’opportunità di utilizzare diversi strumenti di facile accesso: dagli archivi on-line a tutta una serie di materiali digitali utilizzabili per costruire dei percorsi d’insegnamento. Si tratta di una mole enorme di documentazione oggi liberamente consultabile, per la cui realizzazione è stato fondamentale il contributo delle associazioni dei famigliari delle vittime del terrorismo e delle stragi.

Introduzione

Negli ultimi anni si è registrata un’importante evoluzione degli studi storici sul terrorismo italiano. Il cambiamento è dipeso da molteplici fattori: innanzitutto, la maggiore disponibilità di fonti consultabili ha permesso di individuare nuovi terreni d’indagine che prima, invece, erano preclusi. Non soltanto per quanto riguarda le vicende dei gruppi terroristici, di cui oggi abbiamo una conoscenza più approfondita. C’è stato un cambiamento di sensibilità, per cui si stanno aprendo nuovi filoni di ricerca: dalle ricadute delle stragi e degli atti di terrorismo sulla società e sul sistema politico alle reazioni dei grandi partiti di massa, fino al ruolo dello Stato, della società civile, degli intellettuali, dei movimenti. È in corso, dunque, una trasformazione significativa, la cui spia più emblematica è costituita dalla moltiplicazione delle tesi di dottorato su questi temi.

Fino a tempi recenti, infatti, lo stragismo, i terrorismi di destra e sinistra, la violenza politica e più in generale il conflitto politico e sociale degli anni Settanta non sono stati terreno specifico ed esclusivo dell’indagine storiografica. Esisteva, in Italia e all’estero, un dibattito culturale e accademico su questi nodi della recente storia nazionale, in particolar modo all’interno delle scienze politiche e sociali da lungo tempo attente al fenomeno del terrorismo e della violenza politica, in special modo nel mondo accademico anglosassone. Fu una stagione di studi fondamentale, le cui metodologie e i risultati furono riprese dall’Istituto Carlo Cattaneo di Bologna e i cui risultati ottenuti sono tutt’oggi validi.[1]

Erano, tuttavia, ricerche lontane dalla sensibilità storiografica e distanti, per la natura stessa di quelle discipline, dai quesiti e dai temi che di norma scaturiscono da un percorso di ricerca basato sulle fonti d’archivio disponibili.

Nel sentire comune quest’ultimo punto è stato a lungo ritenuto il problema cruciale che spiegava l’impossibilità di affrontare storicamente gli anni Settanta, facendo prevalere altre narrazioni, a partire dalla memorialistica fino alla letteratura militante. L’assenza di documenti attendibili e consultabili è stata denunciata a più riprese, sia dalla comunità degli storici accademici che nel più largo dibattito pubblico. Pesava, in questa percezione, l’impossibilità di accedere agli archivi dei servizi d’informazione, civili e militari, predisposti alla sicurezza dello Stato e coinvolti nelle vicende più oscure di quegli anni, a partire dagli attentati contro i civili.

La progressiva apertura degli archivi sta cambiando il quadro di riferimento. Le associazioni dei familiari delle vittime delle stragi neofasciste hanno apportato un fondamentale contributo in questa direzione. La Casa della memoria di Brescia ha svolto un ruolo fondamentale, così come le altre associazioni, a partire da quella dei Familiari delle vittime della strage alla stazione di Bologna del 2 agosto 1980, con la raccolta e la digitalizzazione di tutti i procedimenti penali riguardanti gli attentati neofascisti.[2] Il ruolo delle associazioni è stato, infine, determinante per la conversazione e messa a disposizione degli incartamenti processuali e di tanto altro materiale archivistico, come nel caso dell’Associazione parenti della strage di Ustica che nel 2006 ha donato il proprio archivio all’Istituto Parri di Bologna.[3] Si è così innescato un circolo virtuoso che ha portato alla moltiplicazione di nuove ricerche e studi.[4]

Gli storici possono così far riferimento a una massa enorme di documenti di ogni tipo, compresi quelli provenienti dai servizi di sicurezza dello Stato. Di questa nuova disponibilità ha giovato la didattica, sia a livello universitario che a livello scolastico. Sovente taciuto, in realtà, quest’aspetto è senz’altro il più importante perché rappresenta il passaggio di questi temi dal dibattito pubblico a quello prettamente educativo, connesso alla programmazione didattica e alle sue implicazioni pedagogiche. Una trasformazione resa possibile dalla maturazione storiografica, oggi in grado di sintetizzare e tematizzare l’eterogena realtà di ricerche che caratterizza gli anni del terrorismo e delle stragi.

A dire il vero già da anni la scuola secondaria di secondo grado ha visto susseguirsi diverse iniziative volte all’insegnamento delle problematiche connesse al nodo della violenza politica nell’Italia repubblicana. Si tratta di progetti che sono stati capaci di attivare, anche in questo caso, un intreccio virtuoso tra gli istituti scolastici, il corpo docente, la rete delle associazioni dei famigliari delle vittime e le università.[5] Gli Istituti storici della Resistenza hanno giocato un ruolo chiave nel connettere le diverse realtà, attivando l’interlocuzione con le istituzioni pubbliche, prime tra tutte le Regioni e i Comuni che in diversi casi hanno fornito sostegno e finanziamenti a diversi progetti incentrati sia sulla didattica che sulla ricerca bibliografica e di archivio.[6] Non esistono né un bilancio, né una stima di massima di queste iniziative, il cui monitoraggio, tuttavia, sarebbe urgente per favorire la reciproca conoscenza e il confronto tra i modelli didattici messi in campo. Così, ad esempio, nel febbraio del 2009 la Casa della Memoria di Brescia attivava un corso di aggiornamento per i docenti della scuola secondaria di secondo grado sul tema Gli anni ’70 del XX secolo in Italia tra guerra fredda, tensioni sociali, ideologiche e partecipazione. Nel 2015 l’Istituto Piemontese per la Storia della Resistenza e della società contemporanea “Giorgio Agosti” lanciava un ciclo di seminari della sua Scuola di alta formazione sul tema L’uso politico della violenza: la Resistenza e gli anni Settanta.[7]

Negli anni questi progetti didattici (impossibili da sintetizzare in questa sede) non solo si sono infittiti, ma sono diventati sistematici, con programmi annuali che spaziano tra diversi argomenti, consentendo l’aggancio del tema della violenza e del terrorismo ai grandi nodi storiografici che caratterizzano lo studio del Novecento, non di rado aprendosi ai dibattiti politici e culturali che hanno segnato la storia del XXI secolo.[8] È il caso di ricordare come l’insieme di questi progetti svolga un vero e proprio ruolo suppletivo nei confronti dei programmi ministeriali, la cui applicazione, nei contesti scolastici, trova difficoltà nell’approfondire la storia del ‘900. Il proliferare di tali iniziative ha avuto un significativo riconoscimento dal Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca con la firma di un protocollo d’intesa con le principali associazioni dei famigliari delle vittime del terrorismo per favorire percorsi didattici nelle scuole riguardanti i terrorismi e le stragi nell’Italia degli anni Settanta e Ottanta.[9]

 

Le trasformazioni seguite all’apertura degli archivi

L’innesto della nuova documentazione, come accennavamo, ha permesso una riflessione più articolata e meno contaminata dalle interpretazioni delle scienze politiche e sociali. Si è infatti attivato un circuito virtuoso che ha permesso di “ripensare” le fonti, perché, in realtà, tantissimi documenti per lo studio dei terrorismi erano sempre stati disponibili: non solo negli archivi giudiziari, ma nelle emeroteche e nelle biblioteche, pubbliche e private. Vale la pena soffermarsi su come oggi parte di questo materiale sia fruibile in formato digitale, grazie agli istituti bibliotecari, pubblici e privati, che sempre più stanno promuovendo la conversione digitale del patrimonio posseduto.[10] Così, ad esempio, è stato possibile lavorare sulle culture politiche dei terrorismi, un tema importantissimo, squisitamente storiografico, troppo a lungo tralasciato.

L’apporto delle nuove generazioni di storici, inoltre, sta contribuendo a rinnovare gli indirizzi di ricerca, interrompendo il cortocircuito che si era prodotto a causa dell’eccessivo peso della memoria nella ricostruzione e nella ricezione di quegli eventi, perfino all’interno della comunità scientifica.[11] Il ruolo delle nuove generazioni, però, non andrebbe enfatizzato. Al contrario, l’evoluzione ha riguardato più generazioni di studiosi: vi è stata, come abbiamo accennato, una vera e propria trasformazione della sensibilità storiografica che ha permesso di inserire lo studio dei terrorismi all’interno di un campo di analisi più vasto: come, ad esempio, con i contributi di Agostino Giovagnoli,[12] Carlo Fumian,[13] Simone Neri Serneri,[14] Mirco Dondi,[15] mentre sempre di più il tema del terrorismo viene affrontato all’interno di una dimensione di lunga durata per rintracciare i nessi e le continuità con la storia del Novecento.[16] Un ruolo molto importante, infine, è stato svolto dalla storiografia internazionale, come nel caso dei lavori di Marc Lazar, Marie-Anne Matard-Bonucci, Philip Cooke o Anna Cento Bull.[17]

Vi è dunque un’inversione di tendenza, soprattutto negli studi storici, che non è stata ancora colta dal dibattito pubblico e in parte di quello scientifico, ma che è paradossalmente più visibile nei programmi didattici, sia a livello universitario che a livello scolastico. Le stragi di piazza Fontana e di Brescia, ad esempio, sono oggi molto più indagate ed appaiono molto meno oscure di quanto non fosse accaduto fino a qualche anno fa. La documentazione messa a disposizione, come già accennato, si è moltiplicata. L’esempio più significativo è il portale della “Rete degli archivi per non dimenticare”. Il progetto nasce nel 2005 per iniziativa del Centro documentazione archivio Flamigni, a cui si associano, a partire dal 2006, tante altre associazioni e istituti fino a formare il network Archivi in rete per non dimenticare: terrorismo, stragi, violenza politica, movimenti e criminalità organizzata. Il 9 maggio 2011, in occasione della Giornata della memoria dedicato alle vittime del terrorismo nasce il portare Rete degli archivi per non dimenticare, inserito all’interno del Sistema Archivistico Nazionale. Si tratta di un progetto in espansione che ha messo, però, già a disposizione decine migliaia di documenti in formato digitale, per lo più provenienti dagli archivi giudiziari e dalle diverse Commissioni parlamentari d’inchiesta che si sono occupati di stragi e terrorismo.[18] Una grande disponibilità di documenti che, tra l’altro, mettono in grado i docenti di organizzare percorsi didattici facendo riferimento a fonti primarie. Sul portale, inoltre, sono disponibili decine di schede sulle vittime del terrorismo e delle stragi, particolarmente idonee per la costruzione di lezioni e moduli d’insegnamento.[19]

Certo il lavoro da fare è ancora molto e coinvolge diverse figure professionali: storici, bibliotecari ed archivisti innanzitutto. Ad esempio, sarebbe necessario promuovere una mappatura degli archivi e delle fonti riguardanti i terrorismi. Esistono già lavori di questo tipo, ma la mole di documentazione ipotizzabile per la ricerca è davvero grande, se pensiamo, ad esempio, agli archivi giudiziari sparpagliati sul suolo nazionale.[20] C’è il rischio, infatti, che molto materiale possa finire al macero. Un problema analogo si pone, poi, per le fonti prodotte dalle istituzioni, com’è noto, non sempre versate integralmente negli archivi competenti, con la prospettiva di essere disperse se non addirittura distrutte. Infine c’è il problema della documentazione non ancora accessibile e coperta dal segreto di Stato.[21]

Le direttive Renzi e Prodi hanno recentemente desecretato una mole ingente di documenti riguardanti le stragi degli anni Settanta e Ottanta, e rappresentano un significativo passo in avanti, nonostante le criticità che inevitabilmente operazioni del genere comportano.[22] I due provvedimenti sono stati varati in due distinti momenti nel 2008 e nel 2014, dai due presidenti del Consiglio allora in carica, Romano Prodi e Matteo Renzi. La prima direttiva mirava a rendere accessibili i documenti resi disponibili dalle inchieste della magistratura e dalle attività della Commissione Stragi; la seconda ha disposto, con procedura straordinaria, che tutte le amministrazioni dello Stato versassero all’Archivio centrale dello Stato la documentazione riguardante le stragi che avevano colpito il paese tra il 1969 e il 1984.

 

Ambivalenze e insidie della documentazione giudiziaria

Il materiale giudiziario e quello prodotto dalle Commissioni parlamentari d’inchiesta presentano, tuttavia, delle problematicità – anche dal punto di vista della didattica – che in questa sede conviene rapidamente esaminare. Il caso più interessante è rappresentato dalle Commissioni parlamentari d’inchiesta sul terrorismo e sulle stragi, in virtù della permeabilità dei confini tra attività politica, attività giudiziaria e interpretazione storica che è ben rispecchiata nel loro ruolo, volto all’acquisizione di conoscenze disposte da una o entrambe le Camere.[23]

Un rapido accenno al funzionamento di tali organismi ci consente di aprire una serie di problematiche riguardo l’acquisizione del materiale documentario, della sua interpretazione e della sua finalizzazione. Oggi un portale predisposto dalla Camera dei Deputati ha reso disponibile tutti i materiali prodotti dalle diverse Commissioni che si sono susseguite negli anni e che si sono occupate dei più svariati temi: dalla disoccupazione alla miseria, dalla mafia ai crimini nazifascisti.[24]

La commissione d’inchiesta, infatti, è dotata degli stessi poteri e degli stessi limiti dell’autorità giudiziaria esercitati nella fase istruttoria, ma non quelli della fase di giudizio, poiché la funzione esercitata dalla commissione non è giurisdizionale, ma politica.[25] I componenti della Commissione, inoltre, sono nominati dai diversi gruppi parlamentari. I lavori della commissione si chiudono, infine, con la stesura di una relazione, con le informazioni acquisite, la valutazione dei fatti accertati e di eventuali proposte. Sono di norma previste relazioni di maggioranza e di minoranza.

Nella seconda metà degli anni Ottanta, con il progressivo esaurirsi del fenomeno terroristico, si registrarono i primi tentativi di costituzione di Commissioni parlamentari d’inchiesta su quanto era accaduto in Italia nei due decenni precedenti. In realtà, dal 1979 al 1983, era già stata attiva la Commissione parlamentare d’inchiesta sulla “strage di via Fani, sul sequestro e l’assassinio di Aldo Moro e sul terrorismo in Italia”. Nel 1987, vi fu la prima Commissione d’inchiesta monocamerale sul tema delle stragi e del terrorismo, presieduta dal democristiano Gerardo Bianco, scioltasi, però, quasi immediatamente, per via della chiusura anticipata della legislatura. Nel 1988 viene istituita, infine, la Commissione stragi, che sarà attiva per diverse legislature (X, XI, XII e XIII). Nella X e XI legislatura, il presidente fu il senatore Libero Gualtieri (Pri), mentre dal 1994 al 2001 (XII, XIII legislatura) a dirigerla venne chiamato il sen. Giovanni Pellegrino.

I lavori della Commissioni si intrecciarono con i risultati di diversi filoni d’indagine giudiziaria che proprio tra la fine degli anni Ottanta e la prima metà degli anni Novanta stavano prendendo piede, con le inchieste della magistratura sul caso “Gladio”, l’istruttoria sugli attentati di Bologna e del treno “Italicus” e infine la riapertura delle indagini sulle stragi di piazza Fontana e di Brescia.[26]

A loro volta questi processi si svolgevano in un contesto di grandi cambiamenti per la storia repubblicana, nel mezzo di un vero e proprio processo di transizione che si verificò tra la seconda metà degli anni Ottanta e gli anni Novanta, segnando il passaggio da un sistema politico ad un altro, come ormai la storiografia ha riconosciuto, seppure con interpretazioni e accenti diversi. Sicché i lavori della Commissione stragi risentirono inevitabilmente degli scontri politici in corso, del mutare degli indirizzi e delle strategie adottate dai nuovi partiti protagonisti della seconda Repubblica.

Dunque, alla magistratura e alle Commissioni parlamentari d’inchiesta veniva affidato il compito di “ri-scrivere” la storia repubblicana in una fase di transizione nazionale particolarmente delicata. E in un contesto mondiale tra l’altro caratterizzato da cambiamenti epocali – la caduta del muro di Berlino e l’implosione del sistema sovietico – che avevano giocato un ruolo fondamentale nell’accelerare la transizione politica in Italia. Come ha scritto Pier Paolo Portinaro, in questi fasi di transizioni, «la ricerca di una via d’uscita, giuridicamente, moralmente e politicamente negoziata e socialmente condivisibile, da regimi violenti ed oppressivi, da guerre civili o da situazioni genocidarie è diventata una delle preoccupazioni dominanti della politica, interna e internazionale, in età contemporanea».[27]

Gran parte della letteratura su questo tema ha visto la luce nella seconda metà del XX secolo, durante fasi di transizione complesse in cui si andavano consolidando nuovi regimi politici, in gran parte democratici. Si tentava, in questo modo, d’individuare una via alternativa sia alla brutale resa dei conti tra vincitori e vinti, sia all’amnistia e al conseguente rischio di oblio e indifferenza rispetto alle tragedie vissute. Gran parte di questi esperimenti istituzionali furono avviati nel corso degli anni Ottanta, dando risultati nel decennio successivo: i casi più noti furono la “Comisiòn nacional para la desapariciòn de personas in Argentina” (19831984), la “Comisiòn nacional para la veridad y reconciliaciòn in Cile (19901991)”, la “Truth and Reconciliation Commission “in Sud Africa (1995 – 1998). Si tratta delle cosiddette “Commissioni verità” che aspiravano ad andare oltre l’esigenza della semplice resa dei conti giudiziaria con il passato, acclarata l’impossibilità di aprire contemporaneamente migliaia di processi e di dare compiuta soddisfazione alle vittime.[28] L’accertamento della verità dei fatti venne, così, a svolgere nei processi di transizione alla democrazia una funzione quasi costituente. La via delle Commissioni per la verità si legittimava proprio in virtù dell’attenzione rivolta alle vittime, producendo un cambiamento dell’oggetto della memoria sociale, che da «memoria del male inferto diventa memoria del male sofferto».[29] La pace non è considerata da questa letteratura come la precondizione della giustizia, ma piuttosto è la «giustizia a valere come condizione della pacificazione. Soltanto sulla sua base si può conseguire la riconciliazione».[30]

Nulla di tutto ciò è avvenuto, in Italia, con le Commissioni parlamentari d’inchiesta sul terrorismo e sulle stragi in un contesto nel quale le Associazioni dei famigliari delle vittime hanno combattuto per anni da sole la battaglia per la verità, fino ai giorni nostri. Le Commissioni, tuttavia, hanno prodotto una vasta mole di documentazione, rendendola pubblicamente accessibile e oggi in buona parte disponibile online.[31]

Dunque, possono essere rivelati tantissimi limiti, anche di carattere interpretativo, sui risultati ottenuti. Ma la riflessione più importante deve essere svolta attorno alla concezione stessa della Commissione parlamentare, per sua natura completamente diversa dalle Commissioni “Truth and Reconciliation” che in altre nazioni, come in Sud Africa, hanno avuto un impatto decisamente maggiore rispetto al caso italiano, anche per la differenza dei conflitti di cui si sono dovuti occupare, in prevalenza guerre civili, una condizione che nel nostro paese è invece completamente mancata. Rileggendo gli atti e la documentazione delle Commissioni stragi e terrorismo, si ha l’impressione, infatti, che il lavoro di ricerca e di rielaborazione sia stato il frutto di un compromesso tra le diverse forze politiche che di volta in volta esprimevano i commissari e i loro consulenti, promuovendo, tra l’altro, due relazioni conclusive, di maggioranza e di minoranza.[32]

La difficoltà più grande delle Commissioni è stata, però, l’oscillazione tra l’invocare una memoria condivisa di quegli anni – una visione solo in minima parte accettabile – e l’idea che nel paese si fosse combattuta una guerra civile a bassa intensità. Si tratta di due letture speculari ed opposte, entrambe distorsive, ampiamente riprese e declinate nelle più diverse forme. Il rischio implicito in questo tipo di discussioni è duplice: da un lato, la memoria viene ricollocata al centro della rielaborazione pubblica, annullando il lasso di tempo intercorso e attualizzando una stagione che da lungo tempo si è definitivamente conclusa; dall’altro, si è ampliato lo spazio dove proliferano le più diverse teorie cospirative, oggi maggiormente diffuse di ieri, in special modo nella rete.[33]  Al lavoro delle Commissioni è seguito un corollario di filoni interpretativi, inchieste giornalistiche, ricostruzioni controfattuali, libelli politici, letteratura giallistica, etc., amplificati e veicolati dai mass media, che hanno complicato non solo il lavoro di ricerca storica, ma anche la didattica legata a questi temi.

La disponibilità di una maggiore documentazione d’archivio ha allontanato questo rischio (pur sempre presente), mettendo in discussione e problematizzandolo il rapporto con le diverse memorie degli anni Settanta. A partire da quelle presenti nel dibattito pubblico fino alle memorie militanti, marginali, è vero, ma entro una certa misura, perché spesso veicolate da case editrici di peso nazionale o diffuse dai grandi mezzi di comunicazione di massa.[34]

 

Dalla memoria alla storia

Da questo confronto sono scaturiti molteplici filoni di ricerca, sicuramente importanti anche per la costruzione di percorsi didattici: comprendere, ad esempio, la violenza dispiegatasi in quegli anni, per restituirne il senso e per ripensare una periodizzazione che spieghi la sua genesi, l’impatto avuto sulla società di allora e le conseguenze sul sistema politico. Le motivazioni e le finalità della violenza rimangono, infatti, ancora oggi oscure, in special modo nella didattica. A lungo, ad esempio, se ne è negato il carattere politico, mentre abbondavano – anche in campo scientifico – le letture e le interpretazioni che ne esaltavano il carattere irrazionale o il suo essere espressione di un immodificabile dato antropologico degli italiani. Il nodo violenza/anni Settanta sembrava, dunque, completamente irrisolto: in particolar modo nella memorialistica, dove la violenza veniva restituita come un fenomeno subìto e mai agita.

Occorre, innanzitutto, una riflessione sulle periodizzazioni impiegate per spiegare e ricostruire la genesi della violenza politica, fatta ricadere principalmente ai primi anni Settanta come reazione alla strage di piazza Fontana del 12 dicembre 1969. Questo evento, intendiamoci, fu un vero e proprio spartiacque, senza la comprensione del quale è impossibile comprendere il processo di radicalizzazione della lotta politica e la nascita della lotta armata di sinistra. Le radici di questo processo, tuttavia, affondano indietro negli anni. Assumendo questa prospettiva non si vuole ridimensionare l’importanza delle bombe del 12 dicembre. Al contrario: partendo dal presupposto che l’attentato di Milano fu il culmine di un piano di destabilizzazione che trovò diversi interpreti ed esecutori, principalmente in gruppi terroristici neofascisti supportati da cordate interne all’intelligence italiana e statunitense, e non un evento improvviso, si può cogliere meglio il salto di qualità introdotto dalla strage di piazza Fontana. Chi organizzò gli attentati, infatti, tenne in conto la molteplicità di reazioni che essi potevano suscitare nella società italiana. Tra queste l’accelerazione verso l’adozione di repertori radicali nei gruppi e nei movimenti che erano già predisposti alla violenza o avevano già annunciato il loro impiego.[35]

In questa prospettiva, gli anni Sessanta furono un vero e proprio laboratorio di idee e di pratiche poi dispiegatesi nel decennio successivo. Su questo punto, ormai, convergono diverse riflessioni e ricerche in ambito storiografico che si sono aggiunte, come abbiamo visto, al dibattito da lungo tempo in corso nelle scienze sociali. Il confronto con le fonti d’archivio mostra con chiarezza l’intersezione tra i processi di lunga e media durata alle radici del terrorismo. A partire dall’influenza della guerra totale e della guerra civile sulle modalità della lotta politica nel secondo dopoguerra, il peso dell’anticomunismo, il mito della Resistenza tradita e della rivoluzione incompiuta nell’orizzonte culturale dei partiti e dei movimenti di sinistra, le logiche della guerra fredda e la loro ricaduta nella percezione e nella gestione del conflitto sociale, il problema della continuità o meno con le istituzioni del regime fascista. A questi nodi vanno aggiunti i cambiamenti che incominciarono a delinearsi a inizio decennio: la fine del centrismo, la nascita del centro-sinistra, l’avvento della società dei consumi, l’allargamento dei diritti sociali e civili, le mutazioni del capitalismo italiano, la ristrutturazione interna del mercato del lavoro, l’emergere di inedite forme di conflitto sociale, l’ingresso sulla scena pubblica delle nuove generazioni.[36]

Terrorismo e violenza politica, dunque, non appaiono affatto come fenomeni avulsi dal contesto politico e sociale che li aveva espressi: diversi percorsi d’archivio, tra essi intrecciati, mostrano, anzi, una continuità semantica, di repertori d’azione e di orizzonti mentali e culturali condivisi tra movimenti collettivi, gruppi politici e le formazioni armate. Allo stesso modo, proprio il confronto con i documenti scoraggia facili automatismi: scagliare una pietra non porta necessariamente alla scelta delle armi e tra forme di violenza, anche radicale, si stagliano confini etici e morali molto netti.

Si tratta di un percorso da costruire negli archivi e attraverso il costante confronto con le fonti, che si scontra con la lettura di segno opposto, tutt’oggi prevalente nel dibattito pubblico e trasversale da destra a sinistra: gli anni Settanta, cioè, come “guerra civile”. Per quanto tale lettura abbia radici lontane, il suo ripresentarsi riflette un uso pubblico della storia piegato a interessi di parte.[37] Lo dimostra il costituirsi di un senso storico artificiale, nel quale il passato è costantemente riattualizzato, come se non fossero intervenuti negli ultimi decenni fratture radicali e profondi cambiamenti nella società, nella mentalità collettiva e nelle culture politiche. Si tratta di problemi ricorrenti, non solo all’interno del dibattito storiografico italiano. Per questa ragione, la dimensione comparativa può essere davvero utile, a patto che essa avvenga all’interno di un percorso tracciabile di archivi e documenti. Per quanto riguarda la Germania Federale, ad esempio, il lavoro di comparazione è stato compiuto in diversi studi.[38] E tuttavia proprio la comparazione aiuta a rimarcare le differenze e non solo a evidenziare le affinità tra fenomeni storici.

 

Conclusioni

Per altro verso la strada da percorrere è ancora molto lunga. È auspicabile che le ricerche storiche, basate sulle fonti oggi disponibili, portino a una revisione critica della letteratura scientifica sul terrorismo che ormai ha raggiunto, in particolar modo nel mondo anglosassone, una dimensione elefantiaca che ha originato un dibattito autoreferenziale ed autopropulsivo, tutto interno a quello che ormai sembra delinearsi come un filone di studio autonomo. Bisogna non solo interrogarsi sulle discipline che maggiormente hanno contribuito a queste discussioni – le scienze politiche, sociali e psicologiche, innanzitutto – ma anche sul contesto politico, istituzionale e accademico dove, di volta in volta, lo studio del terrorismo è stato promosso. Vi è il paradosso, infatti, di avere una letteratura sul terrorismo molto più vasta della storia delle diverse organizzazioni armate: si è scritto molto, ad esempio, sulle organizzazioni terroristiche neofasciste, senza, però, una reale conoscenza delle loro vicende, della loro organizzazione, della loro composizione e della loro cultura politica. Ne consegue il possibile rischio che in sede di ricostruzione storica si tendano a replicare interpretazioni e analisi che non di rado sono state costruite su una conoscenza parziale.

Si deve lavorare per affermare, come accennato, un approccio storiograficamente critico al problema del “terrorismo”, una categoria oggetto di molte polemiche, nel dibattito pubblico come in quello scientifico. Non si possono sottovalutare, infatti, le ricadute sull’uso del termine, dopo gli attacchi qaedeisti alle Torri Gemelle dell’11 settembre 2001 e gli interventi militari in Afghanistan e Iraq, dilatatosi in maniera eccessiva, fino a comprendere fenomeni politici e sociali molto diversi tra loro.[39] In realtà, da decenni si ricorre con spregiudicatezza al termine terrorismo, ma le comunicazioni di massa su vasta scala e la rivoluzione digitale degli ultimi anni hanno contribuito a impiegare questo termine in maniera esponenziale. Allo stesso tempo non è possibile prescindere da tale letteratura: negare aprioristicamente la validità della categoria di terrorismo porta a sostenere un approccio, speculare e opposto, di chi ne abusa dal punto di vista politico. Ribadire la centralità del lavoro d’archivio significa, dunque, dotarsi di un antidoto contro il rischio di distorsioni interpretative.

Diviene così sempre più stringente l’esigenza metodologica di restituire il più possibile la specificità di ogni percorso, collettivo e individuale. Al costo di giungere ad un paradosso: proprio quando il tema della violenza ritrovava la sua centralità nella comprensione e nella narrazione degli anni Settanta, si manifesta la necessità di relativizzarne la sua portata. Essa non racchiude il senso di un’epoca, semmai è la manifestazione di una stagione ambivalente, altamente conflittuale ma al contempo pervasa da un profondo processo di democratizzazione della società italiana.


Note:

[1] G. Ceci, Interpretazioni del terrorismo: il primo dibattito scientifico italiano (19771984), «Mondo contemporaneo, 3, 2009, pp. 49-106.

[2] B. Tobagi, Le «familialisme moral» des années 2000: l’engagement politique des victimes des massacres, du terrorisme et de la mafia, entre procès, histoire et mémoire, in C. Moge, G. Panvini, P. Picco (sous la direction de), «Sans recourir à la violence»: la société italienne face aux terrorismes et aux mafias (19691992), «Laboratoire italien», 22, 2019.

[3] http://www.istitutoparri.eu/archivio/fondi-e-raccolte/fondi-cartacei/elenco-alfabetico; scheda consultata il 29.06.2020.

[4] Cfr., ad esempio, L. Alessandrini (a cura di), 1980: l’anno di Ustica, Mondadori Università, Milano 2020. Il volume raccoglie gli interventi dell’omonimo convegno svoltosi a Bologna il 29 e il 30 ottobre 2015. Cfr., in particolar modo, A. Antonelli, Riflessione sugli archivi dell’Associazione parenti delle vittime della strage di Ustica all’interno del progettoUna città per gli archivi”, pp. 165-176. Vedi, infine, C. Aranci, Ustica. Una ricostruzione storica, Laterza, Roma-Bari 2020.

[5] C. Venturoli, Esperienze nelle scuole, in G. Battelli, A. M. Vinci (a cura di), Parole e violenza politica. Gli anni Settanta nel Novecento italiano, Carocci, Roma 2013, pp. 201-214. L’autrice è stata tra le prime studiose dello stragismo e ha dedicato diversi contributi al problema dell’insegnamento di questo tema in ambito accademico e nella scuola secondaria. Per comodità rimando a C. Venturoli (a cura di), Come studiare il terrorismo e le stragi. Fonti e metodi, Marsilio, Venezia 2002.

[6] Nel 2005 la Regione Toscana promuoveva il volume, a cura di A. R. D’Agnelli, K. Ferri (a cura di), Il terrorismo e le stragi. Strumenti per lo studio della violenza politica in Italia tra gli anni Sessanta e Settanta, Regione Toscana-Centro di documentazione Cultura della Legalità Democratica, 2005.

[7] http://www.istoreto.it/wp-content/uploads/2015/11/Scuola-di-alta-formazione.pdf; scheda consultata il 26.06.2020.

[8] Si vedano, ad esempio, i programmi dell’Istituto storico della Resistenza e dell’Età contemporanea di Forlì-Cesena Memorie del futuro (https://istorecofc.it/sites/default/images/articles/media/20/POF%202019-2020-web.pdf) e Novecento e oltre (http://www.istitutoparri.eu/files/Offerta_Formativa_2019-20.pdf) dell’Istituto Storico Parri.

[9] https://www.miur.gov.it/documents/20182/226563/Protocollo+Protocollo+MIUR+–+Associazioni+vittime+del+terrorismo/bdc6f7c0-941f-4bb2-aa0a-28277c9492da?version=1.0; scheda consultata il 23.06.2020.

[10] Come, ad esempio, nel caso della Biblioteca Gino Bianco di Forlì: http://www.bibliotecaginobianco.it; scheda consultata il 19.06.2020.

[11] I terrorismi italiani degli anni ’70 e ’80, interventi di Giovanni Mario Ceci, Guido Panvini, Luca Falciola, Monica Galfrè, a cura di G. Gozzini e C. Fumian, «Passato e Presente», 97, 2016, pp. 27-58.

[12] A. Giovagnoli, Il caso Moro. Una tragedia repubblicana, il Mulino, Bologna 2005.

[13] P. Calogero, C. Fumian, M. Santori, Terrore rosso: dall’autonomia al partito armato, Laterza, Roma-Bari 2010

[14] S. Neri Serneri (a cura di), Verso la lotta armata. La politica della violenza nella sinistra radicale degli anni Settanta, il Mulino, Bologna 2012.

[15] M. Dondi, L’eco del boato. Storia della strategia della tensione, 19651974, Laterza, Roma-Bari, 2016.

[16] G. M. Ceci, Il terrorismo italiano. Storia di un dibattito, Carocci, Roma, 2013.

[17] B. Armani, Italia anni settanta. Movimenti, violenza politica e lotta armata tra memoria e rappresentazione storiografica, «Storica», 32, 2005 ed Id., La violenza della politica: letture e riletture degli anni Settanta, «Contemporanea», 4, 2010, pp. 753-760.

[18] https://www.memoria.san.beniculturali.it/web/memoria/home; scheda consultata il 19.05.2020.

[19]https://www.memoria.san.beniculturali.it/web/memoria/protagonisti/muro-memoria; scheda consultata il 10.06.2020.

[20] I. Moroni, Rete degli archivi per non dimenticare: guida alle fonti per una storia ancora da scrivere, Istituto Centrale per il Restauro e la Conservazione del Patrimonio Archivistico e Librario, 2010.

[21] G. Panvini, Le fonti sui terrorismi italiani: il punto di vista degli storici, http://www.ilmondodegliarchivi.org/rubriche/il-potere-degli-archivi/495-le-fonti-sui-terrorismi-italiani-il-punto-di-vista-degli-storici-9maggio; scheda consultata il 10.06.2020.

[22] I. Moroni, B. Tobagi, LaDirettiva Renzie le carte sulle stragi, «Le carte e la storia», 2, 2018, pp. 5-17.

[23] Per l’attività delle diverse Commissioni parlamentari d’inchiesta cfr. http://www.parlamento.it/bicam/home.htm.

[24] https://inchieste.camera.it/inchieste/?longText=true.

[25] I poteri di cui la commissione può disporre sono i poteri esercitati dall’ autorità giudiziaria, come, ad esempio, la convocazione e l’interrogazione dei testimoni, la richiesta dei documenti, le perquisizioni, i sequestri e le intercettazioni.

[26] Aldo Giannuli, L’abuso pubblico della storia. Come e perché il potere politico falsifica il passato, Guanda, Parma 2009.

[27] P. P. Portinaro, I conti con il passato. Vendetta, amnistia, giustizia, Feltrinelli, Milano 2011, p. 12.

[28] Per il caso sudafricano cfr. P. Greedy, The Era of Transnational Justice. The aftermath of the Truth and Reconciliation Commission in South Africa and Beyond, Routledge, 2010.

[29] Portinaro, 2011, pp. 191 – 197.

[30] Portinaro, 2011, cit., pp. 191 – 197.

[31] http://www.parlamento.it/parlam/bicam/terror/home.htm; consultato il 20.06.2020.

[32] Ne costituiscono esempi la relazione del gruppo dei Democratici di Sinistra presentata in Commissione Stragi il 22 giugno 2000 Stragi e terrorismo in Italia dal dopoguerra al 1974, la relazione presentata dal gruppo di Forza Italia e poi riportata nel volume di F. Cicchitto, G. Da Roldo, F. Gironda, La disinformazione in Commissione Stragi, Il grande inganno, Bietti, Roma 2001 e la relazione compilata, poco tempo dopo, dal gruppo di Alleanza Nazionale.

[33] D. Pipes, Il lato oscuro della storia. L’ossessione del grande complotto, Lindau, Torino 2005.

[34] E. Betta, Memorie in conflitto. Autobiografie della lotta armata, «Contemporanea», 4, 2009, pp. 673-701.

[35] G. Panvini, Ordine nero, guerriglia rossa. La violenza politica nell’Italia degli anni Sessanta e Settanta (19661975), Einaudi, Torino 2009, pp. 76-106.

[36] G. Panvini, Cattolici e violenza politica. L’altro album di famiglia del terrorismo italiano, Marsilio, Venezia 2014; G. Formigoni, Storia d’Italia nella guerra fredda (19431978), il Mulino Bologna 2016.

[37] G. Panvini, “L’abuso della categoria di guerra civile nel dibattito scientifico e in quello pubblico per definire il carattere nazionale italiano. Dall’Unità ai nostri giorni”, in Rosaria Iounes-Vona, Daniele Comberiati (a cura di), Il discorso della nazione nella letteratura italiana, Franco Cesati Editore, Firenze, 2012, pp. 171-182.

[38] C. Corneliβen, B. Mantelli, P. Terhoeven (a cura di), Il decennio rosso. Comunicazione sociale e conflitto politico in Germania e in Italia negli anni Sessanta e Settanta, il Mulino, Bologna 2012.

[39] F. Benigno, Terrore e terrorismo. Saggio storico sulla violenza politica, Einaudi, Torino 2018.

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